Bosnia e Serbia: le infrastrutture mancate
Serbia e Bosnia Erzegovina negli ultimi sette anni e mezzo hanno sprecato più di 47 milioni di euro in penali su crediti non utilizzati per importanti progetti infrastrutturali mai realizzati
(Originariamente pubblicato da CINS , il 15 aprile 2016. Titolo originale: Poreski obveznici na dvostrukom gubitku zbog neodgovorne vlasti )
È una fredda mattina di novembre a Glogonj, piccolo villaggio mezzo addormentato distante più o meno un’ora di macchina da Belgrado. Questa è una regione pianeggiante della Serbia, rinomata per le coltivazioni di cavolo cappuccio e per le tracce di arsenico nell’acqua.
Gli abitanti del posto hanno riempito bottiglie e taniche d’acqua dalla cisterna posizionata di fronte all’edificio del comune. E’ la loro quotidianità da quando, nel giugno scorso, l’acqua di colore giallastro che usciva dai rubinetti delle case è stata dichiarata non potabile.
"Fino a quando non è arrivata la cisterna, l’acqua la dovevamo comprare", afferma Boban Mitić, riempiendo una bottiglia d’acqua. "Adesso, un po’ la compriamo e un po’ beviamo quella della cisterna".
Nel frattempo a Glogonj è stata costruita una fontana pubblica, come soluzione temporanea, ma l’acqua è tuttora contaminata.
L’acqua non potabile di Glogonj è solo uno dei problemi infrastrutturali che accomuna Serbia e Bosnia Erzegovina, e che le autorità avrebbero dovuto risolvere con fondi provenienti da prestiti di banche internazionali per lo sviluppo e da governi di altri stati.
Come già avvenuto in passato, i soldi non sono però stati spesi in tempo. I problemi sono rimasti irrisolti e i cittadini pagano un prezzo doppio: non ricevono i servizi che spettano loro e poi il denaro deve essere restituito alle banche creditrici, dato che lo stato non ha utilizzato i finanziamenti in tempo utile.
Dall’inizio del 2008 fino al giugno del 2015, la Serbia ha speso addirittura 35,2 milioni di euro in penali a causa dell’inutilizzo di denaro proveniente da prestiti, mentre la Bosnia Erzegovina per lo stesso motivo ha speso 12,4 milioni di euro. Lo dimostrano i dati forniti dal Centro per il Giornalismo d’Inchiesta della Serbia (CINS).
47,6 milioni di euro che potevano ad esempio essere utilizzati per fornire 35,8 milioni di pasti per gente bisognosa nelle mense popolari di Belgrado, oppure assicurare il funzionamento della mensa popolare di Tuzla per un periodo di 44 anni, se si prendono in considerazione i costi evidenziati dai gestori di queste mense e dai rappresentanti delle autorità locali.
"Questi sono soldi buttati", afferma l’economista bosniaco Erol Mujanović. "Queste cifre dimostrano che lo stato si è occupato di qualcosa non essendo però in grado di garantire un risultato – oppure era all’altezza ma non voleva, ovvero non poteva, portare a termine il progetto". "Torniamo alla politica o alla corruzione. O ad entrambi", aggiunge Mujanović.
L’utilizzo a rilento del denaro
Il villaggio di Glogonj non è che un piccolo esempio dell’inefficienza che caratterizza i progetti pubblici nei Balcani.
Questo villaggio ricade sotto l’amministrazione di Pančevo, ma il problema con l’acqua doveva essere risolto con il prestito proveniente dalla banca per lo sviluppo tedesca KfW. Un totale di 25 milioni di euro era destinato all’organizzazione dell’approvvigionamento idrico e della rete fognaria dei comuni di media grandezza in Serbia. A Pančevo spettavano tre milioni di euro.
Stando alle condizioni dettate dal contratto per il prestito, il denaro doveva essere utilizzato per intero entro la fine del 2016. Fino a giugno 2015 era stata spesa appena la metà dei soldi totali, e la Serbia ha dovuto pagare 286 mila euro per il mancato utilizzo del denaro.
