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Bulgaria ed Iraq: Oilgate

E’ uno dei Paesi che si è schierato con più convinzione al fianco degli USA in Iraq. La speranza quella di riuscire a recuperare crediti che la Bulgaria vantava nei confronti del regime di Saddam, partecipare alla ricostuzione e fare bella figura agli occhi dell’amministrazione Bush. Ma dagli USA continuano ad arrivare accuse di "legami pericolosi" tra la Bulgaria e l’ex regime di Bagdad

26/04/2005, Tanya Mangalakova -

Bulgaria-ed-Iraq-Oilgate

In Iraq imperversavano gli attacchi contro gli occupanti, e incominciavano a circolare centinaia di foto di prigionieri iracheni torturati da soldati americani. Ma ecco che il giornale iracheno Al-Mada pubblica un elenco di presunti beneficiari di commissioni pagate su contratti petroliferi stipulati illegalmente dall’Iraq: un attacco contro le Nazioni unite, accusate di corruzione nell’attuazione del programma «Oil for food». Secondo una relazione pubblicata nell’aprile 2004 dal General Accounting Office americano, Saddam Hussein avrebbe accumulato più di 10 miliardi di dollari in prelievi da esportazioni illegali di petrolio e tangenti sui contratti d’importazione. Più recentemente, in una relazione di 900 pagine della Cia, si parla di atti di contrabbando e frodi commessi dal governo iracheno per finanziare quel suo arsenale di armi di distruzione di massa che non è mai stato trovato. La stampa americana di destra si è buttata su queste accuse e ha cercato di sfruttarle al massimo presentandole in termini iperbolici. Nella vicenda è coinvolto anche un cittadino bulgaro, con residenza permanente negli USA. Finanziatore negli ultimi anni del Partito Repubblicano in Patria è considerato molto vicino al Partito socialista bulgaro.

Un cittadino bulgaro, Lyudmil Dionisev, è stato incriminato presso una corte USA per la violazione dell’embargo al regime di Saddam Hussein, Iraq, in particolare in merito al programma Oil for Food delle Nazioni Unite. Arrestato il 14 aprile scorso è stato poi rilasciato su cauzione. Il 18 aprile ha affrontato per la prima volte la corte. Rischia fino a 62 anni di carcere ed una multa di 1 milione di dollari. Alla vicenda hanno dato ampio rilievo tutti i principali mezzi di comunicazione bulgari. Assieme a Dionisev alla sbarra sono finiti anche due inglesi, David Chalmers e John Erwimng, suoi soci in affari nella "Bay oil", società che partecipava al programma "Oil for food".

Chi è Dionisev

24 Chassa, quotidiano bulgaro scandalistico, ha subito scandagliato al vita ed i possedimenti di Dionisev. Una villa di lusso a Huston, in Texas, a pochi chilometri dalla casa dell’ex Presidente USA Bush padre. 450 metri quadrati, 11 stanze ed una piscina.

Dionisev apparteneva alla nomenclatura bulgara "rossa". Sino alla metà degli anni ’90 è stato direttore dell’industria statale "Chimimport". Ha lasciato poi la Bulgaria agli inizi della transizione creando una propria azienda, la "Neftoimpex". Appartiene ad una famiglia benestante. Il fratello Plamen e azionario dell’azienda bulgara "Bul ins" ed assieme ad un altro fratello, Borislav, della "Bulyard". Quest’ultimo è inoltre azionario della bulgara "Machinoexport", una delle aziende che – secondo la CIA – avrebbe intrattenuto rapporti d’affari con il regime di Saddam.

Legami pericolosi

L’arresto di Dionisev ha rappresentato per molti partiti politici bulgari l’occasione per attaccare il Partito socialista bulgaro (ex partito comunista). Lyudmil Dionisev – ha ricordato recentemente Lyuben Dilov, a capo del movimento Gergyovden – era nell’entourage dell’ex primo ministro socialista Andrei Lukanov. Quest’ultimo è stato ucciso nel 1995 ed è sospettato di essere stato uno dei principali "animatori" della cosiddetta "oligarchia economica rossa" collegata all’ex partito comunista.

Nadezhda Mihaylova, a capo di uno dei principali partiti dell’opposizione, l’UDF, ha commentato laconica: "Un’altro scandalo, al quale lo Stato sta reagendo ancora in modo inadeguato". Ha poi aggiunto che al vicenda dimostra una volta ancora come il Partito socialista bulgaro non si è ancora del tutto allontanato dai regimi terroristi nel mondo intero.

Più voci dell’opposizione hanno inoltre richiesto che vengano approfondite le indagini della commissione parlamentare istituita in merito allo scandalo Oil for Food in modo da chiarire le relazioni tra Dionisev e l’ex premier Lukanov. Secondo Yordan Bakalov, sempre dell’UDF, Dionisev avrebbe creato la sua azienda privata, nel campo chimico, su diretta richiesta di Lukanov. Dionisev tra l’altro veniva dalla direzione di un’azienda chimica statale. "Vi è una responsabilità diretta in quanto sta avvenendo del Partito socialista bulgaro e dei suoi quadri. Tutto è collegato a quanto hanno fatto prima e dopo il 1989".

Anche dall’attuale maggioranza di governo, ed in particolare dal partito del Premier Simeone di Sassonia Coburgo-Ghota arrivano accuse al Partito socialista ed ai legami pericolosi sviluppati durante la transizione con alcuni imprenditori per lo meno discutibili. "Credo vi sia un legame diretto tra quanto è successo ed il Partito socialista bulgaro" ha affermato Tosho Peykov, del partito del Primo ministro.

Membri del Partito socialista si sono limitati ad affermare che l’arresto di Dionisev avrà ripercussioni negative sulla Bulgaria.

Non sono le prime accuse che dagli USA e dalla CIA arrivano a carico della Bulgaria in merito a rapporti col regime di Saddam Hussein. Lo scorso ottobre in un dossier CIA si accusavano decine di Paesi – tra i quali la Bulgara – e centinaia di imprese di avere legami sospetti con Saddam Hussein. Secondo questo rapporto 3 aziende Bulgare avrebbero violato l’embargo sugli armamenti ed altre 3 avrebbero commerciato, tra il 1997 ed il 2003, illegalmente in petrolio. Sempre secondo la CIA in un caso i profitti di questi affari sarebbero entrati direttamente nelle casse del Partito socialista bulgaro.

Tra le due aziende accusate di violare l’embargo sul petrolio anche la "Machinoexport" e la "Chimimport", aziende nelle quali sono coinvolti, più o meno direttamente i Dionisev. La prima era diretta da Petar Mandzhukov, considerato un magnate "rosso", vicino al Partito socialista bulgaro.

Lo scorso anno è stata istituita una commissione parlamentare chiamata "Oilgate" per investigare in merito alle affermazioni secondo le quali il Partito socialista bulgaro fosse stato finanziato direttamente dal regime di Saddam. Per mesi non è arrivata dalla commissione alcuna novità. Il suo mandato è stato prolungato sino alla fine della legislatura, il prossimo giugno. Ma in pochi credono che da qui a giugno emergerà qualcosa di nuovo, capace di far luce sulla vicenda. E gli occhi sono tutti rivolti alla magistratura statunitense.

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