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Bulgaria, l’auto cinese alla conquista d’Europa

Con l’inaugurazione dello stabilimento di Bahovitsa, in Bulgaria, la Great Wall diventa la prima industria automobilistica cinese a produrre in Unione europea. Nonostante i prezzi estremamente contenuti il tentativo di conquistare quote di mercato in Europa resta una sfida. I Balcani, intanto, diventano sempre di più la porta d’ingresso della Cina verso il Vecchio continente

27/02/2012, Francesco Martino - Sofia

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Auto, SUV e pick-up in enormi scatole di plexiglas trasparente, su cui campeggia la scritta “Made in Lovech”, piazzate strategicamente su alcuni degli incroci più trafficati della capitale bulgara Sofia. E’ questa l’insolita trovata pubblicitaria scelta per annunciare l’apertura in Bulgaria della prima fabbrica cinese di auto in un paese dell’Unione europea.

La stabilimento, inaugurato lo scorso 21 febbraio nel villaggio di Bahovitsa, a pochi chilometri dalla città di Lovech (Bulgaria centrale), nasce dalla collaborazione tra la compagnia bulgara Litex Motors (che ha messo a disposizione il 90% dei 97 milioni di euro di investimento iniziale), e l’industria automobilistica cinese Great Wall Motors. Ad inaugurarla il premier bulgaro Boyko Borisov, insieme all’ambasciatore cinese a Sofia Guo Yezhou e al general manager della Great Wall Wang Feng Ying.

Lo stabilimento parte con 150 lavoratori e l’obiettivo di assemblare duemila vetture nel 2012. In caso di risposta positiva da parte del mercato, i piani prevedono a regime duemila lavoratori, cinque modelli diversi e 50mila vetture l’anno, con possibilità di arrivare a 70mila nel 2014.

La strategia industriale della joint-venture sino-bulgara punta tutto sui costi contenuti per conquistare spazio nel settore strategico dell’auto in Europa, puntando non solo a Bulgaria, Romania ed ad altri paesi dell’area, ma anche a mercati consolidati come Spagna e Italia. Ad attirare in Bulgaria la Great Wall (1,2 milioni di vetture sfornate nel 2012), è il basso costo della manodopera, insieme alla possibilità di mettere sul mercato automobili “made in EU”.

“La scelta di creare uno stabilimento in Bulgaria ha lo scopo di rafforzare la nostra capacità produttiva, e di aumentare l’esportazione dei nostri modelli sul mercato europeo”, ha dichiarato Wang Feng Ying. “Da qui a tre anni, saremo in grado di offrire un’ampia gamma di auto in tutti i paesi dell’Unione europea”.

Nello stabilimento di Bahovitsa, in realtà, non si procederà alla produzione vera e propria, ma all’assemblaggio di kit già pronti, spediti dalle fabbriche cinesi. Proprio come accadeva, sempre a Lovech, fino agli anni ’80, quando la sovietica Moskvich inviava nell’allora stato satellite e membro del COMECON automobili incomplete e da montare.

Invasione cinese? Presto per dirlo

Lo sbarco della Great Wall in Bulgaria segna un salto di qualità nella strategia delle compagnie cinesi nei confronti del mercato europeo. Fino ad oggi, sono state le aziende occidentali ad aprire stabilimenti in Cina, diventata negli ultimi decenni la vera “fabbrica del pianeta”. L’iniziativa, però, rappresenta una sfida dai risultati tutt’altro che scontati ed è sicuramente presto per parlare di “invasione cinese”.

Lo stabilimento di Bahovitsa, al momento, rappresenta un investimento a basso potenziale tecnologico, con una catena di montaggio scarsamente automatizzata. Anche la capacità produttiva è limitata. “Lanciare fabbriche automobilistiche vere e proprie costa molto, da 500 milioni a un miliardo di dollari. Solo quando vedremo aziende cinesi fare questo tipo di investimenti, potremo dire di assistere ad un serio tentativo di sbarcare in Europa”, ha dichiarato alcuni mesi fa al New York Times David Sedgwick, redattore dell’Automotive News China.

La Bulgaria, a differenza di altri paesi dell’area, come Serbia e Romania, non garantisce neppure una solida tradizione industriale nel campo automobilistico. L’ultimo tentativo, fatto dalla Rover negli anni ’90 con l’ambizione di conquistare i mercati emergenti dell’Europa orientale, è naufragato velocemente e senza lasciare tracce di rilievo.

Più indietro nel tempo, a fine anni ’60, era stato il gigante francese Renault a installare uno stabilimento a Plovdiv. L’esperimento, durato circa tre anni, portò alla produzione di circa 4mila vetture dal marchio “Bulgarenault”, ma non pose solide radici per l’industria dell’auto nel Paese.

Per la Great Wall, nonostante i prezzi invitanti, non sarà facile conquistare né il mercato bulgaro né quelli dei paesi vicini. Tradizionalmente, gli automobilisti balcanici guardano soprattutto alle marche tedesche (o francesi) come sinonimo di qualità e resistenza, caratteristiche indispensabili su manti stradali spesso malridotti. Ecco perché preferiscono auto occidentali di seconda o terza mano a macchine low-cost, anche se nuove. Una mentalità difficile da cambiare in fretta.

I Balcani, porta d’ingresso all’Europa per la Cina

Con l’arrivo della Great Wall Motors in Bulgaria, i Balcani diventano sempre di più una “palestra” per le aziende cinesi che intendono sviluppare le capacità industriali e tecnologiche necessarie a penetrare il mercato europeo. In questi anni la Cina ha rafforzato la sua presenza in Europa sud-orientale, area considerata strategica nei rapporti col Vecchio continente, puntando soprattutto sui settori minerario, energetico e delle infrastrutture.

Gli investimenti cinesi sono stati massicci soprattutto in Grecia e in Serbia. Da quando il gigante delle spedizioni China Ocean Shipping Company (COSCO) controlla parte importante del porto del Pireo, Atene è diventata il punto d’attracco principale delle merci cinesi nel Mediterraneo, scalzando sia Napoli che Istanbul. Anche grazie al largo programma di privatizzazioni, che il governo greco è stato costretto a lanciare per soddisfare le richieste di UE, FMI e Banca europea, la Cina punta ad acquisire il controllo di altre infrastrutture vitali, come le ferrovie.

Anche in Serbia la Cina continua a fare ottimi affari, come testimoniano l’inaugurazione, nel giugno del 2010, del “China Trade Center Zmaj” nei pressi di Belgrado, o la costruzione da parte della China Road and Bridge Corporation (CRBC) del cosiddetto “ponte dell’amicizia serbo-cinese”: un’opera da 170 milioni di euro che dovrebbe congiungere le sponde del Danubio, tra Zemun e Borča, entro il 2014.

Rimanendo nel campo automobilistico, in questi anni si è poi parlato ripetutamente dell’interesse della DongFeng di acquisire la FAP (Fabrika Automobila Priboj), azienda specializzata in mezzi pesanti, con base nella Serbia occidentale. Per il momento, però, il tanto chiacchierato accordo è rimasto solo sulla carta.

Con la Serbia, intanto, Pechino rafforza legami politici tradizionalmente solidi, cementati dal sostegno della Cina a Belgrado sulla questione del Kosovo. Un rapporto tanto importante da spingere la diplomazia serba a fare esplicitamente del gigante asiatico uno dei “quattro pilastri” (insieme a Bruxelles, Mosca e Washington) della propria politica estera. Anche a costo di mosse controverse e contestate, come quella di boicottare, nel 2010, la cerimonia con cui venne assegnato il Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo.

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