Questa penale, definita come "commitment fee", riguarda molti prestiti per progetti di sviluppo, e non ricade tra i tassi d’interesse. Il suo importo dipende innanzitutto dal volume del prestito e dal modo in cui viene impiegato – i progetti vengono infatti realizzati gradualmente e di conseguenza il denaro viene impiegato in modo cadenzato. Questa tariffa si paga per le parti di prestito inutilizzate, e se il prestito non viene utilizzato entro il termine stabilito, ne consegue che, se si superano i termini, una parte del denaro non potrà affatto essere utilizzata.
Nel caso di Glogonj, il progetto è ad un punto morto sin dal principio.
Dal 2010, il direttore dell’azienda pubblica "Acquedotto e rete fognaria di Pančevo", che doveva garantire agli abitanti l’approvvigionamento di acqua pulita, è stato sostituito addirittura sei volte. Inoltre, i contrasti irrisolti riguardanti i rapporti di proprietà dei terreni hanno ostacolato la costruzione del nuovo acquedotto, con il quale doveva prendere avvio l’intero progetto.
"La costruzione del nuovo acquedotto è stata interrotta in quanto era stato verificato che dal 2005 al 2015 abbiamo razionalizzato talmente tanto il riduzione del consumo che il progetto iniziale non è più adatto", afferma Aleksandar Radulović, che ha ricoperto la funzione di direttore di quest’azienda fino a luglio 2011, per esser poi nuovamente nominato alla direzione nel settembre 2015.
Stando a quel che dice Radulović, i cambi frequenti ai vertici dell’azienda hanno sì contribuito a rallentare lo sviluppo dell’intero progetto, ma non in modo considerevole.
Sono numerosi i motivi per cui Serbia e Bosnia Erzegovina ritardano nella realizzazione di importanti progetti infrastrutturali: le lentezze burocratiche, le lunghe procedure che riguardano gli appalti, la mancanza della documentazione progettuale, la politicizzazione delle attività professionali, la mancanza di progettazione, i problemi con gli espropri della terra, il cattivo controllo sugli addetti ai lavori, le continue proroghe dei termini ecc.
"Il commitment fee è un male necessario, non si può evitare", afferma Edin Tokić dal ministero della Finanza della Bosnia Erzegovina. Aggiungendo anche che non esistono molti modi attraverso cui ottenere i finanziamenti per i progetti infrastrutturali ed è per questo motivo che lo stato deve accettare le regole imposte da chi fornisce il denaro.
Svitlana Pyrkalo, portavoce della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), afferma che tali tariffe sono una consuetudine nei progetti di sviluppo seguiti dalla banca, la quale in questo modo può coprire le proprie spese operative.
Tra i creditori che applicano questa tariffa ci sono la BERS, la banca per lo sviluppo tedesca KfW, la Raiffeisen Bank, i governi dei singoli paesi ed altre istituzioni. Come spiega Svitlana Pyrkalo, "queste penali rappresentano un incentivo ai clienti, in questo caso i governi, affinché utilizzino il denaro dei prestiti entro i termini stabiliti".
Milioni di euro per progetti che riguardano i trasporti
Evidentemente, tali incentivi non sono serviti a Serbia e Bosnia Erzegovina, dove il tasso di disoccupazione è rispettivamente del 18 e 28 per cento, e il prodotto interno lordo è tra i più bassi d’Europa.
I giornalisti del CINS hanno fatto richiesta per ottenere maggiori informazioni ai ministeri della Finanza dei due paesi, e dopo aver analizzato centinaia di pagine di documentazione ufficiale hanno scoperto che in decine di casi i governi erano in ritardo con la realizzazione dei progetti infrastrutturali, spesso per colpa di una cattiva progettazione.
Di conseguenza, in quei paesi in cui ogni dinaro, marco o euro può fare la differenza, il denaro non speso proveniente dalle istituzioni creditrici è stato restituito utilizzando i soldi pubblici dei contribuenti.
