Belgrado e Pristina fuori dagli schemi
Nessun cinismo da diplomatici, nessun logorante negoziato: Belgrado va a Pristina e Pristina va a Belgrado. Tutto questo spogliato da ogni malinteso politico, senza didascalie, attraverso le foto di giovani fotografi delle due città
L’ idea è venuta a una ragazza di Belgrado, per far comunicare tra loro le due capitali, i loro giovani e il modo di vivere le proprie città. Per alcune settimane senza nome e senza precisare in quale città fossero scattate le foto, i giovani di Belgrado e di Pristina si sono scambiati idee fotografiche, luoghi, messaggi, sensazioni, trovando punti comuni e vincendo le barriere psicologiche tra i due popoli. Le foto sono state esposte al centro culturale alternativo KC Grad a Belgrado e ora sono esposte a Pristina alla galleria Tetris.
Un’idea nata oltre oceano
Ana Dragić è la giovane belgradese che ha dato vita al progetto. Tutto è iniziato negli Stati Uniti, durante un periodo di studio all’estero. “Gli USA sono un Paese troppo grande, il modo di socializzare della gente è molto formale, superficiale, molto diverso dal nostro. Così mi sono trovata in ottimi rapporti con una ragazza kosovara, che avvertiva le mie stesse difficoltà. É stato sorprendente, non avrei mai immaginato che fossimo così simili. All’inizio ero un po’ diffidente, le mie poche informazioni sul Kosovo e i kosovari non mi aiutavano a capirla. Ma poi ha avuto una disgrazia, io le sono stata vicina, così siamo diventate molto amiche”.
Mentre racconta i suoi occhi si riempiono di energia. É una ragazza intraprendente, come spesso capita ai più ambiziosi giovani balcanici. “Ho deciso che bisognava fare qualcosa per conoscere il Kosovo e i kosovari. Da noi a Belgrado non si ha nessuna informazione sul Kosovo che non sia di macro politica. Non sappiamo come vive la gente, che tipo di città è Pristina. Alla televisione vediamo sono il grigiore comunista e i vecchietti con il plis in testa”.
Alla fine del suo anno di studio negli USA, la giovane belgradese doveva presentare un progetto di concreta applicazione sui contatti tra serbi e kosovari. Le idee erano tante ma delicate e poco attuabili in un clima in cui le barriere psicologiche sono ancora forti e i ricordi del conflitto troppo recenti per essere elaborati da un progetto a breve termine. “Ho trovato la soluzione. Bisognava utilizzare un mezzo che non fosse potenzialmente pericoloso, che non facesse fraintendere, un linguaggio universale. Non vi era niente di più adatto della fotografia”.
I temi fotografici sono stati proposti dai fotografi stessi di settimana in settimana, dando vita a un forum di “fotografie risposta” da parte del resto del gruppo, fino al completamento delle foto e all’inaugurazione delle mostre a Belgrado e poi a Pristina.
Traumi di ieri, Belgrado di oggi
Non capita tutti i giorni che dei giovani kosovari facciano la valigia per andare a Belgrado. Tanto meno per partecipare alla propria mostra fotografica. “Avevo paura, ero molto teso prima di partire. Ma allo stesso tempo avevo sentito che Belgrado è una città grande e bella. Io sono fotografo, adoro andare in giro per città straniere a fotografare” racconta Petrit Rrahmani, giovane fotografo che lavora come fotoreporter presso l’Express, un settimanale di Pristina.
“Mi faceva paura in modo irrazionale, perché lo associo alla mia infanzia. Se sentivo parlare in serbo, da piccolo avevo tanta paura. Anche la parola serbo, mi faceva paura. Poi ad un certo punto nel ’99 i soldati serbi sono venuti a casa nostra e ci hanno cacciati via. Sono cose che ti segnano a vita, non puoi fare a meno di pensarci. Nonostante sapessi che sarei andato a una mostra con dei serbi artisti, non soldati. Durante il viaggio mi tormentava l’idea di Belgrado e dei serbi che avrei trovato, ma poi già il secondo giorno mi sentivo a casa”. Sdrammatizza e ora vuole tornare, prendendosi più tempo per fotografare la città
Trendeline Bucolli invece, una ragazza di Pristina, ha avuto delle esperienze diverse. “Parlo serbo, da bambina giocavo con i miei vicini serbi. Poi per tanti anni non l’ho più parlato, lo stavo dimenticando. É stato bello riprendere a parlarlo”.
Rina Krasniqi, una giovane fotografa di Pristina, definisce molto positiva la sua esperienza a Belgrado e aggiunge “la mia generazione è stata educata con il patriottismo, l’amore incondizionato per l’Albania, l’idealizzazione di Tirana e di tutto ciò che succede a Tirana. Non avrei mai immaginato di partecipare a un evento culturale a Belgrado. Ora sto ripensando il mio patriottismo e tutto il nostro sistema di valori che nessuno mette in discussione”.
Pristina città normale
“Pristina è più piccola di Belgrado. Ha le caratteristiche di una città balcanica, con la struttura ex comunista e diversi luoghi alternativi. Mi sono sentita a casa, come ovunque nei Balcani” racconta Ana Dragić, ideatrice dell’iniziativa. Nonostante i giovani kosovari siano molto distaccati dai loro coetanei dei paesi ex-jugoslavi e, come notano diversi analisti e intellettuali kosovari, fortemente segnati dall’idiosincrasia nei confronti di tutto ciò che è serbo e ex-jugoslavo, i giovani serbi non hanno mai avuto incidenti. “Ci hanno solo chiesto di parlare in inglese e di evitare il serbo, per il resto è stato tutto normale” spiega Ana Dragić.
É stata un’esperienza nuova, alla scoperta reciproca, sfidando la storia comune e le barriere psicologiche collettive. Le mostre hanno fatto parlare molti media di Belgrado e di Pristina, puntualmente facendo passare in secondo piano le foto esposte, che sono però il mondo senza parole e senza equivoci che sottolinea la somiglianza tra le due città e i rispettivi giovani.
“Pristina è stata una scoperta. Durante lo sviluppo del progetto, mentre scambiavamo le nostre foto senza nomi e didascalie, scommettevamo che molte fossero state scattate a Belgrado e invece poi abbiamo scoperto che erano state scattate a Pristina” conclude una delle fotografe di Belgrado, Iva Cukić.
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