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Area: Serbia

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Ciechi di fronte alla verità

Peter Handke sostiene che la Serbia, e il suo ex Presidente Milosevic, accusato di crimini di guerra e sotto processo all’Aja, siano demonizzati dai media occidentali. In un recente saggio lo scrittore tedesco descrive la Serbia come vittima di un’enorme ingiustizia, e Milosevic come colpevole solo per aver creato una strada alternativa al capitalismo

09/08/2005, Redazione -

Ciechi-di-fronte-alla-verita

Di Tobias K. Vogel, per Transitions Online , 20 luglio 2005 (tit. orig.: "Blind to the truth")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani di: Letizia Gambini

 

Ci sono voluti più di 10 anni perché la trasformazione di Peter Handke dall’essere uno degli scrittori di lingua tedesca più apprezzati e idolo della generazione del ’68 a diventare un accanito sostenitore dei crimini di guerra serbi fosse completata.

La sua ossessione per quello che pensa sia stata un’ingiustizia di epiche proporzioni – la demonizzazione dei serbi operata dai media occidentali – venne alla ribalta per la prima volta agli occhi di un pubblico più vasto nel 1996, quando il grande editore tedesco Suhrkamp portò il libro di Handke "Un viaggio d’inverno ovvero giustizia per la Serbia" su un mercato avido di qualsiasi cosa che potesse avere a che fare con le Guerre Balcaniche del 1991-95, appena finite con la stipulazione degli accordi di Dayton.

Ian Traynor del "London Guardian" definì il libro (pubblicato in inglese col titolo "A Journey to the Rivers: Justice for Serbia") "descrizioni liriche, finemente scritte di un recente viaggio in Serbia affiancate da rabbiose invettive contro tedeschi, croati, sloveni, l’Occidente in generale e i media internazionale in particolare essendo colpevoli di demonizzare i serbi.

"Handke ha distrutto l’idea di un consenso ‘politically correct’ facendo dei serbi degli eroi e ingaggiando ogni altro soggetto coinvolto in una polemica gentile, riflessiva, magnificamente evocativa e straordinariamente viscida," scrisse Traynor nel marzo 1996, proprio quando i peacekeepers della NATO si stavano stabilendo in Bosnia.

Ovviamente, i numerosi riferimenti alla recente storia serba che Handke fa lungo il suo racconto hanno fatto esplodere tutta una serie di controversie care al pubblico tedesco. I critici letterari e i giornalisti che erano stati inviati nei Balcani durante le guerre come inviati avevano quasi tutti apertamente condannato la Serbia, mentre Handke divenne l’eroe di quelli che accusarono i principali media di aver cospirato con i governi occidentali e gli USA per distruggere la Jugoslavia e aprirla allo sfruttamento del capitalismo occidentali. (Questa idea fu ripresa anche da Noam Chomsky nei confronti dell’intervento della NATO contro la Serbia nel 1999.)

Pochi pensarono a chiedere alle persone della ex Jugoslavia cosa ne pensassero del punto di vista di Handke e il dibattito ben presto è degenerato in un duello a colpi bassi che aveva poco a che fare con quello che Handke aveva proposto. Man mano che il dibattito andava avanti, ci si rendeva conto quanto fosse poco stimolante.

Handke non aiutò la sua causa quando apparse sulla televisione di stato serba durante i colloqui di pace di Rambouillet del 1998 tra i serbi e i ribelli albanesi del Kosovo.

"Non c’è stato nessun popolo in Europa che in questo secolo abbia dovuto subire quello che hanno dovuto sorbirsi i serbi per cinque, forse otto anni," disse al pubblico. "Non ci sono definizioni per questo. Ci sono però definizioni e concetti per gli Ebrei. Si può parlare di quello. Ma con i serbi, è una tragedia senza ragione, uno scandalo." (Handke più tardi smentì le sue dichiarazioni dicendo che gli erano scappate.)

Alla ricerca di una causa

Handke era una sorta di pop star della letteratura tedesca alla fine degli anni ’60. Il suo spettacolo "Offendendo il pubblico" era estremamente popolare e molti altri suoi titoli furono annoverati nel pantheon della letteratura tedesca. Scrisse anche, con Wim Wenders, il copione del film "Il cielo sopra Berlino" del 1987.