Il governo ha dovuto restituire milioni di euro che erano destinati a progetti per la costruzione di strade e centrali elettriche, per l’ammodernamento del sistema sanitario, dell’istruzione e per l’agricoltura, nonché per l’approvvigionamento idrico, il rinnovo della rete ferroviaria, e tanti altri progetti.
In entrambi i paesi, la maggior parte dei finanziamenti è stata indirizzata ad infrastrutture e trasporti.
Dall’inizio del 2009 alla fine del 2014, per soli sei progetti di costruzione e manutenzione delle strade in Bosnia sono stati versati ben 5,79 milioni di euro di penale, ovvero l’1,4 per cento del totale dei fondi destinati a quegli stessi progetti.
La Serbia, invece, negli ultimi sette anni e mezzo ha dovuto pagare 13 milioni di euro in penali per i finanziamenti diretti alla costruzione delle strade, ovvero l’1,1 per cento dei fondi concessi.
Osman Lindov, professore alla facoltà di ingegneria civile dell’Università di Sarajevo, afferma che in Bosnia Erzegovina i progetti esistono, ma le istituzioni competenti non sono in grado di realizzarli, soprattutto a causa della poca esperienza e scarsa preparazione delle persone incaricate di portare avanti i lavori, che non capiscono che senza una buona rete stradale non ci può essere sviluppo economico.
Corridoi
Il ritardo nella costruzione del Corridoio Vc è costato 3,76 milioni di euro alle casse della Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH – una delle due entità in cui è diviso il paese). L’inizio dei lavori per il progetto di 209 milioni di euro finanziato dalla BERS era fissato per il 2009. Il credito concesso doveva essere impiegato entro il 2012, ma il termine è stato poi prorogato di altri due anni.
Per la realizzazione del progetto era stata incaricata la società "Autoceste FBiH", che esiste appena dal 2011. Nella risposta in forma scritta indirizzata ai giornalisti del CINS affermano che in precedenza il progetto era gestito da parte del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture della FBiH, il che aveva rallentato le tempistiche nell’utilizzo del denaro.
Il Corridoio Vc è il tratto bosniaco del Corridoio 5, e i lavori di costruzione sono stati caratterizzati da diversi problemi, come non aver inserito nel progetto il tratto finale del corridoio, inoltre in uno dei cantieri, il direttore principale dei lavori è stato sostituito per ben tre volte.
La procura di Bosnia Erzegovina dal 2013 ha avviato l’esame del pagamento delle penali e dei prestiti non utilizzati per la costruzione delle infrastrutture stradali nel paese, a partire da quelli destinati alla costruzione del Corridoio Vc.
La procura si è rifiutata di rispondere alle domande dei giornalisti del CINS circa lo status dell’inchiesta.
In Serbia, per la costruzione del Corridoio 10 nel sud del paese, tra Niš e Dimitrovgrad, sono stati restituiti, a causa di inutilizzo, 3 dei 150 milioni di euro del prestito concesso dalla BERS. Il contratto era stato firmato nel settembre del 2009 e i lavori dovrebbero terminare entro la fine del 2016. Fino al giugno dell’anno scorso era stato impiegato appena un terzo dei soldi concessi.
Relativamente al 2015, stando alle indagini condotte dal Consiglio Fiscale, l’organo statale indipendente predisposto al controllo della politica fiscale in Serbia, i lavori per la costruzione del Corridoio 10 si erano arrestati a causa di una cattiva gestione degli appalti pubblici e dell’espropriazione dei terreni. "Il fatto che vengano pagate delle penali per l’inutilizzo del prestito significa che i contribuenti pagano di tasca propria a causa di incurie delle istituzioni statali", afferma Vladimir Vučković, membro del Consiglio Fiscale.
L’incuria del governo e il problema della politicizzazione
Nel settembre del 2010, in piena campagna elettorale, l’allora Presidente della FBiH, nonché leader dell’HDZ-BIH Borjana Krišto, ha inaugurato l’apertura dei lavori per la costruzione del parco eolico nei pressi di Mesihovina, in Erzegovina.
