Che cosa è successo nel 1915?
‘Io non ho mai partecipato alla discussione se si sia trattato o meno di genocidio, perché per me di questa storia non è importante il nome ma la sostanza. Non ho mai nemmeno accettato di discutere la storia usando il vocabolario giuridico, prima di tutto per interpretare la storia credo sia necessario il linguaggio della coscienza". Intervista a Hrant Dink, direttore della rivista Agos, sulla questione armena
Titolo originale: "Che cosa è successo nel 1915? La tragedia armena nel 90° anniversario", Hurriyet, Maggio 2005
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni
Che cosa è successo nel 1915?
Dal punto di vista della questione armena in sintesi quello che è successo è questo: le condizioni determinate dalla prima guerra mondiale hanno prodotto per l’amministrazione ottomana un’occasione importante, un’occasione che è stata sfruttata senza alcuna esitazione. Essa, sfruttando lo stato di guerra, ha risolto radicalmente la questione armena che si protraeva da almeno una sessantina d’anni. Ha anche tranciato nettamente le relazioni che un popolo aveva con questa terra da almeno quattromila anni. In altre parole ha cancellato di netto la presenza armena su queste terre. Secondi alcuni 2.500.000, secondo altri 1.500.000, secondo la tesi ufficiale turca 1.300.000, di queste persone secondo i documenti presentati a Losanna nel 1923 al momento della proclamazione della Repubblica ne erano rimaste 300.000, delle quali 130.000 ad Istanbul ed il resto in Anatolia. Ed alle altre cosa è successo? Quello di cui si discute oggi è proprio questo. Io non voglio mettermi a discutere se questo episodio o quell’altro si siano verificati nel passato. Sono state recise di netto le relazioni che un popolo aveva con queste terre, la questione è tutta qui.
Le posizioni a riguardo sono però molto diverse tra loro…
Esiste una versione armena secondo cui chi è potuto fuggire è fuggito e gli altri sono stati tutti uccisi. Secondo queste stesse fonti sarebbe di 1.5000.000 il bilancio delle vittime, secondo le fonti ufficiali turche questa cifra varia tra 10.000 e 800.000. Io in realtà non voglio leggere questa pagina di storia dolorosa solo attraverso queste cifre però la domanda che posso porre per dare il mio contributo al dibattito è questa: queste persone sono veramente tutte morte?
Secondo lei?
Si sa che in quel periodo molti armeni per potersi salvare la vita sono arrivati fino alla conversione. Inoltre c’è la questione dei bambini abbandonati da quelli che sono partiti. Sono stati i vicini curdi e turchi ad occuparsene. La maggior parte di essi non è morta. Essi hanno potuto continuare ad esistere secondo l’anagrafe non come armeni ma come turchi. Se oggi si trovasse il coraggio di discutere anche questo aspetto del problema io posso immaginare che possano essere molto di più di quelli che immaginiamo a dire: "Mio nonno o mia nonna erano armeni". Non qualche migliaio ma credo una cifra intorno alle 100.000 unità.
Dopo 80 anni come guarda a quei fatti?
Io non ho mai partecipato alla discussione se si sia trattato o meno di genocidio, perchè per me di questa storia non è importante il nome ma la sostanza. Non ho mai nemmeno accettato di discutere la storia usando il vocabolario giuridico, prima di tutto per interpretare la storia credo sia necessario il linguaggio della coscienza. Per queste ragioni io personalmente provo vergogna per le tesi armene, per quelle turche ed anche per l’approccio a questo dibattito degli storici stranieri. La discussione si trova compressa tra accuse e controaccuse, ed io provo vergogna perchè in una situazione simile la persona viene dimenticata. Quando ci avviciniamo alla questione dal punto di vista della coscienza ogni cosa si presenta in modo molto netto. Secondo le tesi turche, di 1.300.000 armeni solo 300.000 erano rimasti qui al momento della proclamazione della repubblica. A questo non è necessario dare un nome. E’ sufficiente che le persone si siedano e facciano i conti con la propria coscienza.
Quello che si è vissuto nel 1915 quali traumi ha lasciato dentro le persone?
