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Caucaso del sud: l’Ue e gli stati de facto

In seguito alla guerra russo-georgiana del 2008 l’Ue ha avviato una serie di politiche mirate a sviluppare una collaborazione con Abkhazia e Ossezia del Sud, incontrando però l’opposizione della Georgia

23/06/2017, Emanuele Cassano -

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Lo scorso mese in Georgia è scoppiato un piccolo caso diplomatico, causato dall’ultimo viaggio di Herbert Salber, Rappresentante speciale per l’Unione Europea nonché co-presidente dei Colloqui di Ginevra, a Tskhinvali, capitale de facto dell’Ossezia del Sud. Al centro della visita, programmata per stabilire i termini del successivo colloquio sulla sicurezza e la stabilità nel Caucaso meridionale, il quarantesimo dall’avvio dei negoziati di Ginevra, vi è stato l’incontro tra Salber e Anatolij Bibilov, neoeletto presidente sud-osseto.

Approfittando dell’occasione, il Rappresentante speciale UE ha voluto congratularsi con Bibilov per il successo elettorale, scatenando però l’ira di Tbilisi, che attraverso il vice-ministro degli Esteri Davit Dondua ha fatto sapere di ritenere “inaccettabili e incomprensibili” le dichiarazioni di Salber.

Convocato dal ministero degli Esteri georgiano per delle spiegazioni, János Herman, ambasciatore dell’Unione Europea a Tbilisi, ha ribadito la posizione ufficiale di Bruxelles a sostegno dell’integrità territoriale del paese caucasico, confermando di non riconoscere né l’indipendenza dell’Ossezia del Sud né tanto meno l’esito delle ultime elezioni.

Rompere l’isolamento

Nonostante il sostegno a Tbilisi, le parole di Salber dimostrano l’effettivo interesse di Bruxelles nell’aumentare il proprio impegno nella regione, attraverso lo sviluppo di un dialogo costruttivo con le due repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, territori che vivono in un preoccupante stato di isolamento, al di fuori del diritto internazionale, e per questo rappresentano potenziali fonti di instabilità politica.

Per tentare di avvicinarsi alle due entità de facto, nel 2009, a un anno dalla guerra russo-georgiana, Bruxelles ha avviato una politica di non-riconoscimento e coinvolgimento (NREP). Tale politica, lanciata da Peter Semneby, predecessore di Salber come rappresentante speciale UE, ambisce a rafforzare la collaborazione con le due regioni separatiste attraverso la realizzazione di una serie di progetti sul territorio, pur senza mettere in discussione la posizione europea riguardo all’integrità territoriale georgiana, evitando quindi di compromettere le relazioni con Tbilisi.

Tra gli obiettivi principali di questa politica vi è il tentativo di rompere l’isolamento politico ed economico che da anni costringe i cittadini delle due repubbliche separatiste a vivere in una sorta di limbo. Gli abitanti di queste regioni dovrebbero avere il diritto di viaggiare, lavorare e studiare all’estero; per questo Bruxelles ha provato negli ultimi anni a creare ponti con il mondo esterno per superare il loro isolamento. Inoltre, a partire dal 2008 l’UE ha iniziato a stanziare fondi per diversi milioni di euro (circa 40 per la sola Abkhazia), destinati alla realizzazione di progetti legati alla cooperazione umanitaria, sociale ed economica, come lo sviluppo del settore sanitario e dell’educazione, la costruzione di nuove infrastrutture e la ricerca delle persone scomparse durante la guerra.

Le preoccupazioni georgiane

Progetti che hanno sempre incontrato le resistenze di Tbilisi, che ha sempre visto con sospetto le relazioni tra Bruxelles e quelli che la legislazione georgiana definisce “territori occupati” (termine invece volutamente evitato dai rappresentanti UE), temendo che gli aiuti europei possano finire per “legittimare” le due entità de facto.

È proprio la legge sui territori occupati, adottata dal governo georgiano quasi contemporaneamente all’avvio delle politiche europee di non-riconoscimento e coinvolgimento in Abkhazia e Ossezia del Sud, a creare i maggiori ostacoli alle iniziative UE nelle repubbliche separatiste, limitando di fatto lo spazio d’azione di Bruxelles attraverso il divieto di praticare qualsiasi attività economica nelle due regioni e l’imposizione dell’assenso delle autorità georgiane a ogni tipo di aiuto internazionale.

Eppure, una delle priorità chiave delle politiche europee rivolte ai “territori occupati” riguarda la necessità di trovare un accordo con i governi di Sukhumi e Tskhinvali in merito alla questione degli oltre 260.000 sfollati interni georgiani che in seguito alle guerre in Abkhazia e Ossezia del Sud furono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, e che tutt’ora vivono in condizioni precarie a causa della difficoltà del governo georgiano di fornire ai profughi un’adeguata sistemazione.

Considerata la ferma volontà delle due repubbliche separatiste di non avviare alcun dialogo con Tbilisi fino a quando le autorità georgiane non avranno firmato un accordo sul non utilizzo della forza, principale oggetto di discussione dei negoziati di Ginevra, ecco quindi che l’UE, stringendo i rapporti con le due entità de facto, potrebbe allo stesso tempo fare l’interesse della Georgia, ponendosi come mediatore tra l’una e l’altra parte al fine di provare a risolvere la questione degli sfollati e lavorare sulla cooperazione transfrontaliera.

Per vincere le resistenze georgiane, così come lo scetticismo delle stesse repubbliche separatiste, che al momento non considerano ancora Bruxelles come un possibile partner di primo piano, come lo è Mosca, è necessario quindi che l’UE si impegni maggiormente in Abkhazia e Ossezia del Sud attraverso progetti depoliticizzati mirati ad aiutare le due regioni a uscire dall’isolamento internazionale, a favorire il dialogo con Tbilisi e a garantire e la stabilità regionale.

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