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Belgrado e L’Aia, rapporti difficili

Carla del Ponte, procuratrice capo del Tribunale internazionale dell’Aia, ha presentato martedì 23 novembre il rapporto annuale al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Per la Serbia è semaforo rosso, secondo la del Ponte, Belgrado ha ignorato gli obblighi internazionali

25/11/2004, Luka Zanoni -

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Il rapporto annuale sulla collaborazione col Tribunale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (TPI), consegnato dalla procuratrice capo Carla del Ponte, martedì 23 novembre, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha suscitato una bufera di reazioni in Serbia.

Carla del Ponte durante la sua visita a Belgrado all’inizio del mese di ottobre aveva precisato che il 23 novembre sarebbe stato il termine massimo entro il quale le autorità serbe avrebbero dovuto concretamente dimostrare la loro prontezza nella collaborazione col Tribunale, in particolare la Del Ponte faceva riferimento alla consegna e alla cattura dei latitanti.

Secondo la procuratrice dell’Aia, sarebbero più di 12 gli accusati dal TPI che ancora "liberamente vivono in Serbia". Inoltre è sua convinzione che il governo serbo abbia scelto intenzionalmente di ignorare i propri obblighi giudiziari, perché il premier Vojislav Koštunica ha esplicitamente detto che no arresterà nessuno, ma cercherà di convincere i latitanti a consegnarsi da soli.

"Una tale politica non ha sortito alcun risultato", ha concluso la procuratrice dell’Aia, perché è in contrapposizione con gli impegni internazionali del Paese. Nel suo commento ha fatto riferimento inoltre al caso della fuga di Goran Hadžić, il quale, secondo la Del Ponte, sarebbe fuggito dopo che il suo ufficio aveva informato il governo di Belgrado sul luogo in cui si trovava il latitante.

Ma non si è dimenticata neppure del caso Beara, commentando che l’ex generale dell’esercito non si è consegnato volontariamente, come aveva sostenuto a suo tempo il premier serbo, ma che piuttosto non ha fatto resistenza all’arresto.

Anche nel caso del generale Ljubiša Beara, la Del Ponte afferma che la cattura è stata possibile solo grazie alle informazioni sul luogo di residenza del latitante che il suo ufficio aveva consegnato al potere di Belgrado, ed inoltre grazie anche al fatto che la procuratrice nei giorni successivi si doveva incontrare con i ministri dell’UE, sicché "solo una tale pressione ha potuto produrre dei risultati".

Ad ogni modo, ha concluso la Del Ponte, la non collaborazione di Belgrado rimane l’ostacolo più importante con cui il Tribunale deve confrontarsi nella fase finale del suo lavoro.

Il tribunale comunque non potrà chiudere i battenti finché non saranno consegnati e giudicati i ricercati principali, ossia Ratko Mladić, Radovan Karadžić e Ante Gotovina, così come i generali serbi e i responsabili dell’omicidio di massa di Srebrenica, tutti ancora latitanti.

Sulla possibilità di trasferire alcuni processi presso i tribunali locali, Carla del Ponte ha dichiarato – secondo quanto riportato dall’emittente B92 – che entro la fine dell’anno sarà proposto di trasferire 11 casi, ossia 20 accusati, alla magistratura locale, e che ciò è in linea con la strategia procedurale del TPI.

Benché il trasferimento dei casi nei tribunali dove sono stati commessi i crimini sia parte della procedura, la procuratrice dell’Aia ha precisato che "in un Paese come la Serbia non sarà possibile giudicare i crimini di guerra. Sono ancora forti le reti che supportano gli accusati, esse possono infilarsi nella procedura giudiziaria, innervosire i testimoni, i giudici e i procuratori, oppure persino minacciare di instabilità il Paese".

Il giorno dopo la presentazione del rapporto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la Belgrado ufficiale si è affrettata a rilasciare dichiarazioni.

Zoran Lončar, ministro per l’amministrazione statale e l’autonomia locale della Serbia, nonché membro del Consiglio nazionale della SM per la collaborazione col TPI, ha ribadito che ci saranno risultati concreti in breve tempo, aggiungendo che fino ad ora l’unione statale ha rispettato praticamente tutte le richieste sulla consegna dei documenti importanti, così come sono stati affrancati dal segreto di stato numerosi testimoni.

Lončar ha inoltre ricordato che dal gennaio 2003 ben 24 persone accusate di crimini di guerra, residenti sul territorio della SM, sono state catturate e trasferite all’Aia.

Un commento di basso profilo è stato quello del premier Koštunica, secondo il quale "esistono alcune cose che non si possono raggiungere subito. Ciò che è evidente è la posizione del governo sul fatto che la collaborazione con l’Aia sia necessaria. Quando si discute di suddetta collaborazione, ci sono cose per cui possiamo essere soddisfatti, e altre che ancora non abbiamo raggiunto, ma continueremo a lavorarci sopra".

Più deciso il presidente della repubblica, Boris Tadić, il quale ha ribadito la responsabilità di tutti per la valutazione negativa giunta dall’Aia. A latere della seduta con i vertici della Republika Srpska, il presidente Tadić ha precisato che la responsabilità per le possibili conseguenze della mancata collaborazione col TPI dell’Aia vanno addossate a tutti i rappresentanti della Serbia, "anch’io porto la mia responsabilità, benché non faccia parte del potere esecutivo".

Tadić ha precisato che con questo non desidera affermare che "sia colpevole il governo e non il presidente. Tutti saranno responsabili, sia il parlamento che i deputati dell’opposizione, che credono che non si debba collaborare con il tribunale. Ciò che facciamo oggi è importante per ciò che sarà il Paese fra cinque o dieci anni, perché l’interpretazione della Del Ponte sulla collaborazione è importante per il futuro di questo Paese".

La collaborazione col TPI è importante, secondo il presidente serbo, perché è un "nostro obbligo interno e internazionale, e allo stesso tempo è l’unico impedimento per poter diventare parte dell’UE, affinché si possa migliorare la vita della nostra gente, lo standard della gente. Questo i nostri cittadini devono saperlo".

Dal canto suo Mlađan Dinkić, ministro delle finanze del governo serbo, ha precisato che la valutazione negativa della Del Ponte molto probabilmente non produrrà le temute ripercussioni economiche sul Paese. Secondo quanto riportato da B92, il ministro serbo ha dichiarato che per gli investitori stranieri è più importante l’indice di credito del Paese, piuttosto che il rapporto di Carla del Ponte.

"Come politico credo che non sia una buona cosa un rapporto negativo dell’Aia. Ma come economista non temo. Gli Americani sono i primi a redigere rapporti negativi sulla nostra collaborazione con L’Aia, ma sono allo stesso tempo gli investitori numero uno in Serbia e continuano ad investire", ha concluso Dinkić.

Chi più di tutti si sente il fiato sul collo sembra invece essere la Republika Srpska. A più riprese sono giunti avvisi sulla necessità di compiere passi verso la cattura e la consegna dei latitanti, pena lo smantellamento della Polizia della RS e l’interdizione del partito SDS.

Secondo il consigliere del presidente serbo, Jovan Simić, intervistato da radio B92, ai funzionari della RS "è stato detto a più riprese cosa gli aspetta. E la condizione per il mantenimento dell’entità è che venga arrestato qualcuno. Ma loro non possono arrestare nessuno, perché sono tutti qui. Secondo le loro indagini operative, tutti gli accusati della Bosnia sono qui. E gli è stato detto che le prime sanzioni sono attese già per la metà di dicembre".

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