Bosnia, maggio 2004 (1)
Il protettorato Bosnia Erzegovina sta scricchiolando. Un aggiornamento sulle recenti vicende politiche ed economiche nel Paese, sui principali fatti di cronaca e sull’andamento del processo di riconciliazione.
Tutti gli organi di informazione della Bosnia Erzegovina (BiH) hanno dato nei giorni scorsi ampio risalto alla decisione della Banca Mondiale di ritirare un prestito di 12 milioni di dollari, per il rifiuto del Parlamento bosniaco di adottare la legge sulla riforma della educazione (v. "La BiH perde 12 milioni di dollari", Oslobodjenje 12 maggio ’04). La decisione è stata comunicata ai giornalisti dal direttore dell’ufficio della Banca Mondiale a Sarajevo, Dirk Reinermann. La legge, sostenuta dal governo, è stata bloccata alla Camera Alta del Parlamento dai deputati croato bosniaci, in particolare dell’HDZ (Unione Democratico Croata) che hanno fatto riferimento alla necessità di proteggere "vitali interessi nazionali" (leggi: l’Università di Mostar). Secondo i parlamentari HDZ, nella legge non ci sarebbero meccanismi di protezione della lingua e cultura croata nella Federacija BiH, (una delle Entità in cui la Bosnia è divisa) dove i Bosgnacchi (Bosniaco Musulmani) sono maggioranza rispetto ai Croato Bosniaci, sostenendo la necessità di regolare la questione a livello statale. Questa ipotesi è tuttavia osteggiata dalle autorità della Republika Srpska (l’altra Entità), che vogliono mantenere la propria autonomia in questo settore. Come risultato, la legge è stata respinta, con la (prevista) conseguenza del ritiro del prestito garantito dalla Banca Mondiale. La decisione dell’organismo internazionale è ancora più grave se si considera che dal primo luglio prossimo la Bosnia perderà lo status di nazione "post conflitto" e quindi il diritto di ottenere assistenza a condizioni favorevoli (dal 1996 la Banca Mondiale ha investito in Bosnia circa un miliardo di dollari.)
Lo scontro sulla vicenda della riforma dell’educazione – e l’attuale stallo parlamentare – allude alla situazione più generale in cui versa la Bosnia di Dayton.
Da Dayton a Bruxelles?
L’ultimo intervento di Paddy Ashdown, Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina, è titolato: "Da Dayton a Bruxelles" (Ohr, 12 maggio ’04). Cogliendo l’occasione del prossimo secondo anniversario del suo mandato (27 maggio), Ashdown ricorda i traguardi raggiunti: la libertà di movimento all’interno del Paese, una valuta stabile, un sistema politico basato su elezioni libere e democratiche, il ritorno nelle proprie case di circa un milione di rifugiati e sfollati.
L’Alto Rappresentante pone l’accento sul lavoro fatto per il rafforzamento dello Stato. Tra le riforme realizzate nel corso del biennio, Ashdown ricorda quella del sistema doganale (uniformato), la nuova Corte (e Procura dello Stato), il rafforzamento del ruolo del Primo Ministro, la creazione di un unico Ministero della Difesa – e quindi la attribuzione allo Stato del controllo delle forze armate, sottratto alle Entità – e la unificazione dei servizi di sicurezza, ora sotto il controllo del Parlamento.
La Bosnia – afferma Ashdown – resterà sempre uno Stato decentralizzato. "Ma i caratteri di un sistema federale funzionante stanno finalmente emergendo…". Il documento prosegue sottolineando che autorità bosniache e comunità internazionale hanno ora obiettivi comuni: l’adesione alla Nato – attraverso il possibile prossimo ingresso nel programma di Partnership per la Pace – e alla Unione Europea. "C’è chiaramente ancora molto da fare …. Ma le prospettive perché la BiH divenga uno stabile e prospero Stato dell’Europa sono in questo momento migliori che in ogni altro periodo della sua storia post bellica."
