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Cannes, i premi

Premiato il regista greco Yorgos Lanthimos con la palma per la scenegiatura. Miglior attrice Diane Kruger nel film del regista Fatih Akin. La Bulgaria torna a Cannes dopo trenta anni

13/06/2017, Nicola Falcinella -

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Il regista greco Yorgos Lanthimos ha un abbonamento con i premi. Anche dal Festival di Cannes 2017, il cineasta è tornato a casa con la Palma per la sceneggiatura di “The Killing of the Sacred Deer”, scritta con Efthimis Filippou. Legato a questo film è anche il premio speciale del 70° anniversario che è stato introdotto per Nicole Kidman, protagonista della pellicola insieme a Colin Farrell e presente in ben quattro lavori selezionati dal festival, tra i quali “L’inganno – The Beguiled” di Sofia Coppola, che ha avuto la Palma per la miglior regia, “How to talk to girls at parties” di John Cameron Mitchell e la serie “Top of the Lake” di Jane Campion.

Un verdetto poco soddisfacente, all’altezza di un concorso modesto, il peggiore da parecchi anni a questa parte. La giuria presieduta da Pedro Almodovar ha assegnato la Palma all’irrisolto svedese Ruben Ostlund (noto per “Forza maggiore”), film potenzialmente interessante che parte bene e si perde nell’accumulo di gag (e forse sarà rimontato). Il Gran Prix, secondo per importanza, è stato attribuito all’impegnato “120 battiti al minuto” del francese Robin Campillo, sulla storia di un’associazione che a fine anni ’80 si batté per far considerare l’Aids per il grande dramma che era e che è.

Da Lanthimos arriva invece un altro film costruito programmaticamente per turbare ma, in realtà, infarcito di un nichilismo fine a se stesso, infiocchettato di formalismi inutili esterile come il sesso che fa la coppia di protagonisti su un talamo che sembra un letto di morte. Il regista greco di “The Lobster”, “Alpi” e “Dogtooth” è un prediletto delle giurie che cascano ogni voltanella trappola di un cinema sottolineato e vacuo.

In un palmarès che ha visto la prevalenza del cinema europeo, è rimasto fuori l’ucraino Sergei Loznitsa con il potente atto d’accusa alla società e alla politica russa “A Gentle Creature”.

La Palma di miglior attrice è stata assegnata a Diane Kruger per un’opera controversa e discussa come “Aus dem nichts – In the Fade” del tedesco d’origine turca Fatih Akin.

Fatih Akin

Un film tripartito sul razzismo, il ritorno dei nazisti, il terrorismo, lo stallo della giustizia e la vendetta, che sarebbe superficiale liquidare sommariamente. Un film assai applaudito che ha anche diviso molto, una storia viscerale ma forse meno rozza di quel che sembra e di certo più credibile del precedente “Il padre”.

Il regista di “La sposa turca” e “Soul Kitchen” è tipo da sentimenti forti e poche mezze misure. Ad Amburgo la giovane Katja (Diane Kruger) ha sposato in carcere un uomo turco, uno spacciatore che, una volta scontata la pena, si distacca dalla piccola delinquenza e apre un’agenzia che fornisce servizi fiscali prevalentemente agli immigrati. Un giorno il marito, con il figlioletto di sei anni, muore per l’esplosione di una bomba piazzata fuori dall’ufficio probabilmente da neo-nazisti. La donna crede di aver visto la sospetta posteggiare una bicicletta nel luogo dell’attentato senza legarla e si batte per arrivare la verità: nonostante i tanti indizi, compreso l’emergere di una rete di relazioni e complicità che unisce i neo-nazisti tedeschi ai greci di Alba dorata, la coppia accusata è assolta dai giudici nel lungo percorso processuale. Nella parte conclusiva, Katja conduce un’indagine privata e segue la coppia per una vacanza in Grecia, in cerca di vendetta. Un film deluso dalla giustizia europea e dagli Stati, che lascia tante possibili interpretazioni. Come si reagisce alla mancanza di giustizia? Alle bombe si può rispondere solo con le bombe. Forse Katja si accorge che non può accettare da sé stessa di essere arrivata fino al punto di volere la vendetta. Tra gli aspetti da notare anche la lite della protagonista con la famiglia del marito Nuri per non lasciar seppellire i due morti in Turchia.

