Bosnia: volontari e alluvione
A seguito dell’alluvione che ha colpito la Bosnia alcuni volontari padovani del Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace si sono recati nelle zone colpite, per portare materiale di soccorso immediato, ma anche per prendere programmare interventi futuri. Li abbiamo incontrati
Quando siete andati per la prima volta in Bosnia? Cosa avete trovato?
Emanuela: Abbiamo effettuato una prima missione nei giorni 23-25 maggio, per verificare la situazione a Gračanica e Petrovo dove siamo presenti da diversi anni con progetti di cooperazione.
Dopo un viaggio difficoltoso, siamo giunti a Doboj: una desolazione che ti lascia senza parole. Avevamo visto delle immagini via internet, ma trovandoci lì di persona abbiamo visto concretamente gli effetti disastrosi dell’alluvione. Le strade erano ancora ricoperte di fango, fuori da ogni casa erano presenti cataste di effetti personali, indumenti e mobili inutilizzabili perché completamente sporchi di fango. Era possibile vedere il segno dell’acqua nelle pareti esterne degli edifici e vari oggetti appesi agli alberi.
Molti vetri al piano terra degli edifici erano rotti a testimoniare l’irruenza della massa d’acqua che aveva invaso la città nel giro di pochi minuti. Diverse persone ci hanno chiesto cibo e acqua potabile, ma noi avevamo solo secchi, mascherine e guanti portati dall’Italia; abbiamo consegnato tutto facendo una distribuzione casa per casa.
E a Gračanica e Petrovo che situazione avete trovato?
Alma: I danni maggiori sono stati causati dalle frane, un fenomeno che si verifica periodicamente in quelle zone collinose, ma che in quest’occasione ha assunto dimensioni molto gravi. Con noi c’era una geologa di Pieve di Cadore, Laura Paludetti; con lei abbiamo fatto un giro di perlustrazione, accompagnati da un geologo di Tuzla, Amer Džindo, il quale ci aveva fin da subito avvertiti della gravità della situazione.
Strade interrotte, profonde fratture nei fianchi delle colline, molte case gravemente lesionate. Purtroppo non è stato possibile definire un quadro preciso dei danni, perché la situazione era ancora in evoluzione in quanto il terreno si stava ancora muovendo.
Che idea si è fatta la geologa che voi avete accompagnato?
Alma: Secondo il suo parere, non è possibile intervenire nell’immediato perché togliere il materiale alla base delle frane è molto pericoloso. Poi ha aggiunto che ad un certo punto la frana si stabilizzerà, ma poi, se torna a piovere, il terreno si muoverà nuovamente. Quindi le persone che vivono lì non riusciranno a tornare nelle loro case a breve.
Giorgia: Io sono andata la settimana successiva, con un altro gruppo, nel villaggio di Gornja Orahovica. Anche lì numerose frane a causa dell’erosione provocata dall’acqua e alcune case lesionate in modo grave. C’era una casa letteralmente spostata di mezzo metro a valle. La parte alta della collina, a circa cento metri dalla casa, era come sprofondata, invece nella parte inferiore la terra si era gonfiata ed era spuntata una sorgente d’acqua.
Sappiamo che alcuni di voi, nel secondo viaggio, sono stati a Maglaj. Com’era la situazione?
Lejla: Molte case erano state sommerse quasi completamente dall’acqua; defluita l’acqua, le case erano state svuotate e lungo le strade erano ammucchiati mobili, divani, letti, tavoli e tanto altro materiale. A volte i mucchi erano talmente grandi da ostruire il passaggio. E fango, fango ovunque. Il fango che era rimasto sopra ogni cosa quando l’acqua si era ritirata e che ora si trovava ai bordi delle strade, perché era stato spazzato via dalle ruspe come quando si spazza la neve d’inverno.
Giacomo: Lo scenario era drammatico anche a Topcic Polje, un villaggio situato all’apertura di una vallata che era stato sepolto da almeno cinque metri di terra portata giù dai torrenti. Si camminava all’altezza dei tetti delle case e dei pali della luce, in una distesa di macerie, detriti di tronchi e rami. In questa zona le case erano una quindicina, tutte con seri problemi.
Gli abitanti durante la giornata erano tutti lì, ma alla sera venivano ospitati e assistiti in centri d’accoglienza. Ho fatto un giro per capire la situazione: tutti volevano parlarmi, mi mostravano i danni alle case completamente piene di fango, mi facevano entrare a vedere le stanze che avevano già sgombrato. Durante questo giro un ragazzo mi ha indicato casa sua, sotterrata fino alle finestre del primo piano. A fianco un uomo segnalava la presenza della propria con una bandierina della Bosnia, ma della casa non si vedeva niente: dal fango su cui stavamo camminando emergeva solo la fila di coppi del colmo del tetto. Più in là una ruspa scavava seguendo il percorso della strada che è qualche metro più in basso. La terra nera sabbiosa emanava un forte odore di marcio
Vi siete fatti un’idea dell’organizzazione dei soccorsi?
