Bergamo, profondo est
Si è chiusa lo scorso 13 marzo la 34ma edizione del Bergamo Film Meeting. Ha vinto “Enklava – Enclave” del regista Goran Radovanović, presente a Bergamo
Un film serbo, “Enklava – Enclave” di Goran Radovanović, ha vinto il 34° Bergamo Film Meeting. Un’edizione molto rivolta all’Europa dell’est completata dal premio, assegnato dai voti del pubblico, alla pellicola del cineasta belgradese noto soprattutto per i suoi documentari.
Su sette lungometraggi in gara, il secondo premio è andato al ceco “Home Care” di Slavek Horak e il terzo al finlandese “2 Nights Till Morning” di Mikko Kuparinen. A dare il segno di questa attenzione all’oriente, la retrospettiva sul grande cineasta ungherese Miklos Jancso, l’omaggio all’animatore lettone Vladimir Leschiov (una vera scoperta), la sezione “Europe, Now!” con le personali del ceco Petr Zelenka, noto per “I Karamazov”, e la bosniaca Jasmila Žbanić (“Grbavica – Il segreto di Esma” e “Il sentiero”), oltre che dell’inglese Shane Meadows (“This Is England”), e diversi film nei concorsi.
La manifestazione si è chiusa ancora una volta con un bilancio molto positivo, sia in termini di presenze di pubblico, sia per la qualità e la varietà delle proposte.
Il pubblico bergamasco ha accolto con grande calore ed emozione la storia di alcuni ragazzini ambientata nel Kosovo del 2004, con i segni ancora presenti della guerra del 1999, assegnandogli una media voto altissima. “Enclave” racconta la vita in un’enclave serba nel nord del paese, in un piccolo villaggio isolato tra le colline. Nenad è un bambino sensibile che vive con il padre e il nonno morente e va tutte le mattine a scuola trasportato da un carrarmato Kfor dell’esercito italiano. È l’unico studente serbo dell’istituto ed è preso in giro dai compagni di classe, in particolare si scopre rivale di un coetaneo albanese, Bashkim (interpretato da Denis Murić, già noto come protagonista del bel “Ničije dete – Figlio di nessuno” di Vuk Ršumović). Quest’ultimo accusa i serbi per la morte del padre e si mostra il più ostile di tutti. Quando il nonno muore, bisogna trovare il modo di fargli il funerale, ma il corteo funebre si incrocia con quello di un matrimonio. È qui che che i ragazzi si trovano coinvolti in un incidente imprevisto e lo devono risolvere. Radovanović segue in modo semplice i suoi protagonisti, alterna situazioni comiche e altre drammatiche e sa far leva sulle giuste corde emotive soprattutto con il finale in crescendo. “Enclave” è stato anche candidato all’Oscar in rappresentanza della Serbia.
Volevo fare un film che fosse un racconto d’amore, guardare il mondo attraverso gli occhi di un bambino. I bambini sono gli unici a poter parlare del futuro, la mia generazione è stata spazzata via dalle guerre
“Gli applausi che ho ricevuto qui – ha detto Radovanović, molto emozionato – sono stati uno shock emotivo. E in generale l’accoglienza a questo film è stata una sorpresa, fin dalla prima al festival di Belgrado. Poi siamo stati a proiettarlo in tanti villaggi del Kosovo, anche se in quelli albanesi non ci hanno invitato. Mi sarebbe piaciuto mostrarlo anche a loro: non prendo una parte politica, a me interessa il discorso artistico e umano. Il film è stato presentato a Mosca, in Messico, in India, in tanti festival e ovunque è stato compreso, significa che è universale, non solo per il contenuto, ma anche per il linguaggio”.
“La guerra non ha risolto nulla – ha raccontato il regista – oggi ci si odia e si è lontani come e più di prima. E non dimentichiamo che le guerre in Jugoslavia sono state anche guerre europee. Volevo fare un film che fosse un racconto d’amore, guardare il mondo attraverso gli occhi di un bambino. I bambini sono gli unici a poter parlare del futuro, la mia generazione è stata spazzata via dalle guerre”.
“Enclave” è stato girato in Serbia, in parte in campagna a sud di Belgrado, in parte in un villaggio albanese vicino al confine con la Bulgaria. “Non abbiamo potuto girare in Kosovo: avevamo i permessi, ma non i soldi per poter pagare l’assicurazione per lavorare là. È ancora considerata una zona di guerra” ha spiegato Radovanović.
Nel concorso erano presenti anche i film d’esordio di due registe, una bulgara e una turca, “Jajda – Thirst” di Svetla Tsortsorkova “Dust Cloth – Toz Bezi” di Ahu Ozturk. Il primo è un dramma d’ambientazione agreste intenso ma prevedibile nello sviluppo. Una famiglia vive isolata in collina facendo il servizio di lavanderia per gli alberghi della zona, colpita però da una grave siccità che li costringe a trovare una soluzione: si affidano a una giovane rabdomante e a suo padre per trovare l’acqua, ma i due estranei faranno scoprire l’amore al figlio adolescente della famiglia e metteranno in crisi tante certezze. Il secondo è storia di due donne di estrazione popolare di mezz’età, amiche tra loro, alle prese con varie difficoltà a Istanbul. Nesrin ha cacciato il marito di casa dopo un litigio, ma questi non è più tornato e l’ha lasciata sola con la figlia; Hatun, maggiore d’età, sogna una vita migliore e di trasferirsi in un quartiere alla moda. Entrambe lavorano come donne delle pulizie (da qui il titolo “Straccio per la polvere”) in case borghesi e sono disposte anche a rinunciare a qualcosa della loro identità.
Nella competizione documentari “Visti da vicino”, la principale novità dell’edizione 2016, gli spettatori hanno votato il tedesco “Wir können nicht den hellen Himmel traumen – Non possiamo sognare un cielo limpido” di Carmen Tartarotti, italiana che da molti anni vive e lavora in Germania, su due suore rimaste da sole a tenere vivo un convento in Alto Adige.
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