Si aspettava forse più del premio della giuria il russo “Loveless – Nelyubov” di Andrei Zvyagintsev, un’altra denuncia degli arricchiti nella Russia contemporanea che aveva riscosso consensi fin dai primi giorni.

Sempre per la Russia, nella sezione parallela Un certain regard il premio della giuria Fipresci è andato alla rivelazione Katemir Balagov con il suo notevole debutto “Tesnota – Closeness”. Una delle poche vere scoperte del festival, un autore vero del quale si sentirà di nuovo parlare, un film sul Caucaso come se ne sono visti pochi. Peccato che la giuria ufficiale della sezione non l’abbia considerato e pure la giuria opere prime gli abbia preferito il francese “Jeune femme” di Léonor Serraille.

La Bulgaria torna a Cannes

Era invece dal 1988 che un film bulgaro non era presentato nella selezione ufficiale di Cannes. Interrompere dopo tre decenni l’astinenza è toccato a “Posoki – Directions” di Stephan Komandarev, presentato sempre nel Regard, a conferma del bel momento per i cineasti di Sofia.

Un interessante dramma corale, collocato tutto nella capitale nell’arco di 24 ore, con lunghi piani sequenza su e giù dai taxi, che prova a giocare le carte del paradosso e della provocazione: “La Bulgaria è il Paese degli ottimisti, perché i realisti e i pessimisti sono andati via”. Nel prologo, un piccolo imprenditore cerca in tutti i modi di convincere la banca a concedergli un prestito per riaprire il suo laboratorio e si arrangia facendo il tassista. La mattina porta a scuola la figlia Nicole, poi sale in vettura una studentessa diciassettenne che vuole essere accompagnata all’albergo dove si prostituisce: l’uomo si arrabbia e la fa scendere. L’imprenditore si reca all’appuntamento con l’impiegato della banca che gli nega di nuovo il prestito, lo ricatta e lo offende. Allora gli spara e tenta il suicidio sparandosi a sua volta. Di sera, un altro tassista accompagna all’ospedale un cardiochirurgo, prossimo a emigrare in Germania, a fare un trapianto di cuore all’aspirante suicida. Intanto si ascoltano le stazioni radio, che danno gli aggiornamenti sulla sparatoria del mattino e le notizie dell’arrivo di nuovi profughi.

Finale con pope-tassista che va a prendere in casa, aiutandolo per tutto il percorso giù dalle scale l’uomo malato cui è destinato il cuore e che è restato solo.

Diverse storie di tassisti per necessità, compreso un pope che avrà un compito delicato, tra amanti che si nascondono e sfortune economiche di vario tipo. Un film sul caso, la povertà e la mancanza di prospettive a tutti i livelli: niente di particolarmente nuovo, ma Komandarev, al quarto lungometraggio di finzione (il più noto è “The World is big and Salvation lurks around the corner” del 2008), lo sa tenere in mano fino alla fine con una sufficiente dose di tensione.

Sieranevada

Intanto è arrivato ora nelle sale italiane l’ottimo romeno “Sieranevada” di Cristi Puiu (“La morte del signor Lazarescu”), uno dei più belli dell’edizione 2016, di gran lunga di livello migliore. Una commedia drammatica corale, orchestrata sontuosamente dentro un appartamento da uno dei più innovativi e influenti registi della sua generazione: uno sguardo ironico allo psicodramma di una famiglia che commemora con vicini, amici e parenti, il padre scomparso 40 giorni prima. Un film da non perdere da chi ama il cinema e, ancor più, da chi si interessa all’Europa del sudest: uno degli autori europei più interessanti di oggi e uno dei film più compiuti di questa onda romena.

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