Dalla SFOR alla EUFOR
Incontrando gli studenti della Facoltà di Giornalismo di Sarajevo il 9 maggio scorso, giornata dell’Europa, insieme al collega francese de Fagiani, l’Ambasciatore tedesco in BiH, von Kittlitz, ha sottolineato l’aspetto più evidente del trasferimento della presenza internazionale nel Paese alle strutture di Bruxelles. Dopo aver ricordato che: "L’Alto Rappresentante ha sempre avuto ‘un cappello europeo sulla testa’, e presto ci sarà un Alto Rappresentante europeo", von Kittlitz ha parlato del previsto passaggio di consegne dalla SFOR (forza a guida Nato che presiede al mantenimento della pace in BiH) ad una forza militare europea (EUFOR), entro la fine di quest’anno. Per quanto riguarda gli Americani, l’Ambasciatore ha ricordato che: "Non è in programma un coinvolgimento delle forze americane all’interno della EUFOR, ma gli Americani resteranno in Bosnia con proprie forze all’interno della NATO o sulla base di accordi bilaterali." (Vecernji List, 12 mag)
Su questo era stato più preciso il mese prima l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’UE, Javier Solana, dichiarando nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles che: "La maggior parte delle forze sara’ europea, sotto il comando di Eufor. La Nato manterra’ circa un centinaio di uomini, non di piu’, verosimilmente con due obiettivi principali: la caccia ai criminali di guerra e l’aiuto a preparare le forze armate bosniache a diventare membri del ‘Partenariato per la pace’ della Nato." (Ansa, Bruxelles, 6 aprile)
Secondo Dnevni Avaz (7 aprile), il comando sarà britannico, e le truppe EUFOR in Bosnia dovrebbero essere composte da circa 7.000 soldati. La fine della missione SFOR potrebbe essere ufficialmente dichiarata al summit Nato di Istanbul del luglio prossimo.
In Europa, come?
Dopo la operazione condotta alla ricerca di Radovan Karadzic dalla SFOR nell’aprile scorso a Pale, nel corso della quale sono stati feriti il Pope Starovlah e il figlio, il presidente del Partito Democratico Serbo (SDS), ha dichiarato: "La Republika Srpska è in pericolo … sia all’interno che all’esterno, più di quanto non lo sia mai stata dal momento della sua costituzione 12 anni or sono." Kalinic ha poi ribadito che l’SDS si è impegnato nel cammino della Bosnia verso l’Europa, ma non di una Bosnia centralizzata. L’intervista si conclude con un laconico commento alla proposta – avanzata nelle settimane scorse – di cambiare il nome della Republika Srpska: "Tihic (leader del Partito dell’Azione Democratica SDA, ndr) sta giocando col fuoco, e con le sue dichiarazioni mette a rischio tutto quello che è stato raggiunto nel periodo post bellico… Nessuno è autorizzato a pensare che i Serbi in RS siano pronti ad accettare in silenzio e pacificamente di ritornare al 1992."(Blic, 11-12 aprile)
Sinisa Markovic, della Alleanza Popolare Serba (SNS), si è spinto oltre. Secondo il politico (Blic, 19 aprile), l’unica opzione rimasta ai Serbi in Bosnia sarebbe quella di porre la questione della indipendenza della RS dalla Bosnia Erzegovina, della sua separazione e annessione alla Serbia. Obiettivo di Ashdown – viene riportato all’interno dell’articolo di Blic – sarebbe quello di raggiungere gli obiettivi di guerra di Alija Izetbegovic. Le dichiarazioni di Markovic sono riprese anche da Dnevni List (19 aprile): "Ashdown si comporta come un dittatore. La occupazione della RS, abilmente mascherata fino ad ora, sta diventando una forma di occupazione esplicita e diretta."
