Che fare, a Bucarest – I
Un nuovo e lungo reportage sull’arte contemporanea nei Balcani. Dopo Belgrado e Novi Sad Luca Arnaudo, scrittore e critico d’arte, va alla scoperta di Bucarest. L’incontro con Dina Dancu, che in un giardino della capitale rumena chiede ai passanti cosa sia, per loro, l’arte: la prima di quattro puntate
Di Luca Arnaudo *
"L’arte sembra essere rimasta solo una cosa nostalgica… ci sono troppi altri problemi più importanti dell’arte… Questa almeno è la mia opinione."
"Che ci vai a fare?" La domanda, tra il perplesso e il divertito, segue quasi automatica alla dichiarazione di partire per Bucarest. La generica normalità ormai riconosciuta a un viaggio che non sia d’affari nella maggior parte delle capitali dell’Est Europa esclude un simile interesse, svelando così quanto velocemente tali città siano state assorbite entro l’orbita del turismo mondiale. Bucarest no: resiste tenace a ogni tentativo di assimilazione da parte dell’immaginario medio occidentale. La ragione è che, con ogni probabilità, almeno per ora questa assimilazione semplicemente non se lo può permettere. Ad ogni modo, una prima risposta alla domanda iniziale è che a Bucarest si può andare anche per avvicinare movimenti interessanti nell’arte contemporanea, ancora in buona parte estranei al circuito delle grandi gallerie e musei internazionali. Più ancora, Bucarest è un buon posto per formulare a nostra volta domande e ascoltare risposte sull’arte e la società, sull’esempio della giovane artista Dina Dancu e del suo progetto INDEX.
"Insomma, l’idea di fare arte per strada mi sembra buona, perché ci sono poche persone che capiscono e conoscono l’arte e generalmente quello che non conosci rifiuti di avvicinarlo, studiarlo e così via…"
Con disinvolta semplicità, a partire da una soleggiata domenica di aprile del 2004 Dina ha sistemato un paio di poltrone a sacco per i sentieri del Parco Sismigiu della capitale rumena e invitato i passanti a sedersi per rispondere a due domande: "Che cos’è l’arte per te?", e "L’arte può essere di aiuto per la società?". Le risposte, raccolte a voce e filmate, quindi trascritte su piccoli blocchetti componibili, sono diventate elementi di variabili giochi a incastro concettuale messi a disposizione sul muro di una galleria o in un’animazione elettronica in internet (1) con il significativo e divertente titolo di Tetris. Ne risultano combinazioni dialetticamente serrate, animate come sono da singoli frammenti di un discorso collettivo ascoltato in presa diretta all’aperto e, proprio per questa sua naturalezza provocata, in grado di recuperare all’arte concettuale una dimensione d’inusuale socialità.
"Lasci che le dica una cosa: con tutti questi internet café e locali notturni… i giovani non vanno più a teatro, così il teatro gli si deve parare davanti."
E’ importante un simile esperimento di comunicazione, per quanto ingenue o retoriche le domande e risposte possano anche apparire. Del resto, uno dei principali problemi dell’Occidente Costituito sembra risiedere proprio nell’incapacità di stupirsi e accettare la persistenza dell’ingenuità: tutto è già stato fatto, detto, discusso, con la conseguenza che, di solito, si riserva l’apprezzamento maggiore a ciò che si mostra bizzarro rispetto a quella solidità delle cose comuni di cui sembriamo averne avuto ormai abbastanza, e che invece sono semplicemente la materia prima della vita quotidiana. Tanto più importante l’operazione di Dina appare poi in una città come la capitale rumena, dove è sufficiente passeggiare lungo le strade del centro per trovare conferma con brutale franchezza alle preoccupazioni espresse qualche anno fa da Predrag Matvejevic a proposito della deflagrazione socio-culturale che ha coinvolto gran parte degli stati dell’Est Europa, stati dove "non è soltanto crollato il sistema, ma è esplosa l’intera società. Una storia si è conclusa o si è interrotta, senza lasciare spazio a motivazioni sufficienti per un’altra, diversa, che tarda ad annunciarsi"(2).
Sconcertante e dolorosa terra, la Romania: unico paese del vecchio blocco comunista a essere passato, nel 1989, attraverso una lotta cruenta per rovesciare il vecchio regime, a distanza di oltre quindici anni mostra una società all’apparente inseguimento forsennato di progresso economico che, perlomeno a Bucarest, si presenta nelle forme di un consumo vorace, incurante dell’arretratezza e delle rovine ancora circostanti (3). Pure, basta incontrare qualche artista delle nuove generazioni per accertare un’appassionata lucidità verso lo stato della nazione, manifestata nelle opere come più direttamente nella conversazione a cui questi giovani – tutti sotto i trent’anni – si prestano sempre volentieri (la conclusione mentale a cui si giunge di conseguenza è che, spesso, vale chiedere all’uomo della strada cosa sia l’arte, e all’artista cosa succeda per le strade).
… continua
Note:
1. Vd. il sito personale dell’artista, http://dinadancu.underconstruct.com/, da cui sono tratti anche i frammenti di interviste riportati nel testo.
2. Predrag Matvejević, Il Mediterraneo e l’Europa, Garzanti, Milano 1998, pag. 93.
3. Una lettura interessante al proposito è l’articolo di Mihaela Iordache, La corsa all’acquisto, pubblicato il 16 novembre 2005 sul sito http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4929/1/48.
* Scrittore, traduttore, giurista e critico d’arte, vive e lavora a Roma. Nel 2005 ha pubblicato il libro Atelier Nord (ed. Nerosubianco). Per l’Osservatorio sui Balcani ha scritto, sempre nel 2005, un reportage in cinque puntate su arte e artisti in Serbia
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