Il prestito di 71 milioni di euro, concesso dalla banca tedesca per lo sviluppo KfW, era stato affidato alla compagnia pubblica "Elektroprivreda Hrvatske Zajednice Herceg Bosne Mostar". Il progetto prevedeva che i lavori terminassero entro il 2013, ma il termine è stato prorogato per due volte. L’inizio della produzione di energia elettrica è prevista per la fine del 2017.
L’intreccio di competenze tra tutti i livelli statali, le lungaggini burocratiche e l’enorme quantitativo di documenti che dovevano essere forniti dalle istituzioni – tutte consuetudini per il sistema bosniaco – sono solo alcuni dei motivi che hanno portato al ritardo nei lavori.
Tra le altre cose, il fornitore degli impianti è stato selezionato appena lo scorso marzo.
Fino al 2014 erano stati pagati 768 mila euro di penali – e al momento non è stata costruita nemmeno una pala eolica.
Anche quest’azienda non ha accettato di parlare con i giornalisti del CINS.
In Serbia, una parte dei 150 milioni di euro concessi dalla BERS destinati all’azienda pubblica "Srbijagas" doveva essere utilizzata per la costruzione di un impianto di stoccaggio del gas a Itebej, in Vojvodina. Il progetto è rimasto a un punto morto per anni a causa di irrisolti problemi circa la proprietà dei terreni e per altri problemi legati all’esproprio di queste terre, come si evidenzia nel rapporto sugli investimenti pubblici redatto dal Consiglio Fiscale.
L’impianto di stoccaggio del gas rientrava nel progetto del gasdotto "South Stream", che comprendeva il trasporto di gas dalla Russia verso i Balcani e quindi in Austria. Sino a quando la Russia non ha deciso di abbandonare il progetto del gasdotto nel 2014, la Serbia ha basato tutta la propria politica energetica proprio sul South Stream.
Per questo periodo, la Serbia ha dovuto sborsare dal proprio budget 2,5 milioni di euro a causa del mancato utilizzo del denaro.
Vučković, del Consiglio Fiscale, afferma che la contrattazione per il prestito è la parte più facile del lavoro e che il problema sorge quando bisogna investire il denaro e presentare un risultato. Aggiunge inoltre che gli errori delle autorità serbe sono avvenuti a tutti i livelli e in tutte le fasi della realizzazione del progetto: "Caratterizzato da un comportamento inadatto, inefficiente e poco credibile, così come dall’assenza di senso di responsabilità per gli impegni presi".
A Glogonj, mentre le autorità locali cercano di ripulire l’acqua dall’arsenico, gli abitanti sono costretti ad arrangiarsi come riescono. Questi affermano che i problemi con l’acqua esistevano anche prima ma che solo adesso è stata dichiarata non potabile.
L’arsenico rientra tra le 10 sostanze chimiche peggiori che l’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica come dannose per la salute pubblica. L’arsenico viene descritto come estremamente tossico e si ritiene che un prolungato utilizzo di acqua contaminata da questa sostanza possa provocare diversi problemi alla pelle, così come tumori e quindi la morte. Può inoltre condurre a problemi cardiovascolari e al diabete.
I membri della famiglia di Mitar Đakovski bevevano sempre l’acqua del rubinetto, fino a quando una loro nipote ha cominciato ad accusare dolori allo stomaco. Da allora, comprano solo acqua in bottiglia, la cui spesa, come afferma Mitar, pesa sull’economia della famiglia.
Una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo in Serbia costa un po’ meno di 50 centesimi di euro, il ché non è poco, considerato che lo stipendio medio in Serbia è ufficialmente di 360 euro, anche se molti guadagnano molto meno.
"Io durante l’estate dovevo comprare sei litri d’acqua, tre volte al giorno", dichiara Đakovski.
Questo reportage rientra nel progetto finanziato dalle fondazioni Robert Bosch Stiftung e Thomson Reuters Fondation
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