L’Alto Rappresentante non ha potere sulla pioggia
Anche a prescindere da questo tipo di retorica, tuttavia, non sembra che Ashdown (la comunità internazionale?) goda in questo momento di un grande favore nel Paese. Vecernji List, alla fine di aprile, ha riportato i risultati di un sondaggio condotto dall’Istituto per gli Studi Medio Orientali e Balcanici di Ljubljana (IFIMES). Secondo il sondaggio, condotto su 2.101 cittadini bosniaci, oltre il 70% della popolazione non ha fiducia in Ashdown e nella politica che quest’ultimo porta avanti in BiH.
Critiche arrivano anche da posizioni più autorevoli. Alla Assemblea annuale della sezione bosniaca del Comitato Helsinki per i Diritti Umani, il presidente, Srdjan Dizdarevic, ha sottolineato (Oslobodjenje, 29 aprile) che l’Alto Rappresentante continua a perseverare nella pratica di imporre ordini, dimenticando la necessità di rafforzare istituzioni democratiche. Dizdarevic ha poi aggiunto che la comunità internazionale ha poteri enormi ma non risponde a nessuno quando viola le leggi e i diritti umani, come nel caso dei raids della SFOR … La posizione della comunità internazionale – ha concluso – dovrebbe essere ridefinita e portata al livello di una relazione di partenariato.
In una intervista apparsa su Vecernje Novosti qualche giorno prima, il 28 aprile, anche il presidente della Republika Srpska, Dragan Cavic, era intervenuto sulla questione dei poteri dell’Alto Rappresentante, commentando: "Gli manca solo il potere sugli eventi naturali, come la neve o la pioggia, le colline e le vallate." Secondo Cavic, la comunità internazionale sta solamente cercando una via d’uscita dalla Bosnia, che sia anche una via d’uscita per la Bosnia, e questa è la sintesi di tutto quanto sta avvenendo in questo momento nel Paese. Rispetto alle iniziative avanzate per la revisione degli accordi di Dayton, Cavic ha affermato: "Si tratta di iniziative ridicole. Questo non può avvenire senza il consenso dei Serbi. Non mi aspetto nessun cambiamento forzato di Dayton."
Risiko
Curiosamente, un cambiamento dell’assetto istituzionale bosniaco che potrebbe non essere inviso a Cavic è stato proposto proprio da un funzionario internazionale. Erich Reiter, del Ministero della Difesa austriaco, avrebbe dichiarato (Glas Srpske, 12 maggio) che la soluzione del problema del Kosovo non dovrebbe escludere la possibilità di modificare i confini nella regione balcanica: "Bisognerebbe considerare l’indipendenza del Kosovo offrendo la possibilità alla parte settentrionale della provincia di unirsi alla Serbia. Si potrebbe anche tenere un referendum in Republika Srpska sulla unificazione con la Serbia."
Sul piano istituzionale, dalla regione arrivano segnali di maggiore cautela. Il 21 aprile si è tenuto proprio a Sarajevo il settimo summit del South East Europe Cooperation Process (SEECP). I nove capi di Stato e di governo della regione, che hanno partecipato alla conferenza, hanno adottato una Dichiarazione finale che, oltre a enfatizzare l’importanza della cooperazione regionale, della integrazione euro atlantica, della stabilità e della pace, afferma esplicitamente (Dnevni List, 22 aprile) che "i confini nella regione devono rimanere quelli attuali."
La Associazione "Bosnia Erzegovina 2005" ha raccolto intorno a sé autorevoli esponenti del mondo politico e culturale bosniaco, e della comunità internazionale, proprio per avviare un percorso di riflessione sul futuro istituzionale del Paese. All’inizio di maggio, l’ex Alto Rappresentante Wolfgang Petritsch ha partecipato a Sarajevo ad uno dei seminari che costituiscono le tappe del cammino proposto dalla Associazione. Petritsch ha dichiarato (BHTV 1, 7 maggio) che "La Bosnia non ha raggiunto molto 10 anni dopo Dayton", e che le autorità bosniache devono muoversi verso l’Europa da sole. Nelle sue conclusioni, il seminario (FTV, 7 maggio) ha affermato che la Bosnia deve rivedere il proprio assetto costituzionale, dato che quello attuale presenta ostacoli allo sviluppo futuro del Paese, e le Entità rappresentano un ostacolo a che la BiH divenga membro della Unione Europea…
Milan Lukic, Novica Lukic
Dopo mesi di aspre polemiche tra comunità internazionale e autorità della Republika Srpska (RS) sulla non collaborazione di queste ultime con il Tribunale dell’Aja, la polizia della RS ha condotto una prima azione per arrestare un ricercato.
