Bosnia Erzegovina: un milione di profughi, ancora oggi
Sono passati sei anni dagli Accordi di Dayton e un po’ di diffidenza permane, ma ci auguriamo che sia la tolleranza a vincere quest’ultima battaglia in Bosnia.
In Bosnia Erzegovina, nel corso del 2001, 87 mila profughi sono ritornati nelle loro abitazioni, ossia il 9% di tutti i rientri dalla fine della guerra. Ma un milione di bosniaci vive ancora lontano dalla propria casa, e la metà si trova all’estero. Un articolo del nostro corrispondente da Mostar con i dati sui ritorni di quanti sono stati espulsi dalla propria terra nel corso delle guerre degli anni ’90. E sui problemi tuttora irrisolti, nell’anno 2002, sette anni dopo gli Accordi di Dayton.
Un milione senza patria…
La guerra in Bosnia Erzegovina ha costretto in tutto 2,2 milioni di persone ad abbandonare la propria casa, ma finora solo la metà ce l’ha fatta a tornare. Più di un milione di bosniaci dunque non è ancora rientrato nel posto in cui abitava prima della guerra. Di questi 600.000 vivono all’estero, mentre oltre mezzo milione si trova in Bosnia anche se fuori dalla propria casa. Sono cifre molto elevate, e per di più è assai difficile prevedere se e quando tutti i profughi potranno tornare ai loro focolari.
Secondo i dati dell’Unione dei rifugiati di Bosnia Erzegovina, sono oltre 100 i paesi in tutto il mondo dove hanno trovato rifugio negli anni della guerra tantissimi cittadini bosniaci. E molti di loro sono ancora lì… Quanti non torneranno mai in Bosnia è difficile dirlo, ma è certo che il processo dei rientri avanza lentamente. Per quanto riguarda i profughi rimasti entro i confini del paese, alla fine del 2001 risultano irrisolti ben 557.275 casi. La metà si trova attualmente nella Federazione croato-musulmana, il 46% nella Republika Srpska mentre il restante 4% nel distretto autonomo di Brcko.
Dagli Accordi di Dayton del 1995 ad oggi sono stati registrati 811.095 ritorni, di cui 385.788 da un paese straniero (rifugiati) e 425.307 da altre aree della stessa Bosnia Erzegovina (sfollati). Il numero maggiore di rientri si è avuto in Federazione – il 76,9% del totale – mentre poco più del 20% dei casi hanno riguardato la Republika Srpska (Dati Unhcr).
Tra i profughi rimasti all’estero, molti hanno dovuto cambiare paese di accoglienza perché, finita la guerra, alcuni paesi, e in particolar modo la Germania, non erano più disposti ad ospitarli. Per tale motivo 214.000 bosniaci all’estero hanno cambiato paese di asilo. Dei 602.000 che in totale sono oggi residenti all’estero, 391.000 sono riusciti, in un modo o nell’altro, a sistemarsi, ottenendo la cittadinanza o almeno un permesso di soggiorno permanente. Altri 211.000 invece non sono ancora riusciti a regolare il proprio status.
Nel 2001 qualcosa si è mosso
Il 2001 non è stato l’anno più fruttuoso per quanto riguarda il processo del ritorno. Tuttavia è sempre un buon risultato quello di 87.121 rientri registrati ufficialmente al 30 novembre, cifra che costituisce il 9% di tutti i ritorni nel dopo Dayton. In particolare è aumentata la percentuale di ritorni nella Federazione croato-musulmana, che costituisce il 55% del totale, contro il 42% della Republika Srpska.
Il processo di ritorno porta con sé moltissimi problemi: a volte le case non sono ancora ricostruite, il lavoro manca, si fatica a mettere in regola i documenti per la pensione o l’assicurazione… Ci sono casi in cui la gente torna nel proprio villaggio, ma trovando le case ancora occupate, si costruisce una tendopoli dove vive ammassata in condizioni terribili. Altri tornano nella città da dove sono stati cacciati, ma non riescono a tornare in possesso della casa e si devono trovare perciò una stanza o un appartamento in affitto. Senza lavoro si può sopravvivere i primi tempi grazie ai soldi risparmiati all’estero, ma dopo un po’ la situazione si fa pesante e trovare un impiego è molto difficile.
Le domande fatte per il ritorno della proprietà sono state finora 257.000, e di queste ne sono state risolte il 37%, ovvero 93.700 circa. E’ importante dire che proprio nell’ultimo anno sono giunti a soluzione ben 53.180 casi, cioè oltre la metà del totale: è stato dunque un anno molto fruttuoso. Le zone del paese in cui il ritorno è tuttora un problema aperto sono quelle di Podrinje e il cantone Herzegovina-Neretva.