Giulia: Dopo lo smarrimento e le difficoltà delle prime ore, si è messo in moto un meccanismo di solidarietà da parte delle comunità che erano meno colpite verso le famiglie sfollate. Però le condizioni precarie di alcune strade hanno rallentato, in qualche caso, l’arrivo dei generi di primo soccorso. Il sindaco di Petrovo ci ha raccontato che, se ancora non erano arrivati aiuti da Banja Luka o da Sarajevo, avevano però ricevuto aiuti dal Kosovo, dalla Slovenia e da Gračanica.
Giorgia: Nel villaggio di Gornja non solo hanno aiutato le famiglie del posto, ma hanno raccolto materiale vario da inviare coi camion nei paesi più colpiti e bisognosi. Anche nei giorni in cui eravamo là è partito un camion diretto a Zeljezno Polje, un villaggio molto colpito dalle frane.
Qui in Italia ci sono stati pareri discordi sul tipo di aiuti da inviare: portare subito alimentari e altri generi di prima necessità, oppure, in alternativa, organizzare raccolta di fondi per finanziare i progetti per il ripristino e la ripresa della normalità. Voi che idea vi siete fatta?
Lejla: In questi casi è difficile sapere cosa è meglio fare. Noi possiamo solo raccontare la nostra esperienza. Avevamo saputo di un villaggio, Nemila, situato lungo il corso della Bosna, che era stato completamente invaso da acqua e fango. Subito siamo andati ad acquistare farina, zucchero, sale, olio, riso, burro, un po’ di caffè e cioccolata e poi sapone, disinfettante e altro materiale di prima necessità. Siamo riusciti così a preparare 35 “borsette” con generi vari, per aiutare 35 famiglie. Però, arrivati nel villaggio, una sorpresa: là vediamo una sorta di magazzino, dalle finestre si intravedono sacchi di vestiti e cibo, una persona è davanti alla porta. Si dice in giro che questo tipo di organizzazioni sono da evitare, si tengono gran parte della roba che gli arriva.
Quindi era superfluo portare aiuti materiali?
Giacomo: Noi però abbiamo deciso di addentrarci per una vallata. Lungo il torrente vi erano montagne di terra. Ad un certo punto abbiamo incrociato un gruppo di persone, attorno ad una monovolume con targa ungherese con volontari che stavano distribuendo aiuti mentre cucinavano qualcosa in un gran pentolone.
Ci siamo fermati anche noi, abbiamo aperto il portellone del furgoncino e ci siamo trovati circondati da almeno una cinquantina di persone con le mani tese. In furgone avevamo 35 borse e avevamo almeno tre villaggi da visitare. Abbiamo allora deciso di lasciare una decina di borse ai primi che erano davanti. Poi siamo ripartiti.
In un punto in cui la strada cominciava a salire siamo stati fermati da un gruppo di donne e bambini che scendevano a piedi. Ci hanno detto che la strada era interrotta e che su al villaggio la gente era stata evacuata con l’uso di elicotteri. Però loro, insieme ad altre poche famiglie, sono rimaste là. Abbiamo consegnato loro alcune borse dando loro il compito di portarne anche alle altre persone del villaggio che ne hanno bisogno. Intanto è arrivato un vecchio che si è messo ad aspettare in disparte senza dire una parola, quando gli ho dato una borsa gli tremavano tanto le mani che quasi non riusciva ad afferrarne i manici.
Quali sono le previsioni per una ripresa della normalità?
Andrea: Per il ritorno alla normalità, i sindaci ci hanno detto che ci vorrà molto tempo. Il sindaco di Gračanica ci ha riferito che la preoccupazione maggiore è per Doboj, con il pericolo di epidemie. L’acquedotto, sia nella città che nei villaggi, ha subito gravi danni a causa delle frane ed è fuori uso per problemi di contaminazione batterica.
Anche se Gračanica e Petrovo sono comuni non molto grossi, per ripristinare le infrastrutture (strade, ponti, acquedotti, linee elettriche), e per intervenire sulle frane, saranno necessari fondi ingenti. Il sindaco di Gračanica ci ha detto sconfortato di aver calcolato che per coprire le spese sarà necessario l’equivalente del budget comunale totale dei prossimi cinque anni. Poi un’altra frase: "C’è stata la guerra e siamo riusciti a riprenderci, ma il danno che c’è stato ora è forse peggiore di quello causato dalla guerra“.
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