Le vere parti in causa di questa storia sono gli armeni, i turchi ed i curdi. Quando guardiamo alla vicenda da questa prospettiva possiamo vedere la presenza di un trauma serio tra gli armeni. Del resto la situazione della diaspora armena è abbastanza eloquente. Nonostante siano passati 80 anni il fatto che essa sia con tutte le sue energie alla ricerca di un riconoscimento dell’ingiustizia subita, indica chiaramente la portata del trauma. Quando guardiamo alla vicenda dal punto di vista dei turchi il fatto che quegli episodi abbiamo assunto il carattere di un vero tabù, beh mostra sufficientemente lo stato psicologico delle persone che vivono qui. Quello vissuto dal popolo turco non è semplicemente un trauma ma anche una paranoia al massimo grado. Alla fine si tratta di un disturbo psicologico per entrambe le parti. Del resto per queste ragioni io insisto nel dire che le reciproche relazioni tra turchi ed armeni hanno assunto un carattere clinico. La storia non è l’unico elemento di questa malattia. Io credo che quello che si deve risolvere non è il passato ma piuttosto le relazioni di oggi. E’ necessario che entrambi le parti si liberino di questo stato psicologico. In questo la storia, il passato hanno un ruolo importante certo ma la questione non si limita a questo. Forse la riappacificazione con la storia permetterà anche la nostra riappacificazione. Quello che voglio dire è questo: nel processo di costruzione dell’identità nazionale turca le vicende vissute dagli armeni sono stati una componente ed anche molto importante. Se voi eliminate questo fattore, questo materiale, dalla costruzione, sarete costretti a vivere nella paura che la costruzione possa crollare.
Quali sono le sue osservazioni sulla questione dell’identità nazionale?
Intanto è stato impossibile produrre informazioni e sapere alternativo. Dopo il 1915 la società turca-ottomana sapeva molto bene quello che era successo. Molti erano stati testimoni diretti di quello che era accaduto, che era negativo e doloroso e per questo bisognava tacere. Questo silenzio ha finito per diventare anche la posizione ufficiale per trasformarsi poi in un vero tabù. Inizialmente si taceva per la vergogna, poi per paura. Non solamente i conservatori ma anche i rivoluzionari si sono trovati nella situazione di non saper spendere nemmeno due parole sulla vicenda. Nelle poesie di Nazim Hikmet alla questione è riservata un solo verso, tutto qui. E Nazim Hikmet aveva molti amici armeni, dentro e fuori il Parito Comunista. Nonostante questo se l’è cavata con un solo verso.
Che cosa ci dice questo?
Che la resistenza ufficiale dello stato era così forte, minacciosa, che ha impedito anche alle persone più progressiste e rivoluzionarie di questo paese di far parlare la propria coscienza. Anzi le loro coscienza si sono come bloccate. Per esempio l’ho chiesto a Vedat Turkali (storico esponente della sinistra turca, ora romanziere di successo.Ndt). Mi ha dato una risposta alla quale ho fatto molta fatica a credere e mi ha detto " Noi non sapevamo la verità". Perchè la sinistra si portava dentro le tracce della lotta di liberazione nazionale ed anche un pò l’eredità del Comitato Unione e Progresso (Il partito che ha preso il potere all’indomani della deposizione del sultano nel 1908 e che lo ha mantenuto fino al crollo dell’Impero.Ndt). Nazim Hikmet ha scritto il Canto epico della guerra di liberazione ma non ci trovate nulla sulla questione, questo perchè in quella situazione gli armeni erano il nemico.
Su queste terre sono rimasti 3000.000 armeni, come hanno potuto le persone di qui continuare a guardarsi reciprocamente negli occhi?
Di queste 170.000 erano in Anatolia. Fino agli anni ’60 possiamo ritrovare tracce della loro presenza poi però si affievoliscono ed alla fine la conclusione è che di quelle 300.000 persone oggi nel paese ne rimangono 60.000. In realtà credo che quello che si dovrebbe mettere in discussione con la coscienza è questa progressiva riduzione durante il periodo repubblicano. Io dò molta più importanza alla storia di quelli che sono rimasti e vivono piuttosto che a quella relativa ai morti.