Il 18 aprile scorso, pochi giorni dopo la decisione dell’Alto Rappresentante di bloccare i fondi dell’SDS – il partito è sospettato di non aver interrotto i legami con il suo fondatore ed ex leader, Radovan Karadzic – forze speciali della Polizia della RS sono intervenute a Visegrad per arrestare gli indiziati Milan e Sredoje Lukic. Milan, 37 anni, era comandante del gruppo paramilitare delle Aquile Bianche, cui apparteneva anche il cugino Sredoje, 43 anni. Dal 1998 erano entrambi ricercati dal Tribunale dell’Aja per i crimini commessi ai danni della popolazione bosniaco musulmana nella zona di Visegrad, tra l’aprile ’92 e l’ottobre ’94, crimini che includevano l’omicidio, la tortura, il saccheggio, la distruzione di proprietà.
Nel settembre 2003, anche un Tribunale serbo aveva condannato (in contumacia) Milan Lukic a 20 anni di carcere per il rapimento e l’assassinio di 16 persone, avvenuto nel 1993. Un autobus di linea serbo era entrato in Bosnia per percorrere una parte del proprio tragitto. I paramilitari lo avevano fermato, avevano fatto scendere i passeggeri identificati come Mulsulmani e li avevano assassinati. Un passeggero (serbo) di quel pullman era riuscito a salvare un ragazzino (musulmano) dicendo che era suo nipote. Il ragazzo aveva poi potuto testimoniare nel corso del processo. La vicenda è conosciuta come il "caso Sjeverin".
Il mese scorso, la polizia della Republika Srpska si è infine presentata a casa di Milan Lukic, a Visegrad, per arrestarlo. L’operazione non è andata come previsto. Milan non era in casa al momento del raid. C’era il fratello, Novica, ucciso dai poliziotti nel corso dell’irruzione.
La fallita operazione è stata accolta come il primo atto concreto che dimostrava una concreta volontà di collaborare delle forze della RS con la comunità internazionale, e con il Tribunale dell’Aja. L’Alto Rappresentante, Ashdown, ha dichiarato che la polizia della RS aveva agito correttamente, e che finalmente le autorità dell’Entità avevano cominciato ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dell’Aja.
In Republika Srpska, però, l’uccisione di Novica Lukic ha scatenato reazioni diverse. Più di 5.000 persone hanno partecipato ai suoi funerali, il 20 aprile, e altre 10.000 hanno manifestato a Visegrad lo stesso giorno in protesta.
Il comandante delle forze speciali della polizia della RS, Dragan Lukac, a capo dell’operazione, forse in un tono un po’ naive ha dichiarato: "Mi avevano dato i nomi di tre criminali di guerra, che dovevano essere arrestati prima del primo maggio di modo che i politici potessero conservare i propri posti e la BiH potesse entrare nella Partnership per la Pace della Nato. La Corte distrettuale di Srpsko Sarajevo ci aveva ordinato di perquisire la casa e arrestare Milan e Sredoje Lukic. Tutte le nostre informazioni su Milan Lukic indicavano che dovevamo sorprenderlo per avere successo, dato che è armato e pericoloso." (Nezavisne Novine, 23 aprile 2004)
Nei giorni successivi al raid, tuttavia, una inchiesta indipendente dell’Institute for War and Peace Reporting ("Bosnia, la polizia serba colpisce informatore", di Nerma Jelacic, Tanja Matic e Hugh Griffiths), ha raccontato una storia diversa. Invece di una operazione volta alla cattura dei due indiziati, si sarebbe trattato di una esecuzione a freddo. Secondo l’inchiesta, infatti, Milan Lukic, pressato da più parti, era nel frattempo diventato un collaboratore del Tribunale dell’Aja, che passava alla Procura Internazionale informazioni sul latitante n.1, Radovan Karadzic. Proprio il giorno del raid, avrebbe dovuto incontrare un agente del Tribunale per fornirgli documentazione relativa ad una estesa rete di narcotraffico, che andava a sostegno della latitanza di Karadzic, coinvolgendo anche la polizia della RS. Novica, scambiato per il fratello Milan, sarebbe stato ucciso senza troppi complimenti, pagando le conseguenze della collaborazione del fratello.
