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Bosnia Erzegovina: il ritorno del comandante

A seguito dell’assoluzione presso il Tribunale internazionale dell’Aia dell’ex comandante dell’Esercito della BiH Sefer Halilovic, il noto giornalista Emir Suljagic interviene con un editoriale sulle pagine del settimanale sarajevese DANI. Nostra traduzione

23/11/2005, Redazione -

Bosnia-Erzegovina-il-ritorno-del-comandante

Di Emir Suljagić, 18 novembre 2005, DANI, (tit. orig. Sefer)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak

Era il 26 ottobre 1993. Quel giorno a Sarajevo non echeggiavano le granate, ma la capitale assediata faceva i conti con il crimine tra le proprie fila. Musan Topalovic Caco era stato ucciso, Ramiz Delalic Celo si era arreso a Haris Silajdzic e per la prima volta dall’inizio dell’aggressione i rapporti sui morti e i feriti non erano conseguenza delle azioni dei cetnici ma dei locali. Le prigioni militari e civili erano troppo piccole per ricevere gli oltre 250 militari dell’Armija BiH arrestati, membri della "Decima brigata di montagna" e della "Nona brigata motorizzata del primo corpo". All’ombra dell’ampia offensiva dello stato di diritto era rimasta una notizia non confermata: Sefer Halilovic, il primo comandante dell’Armija BiH, era stato arrestato quella mattina nel suo gabinetto di comandante del Comando dello stato maggiore.

Già il giorno successivo, sul tavolo del comandante del Servizio di sicurezza militare del Comando maggiore dell’ARBiH Jusuf Jasarevic, era possibile ricostruire il massacro avvenuto nella notte dell’8 e 9 settembre 1993. Nel villaggio Grabovica erano stati uccisi 33 civili – la più giovane vittima era una bambina che non aveva nemmeno sei anni. Fra gli uccisi c’erano vecchi, donne, bambini, persino una donna incinta. Tutto questo Jasarevic lo poteva leggere nei rapporti dei soldati arrestati della Nona brigata motorizzata e della Decima brigata di montagna.

A dire il vero quel crimine spaventoso non aveva trovato spazio nei radio-rapporti sull’azione Neretva ’93: nel corso dell’azione arrivavano fino a Sarajevo le cannonate dei festeggiamenti per i successi dei gigli d’oro ed i numerosi chilometri quadrati delle gole erzegovesi presumibilmente liberati. Ma quel crimine non era un segreto – su di esso, lo si scoprirà nei giorni successivi, sapeva tutto pure lo stesso Alija Izetbegovic.

Ma per garantire la ragion di stato si era deciso a favore della soluzione seguente: si tolse di torno Caco, si lasciò Celo, e si tenne Sefer agli arresti domiciliari. Sulle spalle da militare di quest’ultimo avevano caricato tutto il peso di Grabovica e man a mano che emergevano le scoperte sul più mostruoso crimine compiuto contro i croati nella scorsa guerra, si attendevano tempi migliori per una finale resa dei conti. Sembrava – otto anni dopo, nell’autunno del 2001 – che il lavoro sporco l’avrebbe portato a termine il Tribunale dell’Aja.

Ma, come succede sempre nei bei film, ha trionfato la giustizia. Sefer Halilovic è tornato da Scheveningen con tutte le onorificenze che si era meritato nel suo primo anno di battaglie per la Bosnia ed Erzegovina. Dalle sue vesti militari ha lavato finalmente tutte quelle sporche tracce delle battaglie fatte negli uffici, in un periodo in cui era molto più necessario rimanere sulla prima linea del fronte, e adesso nella sua biografia bellica può tracciare una linea molto netta: le battaglie condotte con l’Armija BiH di cui era comandante e quelle condotte nei tribunali. Paradossale ma vero: Sefer Halilovic nell’aula dell’Aia ha ottenuto la conferma che quell’esercito di cui era al comando era ed è rimasto come l’aveva creato. Nient’altro che un esercito di patrioti bosniaci dediti alla difesa della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina.

E’ quell’armata con le scarpe da ginnastica e i jeans, è quell’esercito di difensori dove vi era a disposizione un solo fucile ed un caricatore di munizioni ogni tre militari, al quale di giorno e di notte tra i fossi faceva visita Jovan Divjak (generale serbo che combatteva tra le fila dell’Armija, ndt), e dove Stjepan Siber trascorreva le sue ore mostrando ai militari come dovevano comportarsi ed a rispettare i gradi. Sì, tra le fila di quest’esercito c’erano anche Juko, Celo e Caco, ma il suo problema maggiore – emerso negli anni che sono seguiti – è stata la decisione che Sefer non ha voluto e saputo prendere. Nel momento in cui sull’Armija BiH è stato condotto l’attacco dell’SDA (partito di Alja Izetbegovic, ndt) Sefer Halilovic è diventato un personaggio scomodo e non più necessario. E’ stato sostituito. E proprio a quest’ultimo l’irremovibile Tribunale dell’Aia una decina di giorni fa ha allargato l’accusa: Rasim Delic sarà processato – tra le altre cose – anche per i crimini che i militari dell’Esercito BiH hanno commesso a Grabovica.

E qui il cerchio si chiude: Rasim Delic, senza dubbio, all’Aia occuperà quel posto che Carla Del Ponte aveva riservato ad Alija Izetbegovic, il presidente della Presidenza della RBiH. Per quanto riguarda Sefer, lui è da tempo un marchio di qualità: i militari smobilitati, bosgnacchi, serbi e croati che hanno passato la guerra nell’assediata Sarajevo, Bihac, Gorazde, Tuzla o nella famosa parte della Mostar mai occupata – quando parlano dell’Armija RBiH, usano la netta distinzione tra il periodo in cui era sotto il comando di Sefer e il periodo in cui è diventata l’esercito di Alija. Conservando in questo modo anche quelle poche briciole della propria dignità, quei ricordi degli aspetti più onorevoli della difesa del paese. Ed in questo modo distinguendosi da quelli di cui né l’esercito di Sefer né l’esercito di Alija avevano fatto a meno: dei criminali.

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