Io non sono tra quelli che premono perchè la verità venga fuori perchè io conosco molto bene quello che è successo e questo è impresso in modo indelebile anche nel codice genetico di ogni armeno. Personalmente non sento nemmeno il bisogno che qualcuno riconosca il genocidio o che chieda scusa. Io mi porto orgogliosamente sulle spalle il mio dolore e non ho bisogno del sostegno di nessuno.
E cosa è successo a quelli che sono rimasti?
Non bisogna dimenticare questo: quelli che sono rimasti non vivevano insieme soltanto a quelli che li avevano uccisi ma anche a quelli che li avevano salvati. Cioè intorno a loro c’erano persone che li avevano salvati. Quello che si è vissuto è la storia di coloro che sono morti ma anche di quelli che sono sopravvissuti. Il Prof. Halacoglu, presidente della TTK (Società di Storia Turca) recentemente ha sostenuto una nuova tesi, curiosa:" 1.500.000 di armeni sono stati deportati ma 1.469.000 sono ritornati". Limita quindi il numero di quelli che sono morti a 40/50.000 e sostiene che nel 1918-19 c’erano 1.500.000 armeni sulle terre anatoliche. Se questa è una risposta a chi dice che sono stai uccisi, beh è una risposta curiosa. E dopo questa arriva una domanda ancora più interessante? Cosa è successo a quel milione e mezzo di persone? Non so, Halacoglu dice che 1.200.000 di quelli si sono fatti musulmani e hanno continuato a vivere in Anatolia oppure sostiene che successivamente di loro volontà sono emigrati? Queste domande rimangono in attesa di una risposta. Se fosse vera la prima ipotesi di Halacoglu io non avrei nulla da ridire, si spiegherebbe anche l’espressione "stirpe armena", significa che esiste una realtà di questo genere, anche se non saprei quantificarla.
Perchè è così difficile parlare di quelli che sono rimasti?
Questo non è un problema solo per la Turchia, è un problema molto grande e serio anche per la parte armena perchè la questione si è ormai fissata intorno al problema del genocidio ed a quello del numero delle vittime. E’ per questa ragione che le tesi armene sono sempre impegnate nel tentativo di gonfiare le cifre e quelli turche nello sgonfiarle. Mentre una discussione sulle persone che sono rimaste sarebbe potenzialmente più efficace nello sciogliere coscienze bloccate ma per quanto posso vedere nessuna delle due parti vuole una cosa simile. Se si riuscisse a discutere la storia senza parlare dei morti, sarebbe molto più semplice accettare la verità. Dico questo perchè l’ho potuto verificare personalmente. Sono andato in Armenia e ho chiesto ad uno storico" Ci sono in Armenia ricerche od articoli sugli armeni rimasti in Turchia?" "No e non ne vedo il bisogno" è stata la risposta ed io ancora " In Turchia molte persone fanno riferimento a tracce armene nella loro famiglia, questo mi fa pensare che il numero dei sopravvissuti non sia trascurabile, probabilmente una cifra intorno alle 100.000 unità" " E’ giusto, noi pensiamo che circa 500.000 persone facendosi musulmane siano sopravvissute ma noi inseriamo questa cifra nel conteggio del milione e mezzo di vittime. Se noi ci facessimo coinvolgere nella ricerca che lei propone la nostra tesi di 1.500.000 di vittime ne sarebbe danneggiata". Mi sono molto sorpreso. Ma come è possibile questo tipo di approccio? E’ vero, le tesi ufficiali di entrambe le parti riducono il problema ad una discussione sulle cifre ma discutere su quelli che sono rimasti rappresenta un tabù per entrambe.
Significa che sotto questa questione ci sono altre ragioni……
Queste le risolveremo insieme, probabilmente questa storia la risolveranno quelli che sono rimasti.
Il trauma del 1915 ha prodotto effetti diversi, gli armeni della diaspora lo hanno vissuto in modo più acuto mentre quelli in Turchia sembrano averlo superato. E’ veramente così?
