Bosnia Erzegovina: curarsi, missione impossibile
Non è un segreto, in Bosnia servono regali o bisogna conoscere qualcuno per ricevere cure adeguate. E a volte non basta. Reportage nei meandri di un sistema sanitario al collasso
(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 14 dicembre 2016)
“Se non avessi dato del contante a medici e infermiere, non avrebbero neppure dato uno sguardo a mio padre quando era in ospedale”, afferma desolata Edina. Quest’insegnate di quarant’anni è categorica: per ricevere cure occorre distribuire bustarelle, pratica ereditata dal periodo comunista. “Tutte le volte che ho avuto a che fare con medici ho dovuto far loro dei regali, portare del cioccolato o bottiglie di liquore”, conferma, seduto ad un caffé Emir, pensionato di Sarajevo.
Secondo la classifica redatta da Transparency International , la Bosnia Erzegovina ha uno dei tassi di corruzione più elevati d’Europa e la sanità è uno dei settori più colpiti da questo flagello. “I pazienti sono talmente abituati alle bustarelle quando vanno dal medico o in ospedale, che si presentano spontaneamente dal personale curante con soldi o regali”, s’indigna Ivana Korajlić, responsabile dell’organizzazione internazionale a Banja Luka.
I medici bosniaci – dal canto loro sono – molto sensibili a queste “offerte”, dato che guadagnano tra i 550 e i 750 euro al mese. Salari bassi che provocano, da dopo la guerra, la fuga dal paese dei professionisti del settore medico. Nel 2015 360 medici generici hanno abbandonato la sola Federazione di Bosnia Erzegovina (una delle due entità che costituiscono il paese, ndr).
Ma tutti i bosniaci sanno ormai bene che le mance non bastano più a farsi curare dignitosamente. “Sono riuscito a farmi operare rapidamente perché avevo i contatti giusti”, racconta Emir. Avere una “talpa” diviene necessario per ottenere un appuntamento con uno specialista in tempi ragionevoli. Esma, ingegnere di Sarajevo di 36 anni, ne ha fatto amara esperienza: è solo grazie a buoni contatti che ha ottenuto il ricovero in ospedale di sua madre. All’inizio le era stato risposto. “Perché ricoverarla? E’ vecchia e noi abbiamo bisogno di letti”.
Odissee nel sistema sanitario
Anche Esma è stata vittima delle carenze del sistema sanitario bosniaco, piombato nella paralisi amministrativa. Qualche anno fa una violenta emicrania la colpì. Prima tappa: l’ambulatorio, passaggio obbligato per tutti i bosniaci, altra eredità della Jugoslavia socialista. Lì per prima cosa dovette convincere un’infermiera a fare in modo che un medico la visitasse, dalla diagnosi di quest’ultimo però non emerse nulla di grave. Esma rimase però preoccupata e insistette sino ad ottenere una visita specialistica. Esami, radiografie, analisi del sangue durarono settimane. Infine le venne diagnosticato un aneurisma celebrale. Ma alla ragazza venne detto che il suo caso non aveva priorità e che avrebbe dovuto pazientare sei mesi prima di poter essere operata. Esma decise allora di andare all’estero. Lo specialista sloveno che la visitò la fece operare d’urgenza. “Mi spiegò che se avessi aspettato qualche giorno in più sarei morta”, racconta.
Dopo aver raccolto 10mila euro per l’operazione e a sole 48 ore da quest’ultima, la giovane donna ha dovuto affrontare un’ulteriore difficoltà: l’impossibilità di effettuare un bonifico su un conto estero senza un’autorizzazione del ministero delle Finanze bosniaco. “Si possono fare bonifici per un massimo di 2500 euro, ho dovuto coinvolgere amici, cugini, vicini di casa… e ho impiegato un anno per riprendermi da questa vicenda”.
Esma, funzionaria di alto livello di un’organizzazione internazionale, fa parte di una classe privilegiata. Guadagna molto più del salario medio bosniaco, che si aggira poco sopra i 300 euro al mese, in una paese dove metà della popolazione è senza lavoro. Secondo un recente studio, un terzo dei bosniaci vive al di sotto della soglia di assoluta povertà. E chi si ammala si ritrova all’inferno. “Se vostro figlio viene ricoverato, dovete portarvi tutto da casa, dalla carta igienica ai medicinali, passando per i condimenti per il cibo. Nei nostri ospedali non c’è nulla. Nemmeno dei fazzoletti”, s’indigna Nina. Proprietaria di un bar “che funziona bene”, questa trentenne aiuta altre persone che non hanno risorse per ottenere delle cure. Gestisce una pagina su Facebook, “Pretty Women”, alla quale sono iscritte migliaia di donne bosniache che si sono coalizzate per venire in aiuto a propri familiari per sostenere le spese ospedaliere o per acquistare dei medicinali. “Attualmente stiamo aiutando la madre di un bambino che soffre di epilessia. Il trattamento costa 150 euro al mese, somma che lei non può avere guadagnando 250 euro come cassiera di un supermercato”.
Sui social media le richieste di aiuto pullulano. I bosniaci si vengono in aiuto anche per permettere a pazienti colpiti da patologie gravi, come ad esempio alcuni tumori che non possono essere curati nel paese, di farsi curare all’estero. Austria, Germania e Turchia sono le destinazioni più frequenti. “La sicurezza sociale rimborsa molto poco, solitamente meno di un quarto di operazioni assai complesse”, sottolinea Nina.
La media delle pensioni è di soli 170 euro e quindi gli anziani hanno grandi difficoltà nel procurarsi i medicinali di cui hanno bisogno. Hatidja, 75 anni, dipende ad esempio dall’aiuto di sua figlia, emigrata in Austria. “Mi invia 50 euro ogni mese. Compero i medicinali in una farmacia di Istočno Sarajevo, nell’entità serba: è un po’ meno cara”.
"Oltre ogni immaginazione"
I prezzi dei medicinali in effetti non sono gli stessi nelle due entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina. Ciascuna ha un proprio ministero della Salute e a loro volta i dieci cantoni di cui è costituita una di queste entità, la Federazione, hanno a loro volta propri ministeri della Salute. Esiste un elenco federale dei farmaci che dovrebbero essere rimborsati, ma non tutti i cantoni hanno budget a sufficienza per rispettarla. Gli abitanti di Sarajevo sono quelli più fortunati, perché si tratta del cantone più ricco della Federazione. “I miei genitori abitano a Livno, devono pagare di tasca propria medicinali che invece a Sarajevo sono gratuiti”, spiega Fatima Insanić-Jusufović, una farmacista di Sarajevo. “Solo un terzo dei farmaci che a Sarajevo sono gratuiti lo sono anche a Livno”.
Qualsiasi sia il cantone o l’entità, i bosniaci devono in ogni caso pagare i medicinali di più di quanto non avvenga nei paesi vicini. I prezzi dovrebbero abbassarsi almeno di un 10%, secondo quanto sta cercando di ottenere la Banca Mondiale condizionando un proprio prestito all’armonizzazione dei prezzi con quelli del resto della regione.
Altra assurdità: i bosniaci che desiderano o devono farsi curare in un cantone o entità diverso da quello di residenza devono espletare un lungo iter burocratico. “All’epoca della Jugoslavia può darsi si offrissero regali ai medici, ma se si voleva si poteva anche ottenere cure gratuite e dove si desiderava, dalla Slovenia alla Macedonia, con libretto sanitario rosso” sospira Hatidja. “Il sistema attuale è oltre ogni immaginazione”.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua