Tipologia: Intervista

Tag: ECPMF

Area: Romania

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Cătălin Prisacariu: le sfumature della censura

Durate la sua brillante carriera ha inanellato numerose dimissioni, conseguenza del non voler scendere ai compromessi che gli venivano richiesti. Uno sguardo sulla stampa rumena da parte del giornalista investigativo Cătălin Prisacariu

22/02/2018, Stela Giurgeanu -

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(Pubblicato originariamente da Dilema Veche nell’ambito del programma ECPMF, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)

Cătălin Prisacariu è membro del comitato rumeno per il giornalismo investigativo ed ha, al suo attivo, una lunga lista di dimissioni. Agli esordi della carriera è stato giornalista nella stampa regionale a Iași, è poi divenuto giornalista investigativo per Evenimentul Zilei, poi capo del dipartimento investigativo di Academia Cațavencu e redattore capo a Kamikaze. Ha anche animato due talk show su TVR Info e B1TV. Infine, fino a poco tempo fa, è stato giornalista per România liberă che ha lasciato nel novembre scorso.

Lei lavora in questo campo da più di vent’anni ed ha attraversato i più grandi gruppi editoriali del paese, sia nella carta stampata che nell’audiovisivo. Ma alla fine ha sempre dato le dimissioni. Perché?

Per ragioni politico-economiche, alle quali si aggiungeva la censura, più o meno importante, più o meno sorniona. Non riesco a mentire e non sono mai riuscito a restare quando una cosa mi veniva imposta o quando le mie inchieste non venivano pubblicate. Il problema è che, dopo vent’anni di carriera, mi rendo conto di avere fatto il giro di quasi tutti i media del paese.

Che si tratti della stampa o della televisione, arriva il momento in cui il direttore ha bisogno di un “servizio” da parte di un rappresentante del partito al potere. A farne le spese in primo luogo sono i giornalisti di inchiesta i cui articoli vengono commissionati, ma poi non vengono pubblicati, per utilizzarli come merce di scambio con il protagonisti dell’inchiesta. Si pone allora il problema se accettare o meno, sapendo che se si alzano le mani una volta, vi è il rischio di doverlo rifare e si rischia di non sapere più chi si è e quale sia il senso del nostro mestiere. Ogni volta ho dato le dimissioni.

In alcuni media ho avuto fortuna, sono rimasto più a lungo. Ad Academia Cațavencu, dove dirigevo il dipartimento di investigazione, non ho avuto alcun contatto con il direttore sino al 2009. Supervisionavo tutte le inchieste ed ero garante dell’onestà del contenuto. Ma quando la lotta politica si è fatta rude, e il direttore ha voluto prendervi parte, me ne sono dovuto andare. In Romania rimanere integri è una questione di fortuna, tutto può andar bene per qualche anno e da un giorno all’altro ci si ritrova davanti ad una scelta.

Quando un giornalista lascia una redazione a causa della censura o di pressioni editoriali subite, non è accolto a braccia aperte dagli altri?

Al contrario! Quando nel 2015 sono stato licenziato da B1 TV, ufficialmente per ragioni economiche, ho cercato lavoro per un anno e mezzo. È stato il periodo peggiore che ho mai attraversato, senza prospettive e perché ho capito che la solidarietà, in questo ambiente, non esiste.

Anche se si è un giornalista della sua reputazione? Con una tale carriera alle spalle?

È una carriera che soprattutto penalizza. In Romania si è mal visti se si abbandonano più posti di lavoro. Chi vuole assumere un giornalista il cui precedente datore di lavoro dice che non ha accettato di fare quello che gli si chiedeva?

È impossibile in Romania per un giornalista onesto fare carriera?

È difficile. In questo mestiere è inevitabile entrare in contatto con qualcuno di importante e subirne le pressioni. Si può fare carriera lavorando da indipendenti ma vi è in questo caso la difficoltà della precarietà, o si può lavorare per delle Ong, ma i questo caso non si tratta veramente di giornalismo. Si può anche pubblicare su di un sito personale, ma il rischio è che i propri scritti vengano riutilizzati da altri, senza ricevere un centesimo, come mi è già accaduto.

Le pubblicazioni da indipendente hanno la stessa ricaduta sul grande pubblico dei media?

In Romania non è possibile vivere da giornalista investigativo indipendente. Una soluzione è quella di lavorare per la stampa estera. Con un po’ di fortuna si potrebbe sopravvivere dal punto di vista finanziario. Il retro della medaglia è che spesso i soggetti vengono trattati per essere proposti ad un pubblico straniero. È raro il caso in cui vengano pubblicati in Romania e che abbiano un’incidenza. Durante una collaborazione con Der Spiegel, ho scritto di un rumeno coinvolto in un caso di corruzione che riguardava airbus. Nessuno ne ha parlato in Romania.

In alcuni paesi i giornalisti vengono minacciati di morte, subiscono aggressioni fisiche, vengono a volte uccisi… quale la situazione in Romania?

È una questione di contesto culturale, credo semplicemente che in Romania questa aggressioni fisiche non funzionino. Un clima simile forse vi è stato solo tra le due guerre mondiali, quando era chiaro che i legionari non avrebbero avuto alcuno scrupolo ad assassinare anche i giornalisti. Ma ora non vi sono reazioni così relativamente a quanto fatto emergere dalla stampa. Ma avviene anche perché in Romania i politici non si sentono minacciati dai giornalisti dato che nella maggior parte dei casi avviene un controllo editoriale preventivo al livello della direzione dei grandi gruppi mediatici.

Quale il ruolo del pubblico?

Affinché la società cambi vi sono due strade: un movimento dal basso verso l’alto, o dall’alto verso il basso. Io ritengo che attualmente le cose in Romania non possano essere cambiate dal basso verso l’alto, perché non vedo chi sia in grado di dare l’impulso per farlo. Se si guarda alla demografia ed alle disparità di reddito si capisce che, di fatto, questo paese non può coagulare attorno ad idee che coinvolgano un numero di persone sufficiente a provocare del vero cambiamento. La stampa può educare il pubblico, ma solo se più giornalisti accetteranno di subire ostracismo, fame e disperazione e inizieranno a non rispondere alle richieste dei loro superiori.

Quale la possibilità, un giorno, di avere in Romania una stampa sana?

All’inizio delle inchieste su Adrian Năstase, nel 2005, i giornalisti scoprirono documenti ai quali non avevano avuto accesso quando era primo ministro. Tutto l’ambiente era in fibrillazione e vi era vera concorrenza, e questo era un buon segno. Poi è arrivata la crisi finanziaria e il contesto politico è divenuto più teso. I grandi magnati hanno preso il controllo della stampa e si sono coalizzati. La crisi ha portato alla chiusura di numerose testate giornalistiche. I salari si sono abbassati, si doveva difendere il proprio posto di lavoro, veloci ad accettare compromessi. la concorrenza è di fatto sparita ed assieme a quest’ultima la buona salute della stampa. Quindi, vi è ancora molto da fare.

La libertà dei media in Romania

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