Gli armeni della diaspora vivono in modo molto più violento il trauma rispetto a quelli di Turchia. Il fatto che possano discutere più liberamente del genocidio, che ogni anno possano ricordare i loro morti, non garantisce però il superamento del trauma. Noi in Turchia non possiamo commemorare nello stesso modo i nostri cari, ci teniamo le cose dentro ma nonostante questo non siamo inquieti come loro e questo per una sola ragione: noi viviamo insieme ai turchi mentre quelli della diaspora sono molto lontani. Loro percepiscono i turchi là dove li hanno lasciati, nello stesso spazio e tempo. Noi non abbiamo questa preoccupazione perchè viviamo con i turchi. Loro invece si trovano in uno stato d’animo arrabbiato, rancoroso e carico d’odio e su questo hanno costruito la loro identità. Vedono l’elemento turco come un veleno per la loro identità, al contrario per noi costituisce un antidoto, perchè viviamo insieme, certo una condizione che ha aspetti positivi e negativi ma in fondo quello che struttura la nostra esistenza sono quelli positivi. L’unica soluzione perchè gli armeni possano superare il loro trauma è ristabilire relazioni con i turchi. Noi qui siamo come un laboratorio. L’unica ragione per cui gli armeni di Turchia, nonostante tutte le cose negative, non si portano lo stesso atteggiamento degli armeni della diaspora è il fatto di vivere insieme ai turchi. Quelli della diaspora prima di tutto si devono liberare dell’ossessione dell’essere nemici dei turchi. Lo stesso vale per i turchi. Una volta liberatisi del tabù armeno forse inizialmente la loro identità nazionale potrà vacillare ma poi si potrà fondare su basi più salde.
In questa società "Figlio di armeni" o "Figlio di greci" continuano ad essere considerati insulti. Come si sente quando ascolta cose simili?
In Turchia parallelamente al processo di democratizzazione è cominciato a mutare anche lo stato d’animo delle minoranze. Con il consolidarsi dell’approccio multiculturale anche la psicologia delle minoranze comincia a differenziarsi. Cero questo non significa sicurezza al 100% ma è diverso dal passato. A questo proposito ho fatto una ricerca tra i giovani armeni. Ad esempio uno di loro mi ha detto " Quando usciamo insieme mia madre mi chiede di non chiamarla mama per la strada" Un’altra mi ha raccontato che quando esce per strada nasconde automaticamente la croce sotto il maglione. Testimonianze che mostrano chiaramente la condizione psicologica in cui si vive. In Turchia ogni volta che succede qualcosa di negativo si cerca sempre una responsabilità armena. Quando un ministro degli interni ha insultato questo e quello con l’espressione "Stirpe armena" nessuno ha battuto ciglio. Pensi a cosa può significare vivere come armeni in un ambiente simile, quale può essere il vostro stato d’animo? A volte vi viene voglia di metttervi in un angolo.
Negli ultimi dieci anni la situazione è cominciata a cambiare anche con l’uscita del nostro settimanale Agos. "No, noi non siamo gli armeni che voi raccontate". Abbiamo avuto l’appoggio degli ambienti democratici e dei media turchi. Se a questo aggiungiamo il processo di avvicinamento alla UE, si è venuta a creare un atmosfera più respirabile Questo però è necessario precisare: lo stato d’animo degli armeni in Turchia è più sano di quello della diaspora, perchè noi viviamo con i turchi. Lo dico sempre: il medico degli armeni sono i turchi così come gli armeni sono il medico dei turchi.
Secondo lei la società turca conosce quello che è accaduto nel 1915?
Secondo me no perchè si è sempre cercato di nascondere alla società quello che gli armeni ed il mondo pensavano della questione armena. Anche la diaspora armena non interpreta correttamente la Turchia. Che cosa si crede, che la società turca conosce la verità ma la respinge oppure essa conosce solo quello che le si racconta? Questa sono domande cruciali e personalmente propendo per la seconda, la società turca non conosce la verità. Si vede chiaramente che le tesi ufficiali non rappresentano uno strumento efficace per coloro che vogliono la soluzione della questione. Lo si vede non solo per la parte turca ma anche per quella armena.
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