Handke ha sempre dato l’idea di avere un lato più riservato e un debole per il misticismo. Queste tendenze trovarono la loro applicazione in politica, un disastro già annunciato.

Handke trovò la sua grande causa nel destino della Jugoslavia, un paese che lui evidentemente amava. Nato da madre slovena nella Carinzia, una provincia del sud dell’Austria, al confine con quella che allora era la Jugoslavia, ha sempre dimostrato di avere un legame speciale per quelle le persone e le terre ‘al di là del confine’. Si arrabbiò moltissimo quando la Jugoslavia si divise e scaricò le colpe di questa distruzione sulle smanie occidentali di sloveni e croati, insieme a Germania, Austria e il Vaticano, che li hanno incoraggiati. La Serbia in questa analisi risultava come la vittima, largamente senza colpe per la violenza che si stava diffondendo nel paese.

In queste accuse non era solo. Un numero di intellettuali dell’Occidente, molti dei quali avevano ricordi ingenui del paese di Tito e un attaccamento romantico alla sua politica di rimanere una via di mezzo tra il capitalismo e il comunismo, avevano anch’essi accusato i croati del crollo. Più tardi, durante le atrocità in Bosnia, queste posizioni degenerarono in bizzarre accuse – incoraggiate dalle autorità dell’ONU, nel tentativo ansioso di rimanere ‘neutrali’ alla luce dei brutali assalti serbi su Sarajevo che furono ampliamente diffusi attraverso la presenza sul posto di un gran numero di giornalisti – contro il governo bosniaco per essere responsabile di tutto questo spargimento di sangue.

Alcuni hanno continuato a sostenere queste accuse sin al giorno d’oggi. Scrivendo sul "Toronto Globe and Mail" il 14 luglio, l’ormai in pensione Generale canadese Lewis MacKenzie, il primo comandante delle forze ONU in Bosnia nel 1992, ha dichiarato che il massacro di Srebrenica non fu "un evento in bianco e nero dove soltanto i serbi hanno delle colpe." Procedendo poi nel dubitare che il numero degli uccisi (circa 8000 uomini e ragazzi bosniaci) sia reale, un numero adesso accettato e definito accurato non solo dal Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra in Ex- Jugoslavia (ICTY) e dalle più grandi organizzazioni internazionale per i diritti umani, ma anche dal governo serbo-bosniaco della Republika Srpska.

MacKenzie sostiene che sono stati ritrovati soltanto 2000 corpi e che tra questi ci sono anche i resti di persone uccise durante i tre anni in cui ci sono stati intensi combattimenti nell’area. Questo è semplicemente falso: più di 2000 corpi sono già stati ufficialmente identificati come quelli delle vittime del massacro del luglio 1995 e riseppelliti nel cimitero commemorativo poco fuori Srebrenica.

L’articolo di MacKenzie sostiene anche che a Srebrenica non sia stato commesso un genocidio: "se stai commettendo un genocidio, non lasci andare via le donne perché sono loro la chiave della perpetuazione del gruppo di persone che stai cercando di eliminare."

L’idea che le vittime del conflitto abbiano attirato tutte queste disgrazie su di sé era già stata abbandonata dagli intellettuali più seri al tempo di Srebrenica e questi intellettuali sono poi rimasti in silenzio per il resto della guerra.

Capirono qualcosa che Handke ancora non riesce ad afferrare anche dopo tutti questi anni.

Denunciare degli ingenui giornalisti occidentali, che stavano sì propagando un facile modello in bianco e nero per descrivere i conflitti in Bosnia e Kosovo, e sostenere un dittatore come Slobodan Milosevic sono due cose molto differenti.

La prima si poteva fare, ed è infatti stata fatta, da persone perfettamente ragionevoli con una genuina voglia di capire cosa stava succedendo nei Balcani.

La seconda è stata la specialità di pochi scrittori dissidenti come il russo Edward Limonov, che ha commentato il suo incontro con Zeljko Raznatovic "Arkan", il più grande "pulitore etnico" della Serbia, così: "Mi sono sempre piaciuti dei gangster belli e brillanti." E’ poi successivamente andato in visita dal suo amico e corrispondente Radovan Karazdic, il leader serbo-bosniaco durante la guerra, e fu ripreso mentre faceva fuoco sulla Sarajevo assediata.