La lapidaria testimonianza sulle circostanze dell’operazione fornita a IWPR dalla moglie di Novica, Ruzica, sembra confermare l’ipotesi: "Siamo stati svegliati alle 7 dal rumore della porta di casa che veniva abbattuta. Novica si è alzato dal letto, ancora in pigiama, ha fatto due passi dal letto alla porta della camera, ha aperto la porta ed è stato immediatamente colpito dall’ingresso."
Dopo essere stato ferito, ormai a terra, Novica sarebbe stato finito con alcuni colpi sparati a bruciapelo. La traiettoria dei proiettili rilevata dai reporters confermerebbe la storia.
La stampa bosniaca ha ripreso la inchiesta IWPR, spingendosi oltre nella valutazione del suo reale significato. Secondo Dnevni Avaz, le forze speciali non avrebbero ucciso Novica scambiandolo per Milan, presunto collaboratore dell’Aja. Il testimone scomodo sarebbe stato proprio Novica.
Dnevni Avaz (7 maggio) ha infatti titolato: "Novica Lukic aveva dato delle informazioni all’Aja e per questo la polizia speciale della RS lo ha ammazzato." Secondo il quotidiano sarajevese, che cita una "ben informata fonte di intelligence nel Paese", il vero scopo della polizia di Visegrad era quello di uccidere Novica Lukic, in quanto informatore del Tribunale dell’Aja, e non il fratello Milan. Secondo la fonte, "l’ala estremista dell’SDS era a conoscenza del ruolo di Novica Lukic e aveva deciso di rimuovere un testimone scomodo che avrebbe anche potuto rivelare particolari su affari che vedrebbero coinvolti oltre a forze mafiose anche una parte della polizia della RS."
Mirijana Trbojević
Pochi giorni più tardi, un altro caso poco chiaro, sempre in Republika Srpska. Il 9 maggio, la giudice Mirijana Trbojević è morta nel proprio appartamento di Banja Luka per l’esplosione di una bomba a mano. La morte, liquidata frettolosamente all’inizio come un caso di suicidio, sulla base dell’inchiesta in corso assomiglia sempre più ad un omicidio. Vecernji List, il 12 maggio, ha titolato "Non è chiaro se il giudice si sia ucciso", citando diversi particolari dell’inchiesta.
Danas ha pubblicato il 12 maggio scorso una breve nota biografica sulla giudice. Secondo gli amici, Mirjana Trbojević, "aveva avuto successo sia come donna che lavorava che come madre … e non aveva alcun motivo per togliersi la vita." Voci riportate dal quotidiano belgradese riferiscono che la Trbojević era entrata in un processo delicato relativo al cosiddetto caso "Hajdučke vode". Durante una azione di polizia, il 20 agosto dello scorso anno, presso Teslic, un uomo, Predrag Bijelić – secondo l’accusa disarmato e che non stava resistendo all’operazione – era stato ucciso, 14 poliziotti della RS erano stati sospesi. Al Tribunale di Banja Luka hanno tuttavia detto che si tratta solo di voci negando ogni collegamento tra le vicende.
(1 – continua)
Vai al secondo articolo della serie:
Vedi anche:
La Bosnia da Karadzic a Ashdown
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