I problemi di tutti: lavoro, scuola, reinserimento
Uno dei leader nel processo di ritorno che sta interessando il cantone di Tuzla – Fadil Banjanovic – ritiene che in questo momento sono circa 150.000 le persone che stanno rientrando in quella zona (FTV 05,genn 2002). "Il problema ormai non è più di tipo politico – sottolinea Banjanovic – ma economico". Nella zona di Zvornik, Sekovici e Celici, ad esempio, le case sono rifatte, ma la gente che torna è poca. Sono state fatte molte statistiche, ma mancano sempre i dati sullo sviluppo economico: quante mucche, pecore e capre sono state distribuite ai ritornati? Quante fabbriche sono state riavviate? Quante macchine nuove acquistate… La sabbia necessaria per la ricostruzione arriva da Sarajevo e Banja Luka, mentre in zona questo materiale si trova in abbondanza. Tonnellate di alimentari, prodotti dai contadini rientrati, marciscono nelle cantine perché mancano gli acquirenti, ma dall’altra parte il cibo viene importato dall’Ungheria. Mancano tante cose, ma più di tutti pare il buon senso…
Il processo di rientro è stato sostenuto con i finanziamenti della comunità internazionale, dei singoli governi e delle numerose ONG operanti nel paese. Col tempo però i fondi sono sempre diminuiti. "Nel 1998 per i progetti umanitari di questo tipo le organizzazioni internazionali hanno donato 100 milioni di marchi convertibili; nell’anno successivo erano solo 30 milioni, e nel 2001 addirittura 15 milioni di Km", ha dichiarato Musair Penava, ex ministro per i profughi del cantone Erzegovina-Neretva (Oslobodjenje, 05.01.2002). Il governo di questo cantone, nel proprio budget, non ha in previsione finanziamenti per facilitare il ritorno. E la situazione non è molto migliore negli altri cantoni: il già citato Fadil Banjanovic si è lamentato, in un’intervista, che i soldi per i rientri sono stati usati per ricostruire le città di Sarajevo, Tuzla e Zenica. "Chiediamo che i soldi tornino ai veri destinatari, cioè ai profughi" (Jutarnji
list, 01.02.2002).
Oltre ai problemi economici, restano poi quelli politici, legati al processo di rientro. Ci sono zone in cui le minoranze tornano ancora con molta cautela e un po’ di paura, e bastano un paio di incidenti per rinfocolare questo timore. Nel 2001 (i dati sono aggiornati al novembre 2001) sono avvenuti 80.993 ritorni di cosiddette minoranze, ossia di cittadini di un gruppo nazionale in un’area in cui la maggioranza appartiene ad un altro gruppo. Data la particolarità dell’area, tutti i 2.314 ritorni registrati a Brcko, sono considerati rientri di minoranze.
Come dicevamo, provocazioni e incidenti non sono mancati neppure nell’anno passato. Uno dei casi di cui si è parlato di più è stato l’assassinio di Meliha Duric, i cui colpevoli non sono stati mai trovati. Ma gli incidenti più gravi sono stati senza dubbi quelli di Trebinje e Banja Luka, dove la posa della prima pietra per la ricostruzione delle rispettive moschee, ha fatto scoppiare gravi incidenti con diecine di feriti tra i profughi musulmani. Altre volte tutto si è limitato a minacce come le scritte "Morte ai serbi" e "Cetnici tornate a casa" apparse a Borun, nei pressi di Kupre, dove i serbi, rientrati dopo molti anni, stavano per superare in numero i croati locali. Ma ci sono stati anche degli omicidi: Seid Mutapcic, musulmano rientrato, è stato ammazzato nella zona serba di Pale; il serbo Gojko Petricevic è stato ucciso vicino a Ilijas, comune controllato dai musulmani e così via… (Dati tratti dal Rapporto annuale del Comitato di Helsinki della Bosnia Erzegovina)
Un altro problema rilevante per il reinserimento nella nuova-vecchia vita è quello del sistema scolastico, ancora purtroppo irrisolto. I giovani che appartengono ad una minoranza attualmente vengono emarginati, e non si trovano a proprio agio con quanti "parlano un’altra lingua" (serbo, croato, o bosniaco) o praticano "un’altra religione". I programmi di storia e letteratura sono profondamente diversi per i tre gruppi, e così via… Il caso forse più noto è quello della scuola di Stolac, in Erzegovina, dove un’organizzazione norvegese ha ricostruito l’edificio scolastico e l’ha fornito di computer e attrezzature moderne per metterle a disposizione tanto dei ragazzi croati che di quelli musulmani. Le cose purtroppo non sono andate così, ed i ragazzi musulmani sono stati messi in due piccole classi senza poter utilizzare i computer. In questo
caso hanno reagito l’Ufficio dell’Alto Rappresentante della comunità internazionale e la Polizia internazionale. Ma in molti altri casi?
L’inserimento di quanti tornano dopo anni alle proprie case è sempre difficile, in particolare laddove sono una vera e propria minoranza. Con il tempo però, e con un numero maggiore di rientrati dello stesso gruppo nazionale, il timore e la paura si perdono e subentra la fiducia. Sono passati sei anni dagli Accordi di Dayton e un po’ di diffidenza permane, ma ci auguriamo che sia la tolleranza a vincere quest’ultima battaglia in Bosnia.
Vedi anche:
Umanitarismo tra business e turismo
Comitato di Helsinki della Bosnia Erzegovina
United Nations Mission in Bosnia Herzegovina
Religione e politica in Bosnia-Erzegovina
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