Un fuoco alimentato

La copertina della rivista "Literaturen"

L’ultimo saggio di Handke, pubblicato nel numero di luglio del mensile "Literaturen" (Letterature), è meno polemico di "Un viaggio d’inverno" e ha fino ad ora fallito nel far rinascere il dibattito che seguì il libro del 1996. Ma le convinzioni di Handke rimangono più ferme che mai, e lui ancora vede la Serbia, e l’ex Presidente serbo Milosevic, ora sotto processo all’ICTY, come un bastione contro l’espansione del mercato della modernità in una regione ancora più vasta del mondo.

Infatti, quello che sembra animare la sua denuncia contro le risposte dell’Occidente alla strage dei Balcani e il suo odio per il mondo moderno, un tema molto evidente in "Un viaggio d’inverno". Traynor ha scritto sul Guardian, "La semplicità del sistema pre-capitalista che Handke incontra in Serbia lo attrae così tanto che si trova a sostenere il rafforzato isolazionismo affinché questa magia non venga persa, un sentimento difficile da condividere da parte di coloro che vi sono direttamente coinvolti." Molto di questo spirito è tuttora presente nei sui scritti.

Ma poi, Handke non è mai stato particolarmente interessato al punto di vista di coloro che ha incontrato; ha sempre fatto in modo che gli venisse detto esattamente quello che si voleva sentir dire.
"Il Tablas di Daimiel: il deviante report di un testimone al processo contro Slobodan Milosevic," definito un puro racconto, descrive un discorso che Handke ha avuto con il deposto Presidente nella sua residenza di detenzione all’Aja l’anno scorso. (Il criptico titolo si riferisce ad un aneddoto di dubbia rilevanza che Handke racconta alla fine del suo discorso.)

"Per quasi tutto il tempo," scrive Handke a proposito delle più di tre ore che hanno passato insieme, "ha parlato soltanto Milosevic." Ma noi non ascoltiamo mai quello che Milosevic dice – Handke non ce lo racconta.

Accade lo stesso con i profughi serbi di Bosnia e Kosovo che lui incontra in giro per la Serbia: non viene registrato quello che dicono o sentono, ma l’impressione che questi fanno sullo scrittore. Comunque, è proprio in questi incontri che viene fuori l’umanità di Handke e diventa evidente come la negazione e la miseria in cui queste persone hanno vissuto negli ultimi 10 anni lo tacchi nel profondo e, si spera, genuinamente.

Quello che Handke non di contempla assolutamente è sicuramente il fatto che possano essere state delle politiche del suo eroe Milosevic a mettere fine a quelle che potevano essere vite felici a Knin o Pristina.

Handke ha anche meno simpatia per le altre vittime delle guerre risparmiate da Milosevic, come per esempio le madri di Srebrenica a cui lui si riferisce come ad "un gruppo organizzato e attivato per far colpo sul pubblico internazionale, forse dalle altre madri."

Combattendo contro i fatti

Nel decimo anniversario del massacro premeditato di Srebrenica – nel frattempo definito genocidio dal ICTY che Handke odia tanto – è sembrato esserci un crescente riconoscimento dell’enormità di quel crimine in Serbia. Handke, dal canto suo, si è allineato con quella fetta di popolazione serba che ancora rifiuta di riconoscere quello che accadde a Srebrenica.

Srebrenica è stato uno spartiacque importante che infine ha fatto vergognare le potenze occidentali e le ha convinte a fermare lo spargimento di sangue in ex Jugoslavia con mezzi militari.

E’ proprio questo peccato originario che fa infuriare Handke: non considerando il fatto che l’ICTY è stato formato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che è formato anche da due membri permanenti che si opposero all’intervento militare in Bosnia, lo considera di parte e un’estensione della NATO. Handke insiste che sia la giustizia dei vincitori che si sta facendo all’Aja.

Queste posizioni, ovviamente, non sono differenti da quelle dei nazionalisti serbi. Ma sembra che questi siano oggetto di grandi pressioni nei mesi scorsi dopo che il drammatico filmato ha suggerito che le truppe del Ministero dell’Interno serbo fossero direttamente coinvolte nelle uccisione a Srebrenica.

Per Handke quello che è successo a Srebrenica può essere soltanto definito un "massacro di soldati musulmani" e non si merita altro che poche righe in tutto il suo saggio di 20 pagine. Può essere questo più di ogni altra cosa che Handke dice ad illustrare meglio la sua particolare cecità morale.

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