Balcani occidentali, fra semplificazione e complessità
Una breve analisi sull’attualità dei Balcani, a partire dalla relazione tra il ruolo della comunità internazionale e i processi di cambiamento in atto nella penisola, origine di una dicotomia tra semplificazione e complessità. Di Michele Cesari
INTRODUZIONE
I conflitti balcanici degli anni Novanta, così come quelli precedenti, non hanno avuto origine esclusivamente da problemi di identità etnica e difficoltà di convivenza, né da differenti religioni e diverse visioni del mondo, o da rivendicazioni storiche. Pur esistenti, questi elementi sono da considerarsi più derivati che originari: alla base delle guerre per la dissoluzione della Iugoslavia sta una profonda ingiustizia strutturale, sistemica ed istituzionalizzata, che ha determinato esclusione sociale, competizione fra gruppi sociali e fra individui per lo sfruttamento delle risorse ed esclusione di larghe fasce della popolazione dall’effettiva partecipazione pubblica. A questi fattori prevalentemente interni se ne aggiungono altri esterni, da riassumersi principalmente intorno al decaduto interesse e ragione d’essere per un paese, la Jugoslavia, che costituiva la "terra di mezzo" fra due visioni del mondo contrapposte, territorio di scambio e di gioco strategico. Cambiato l’equilibrio mondiale, gli stati forti e gli organismi internazionali (il Fondo Monetario Internazionale su tutti) hanno agito in modo da erodere progressivamente la base di consenso esterno all’esistenza della Federazione, ed hanno poggiato sulle velleità indipendentiste di alcune repubbliche.
Le stesse cause d’ingiustizia strutturale da cui sono nate le guerre degli ultimi dieci anni, sono ancora presenti nei Balcani occidentali. In evoluzione e mutate, ma presenti. Esiste una trasparente distanza, forse dicotomia, fra le semplificazioni della comunità internazionale nelle rappresentazioni che descrivono e analizzano le dinamiche sociali, politiche ed economiche e ne ispirano le politiche, e la complessità del contesto balcanico occidentale. Questa distanza ostacola una chiara analisi della realtà, impedisce di sentire il polso delle dinamiche politiche e sociali, fa perdere il controllo del processo di cambiamento cominciato con l’entrata in campo di attori internazionali (UN, NATO, OSCE, EU, NGOs). Questa distanza rischia di permettere il perpetrarsi delle stesse cause d’ingiustizia strutturale di cui si è parlato.
ALCUNI ELEMENTI
Tentare di delineare un quadro degli avvenimenti che hanno caratterizzato la vita politica nei Balcani negli ultimi anni è compito arduo, che richiederebbe un’analisi approfondita, tempo e spazio. Mi limito qui ad individuare alcuni elementi che possano indurre alla riflessione intorno al tema della distanza fra semplificazione e complessità, al massimo facilitare la comprensione di dinamiche e tendenze di un teatro difficile ed affascinante.
L’autunno del 2002 è stata una stagione di elezioni in tutta la ex-Jugoslavia. Elezioni amministrative nella valle di Presevo, parlamentari in Macedonia, presidenziali in Serbia e Bosnia (qui anche parlamentari…), legislative e amministrative in Montenegro, amministrative in Kosovo e presidenziali in Slovenia.
Il dato che emerge in parte di questi processi è il progressivo riemergere dei partiti nazionalisti. In Bosnia Erzegovina (BiH) riacquistano potere gli ultra-nazionalisti, nonostante l’evidente appoggio che gli attori internazionali hanno accordato alle fazioni moderate. In Serbia "l’uomo del cambiamento" Vojslav Kostunica, ha orchestrato la propria campagna elettorale in un susseguirsi di visite a cimiteri di guerra, onori ai martiri della patria, visite alle antiche chiese, dando una immagine chiara della consistenza ed identità del proprio elettorato. Ma le cose non hanno funzionato, il quorum non è stato ottenuto, tutto da rifare. Nuove elezioni a dicembre quindi, quando il candidato "europeista e liberale" Miroljub Labus decide di non candidarsi nuovamente, mentre si ripresenta l’ultra-nazionalista Vojislav Seselj (che a ottobre si era piazzato terzo a ridosso di Labus), e il leader del Partito dell’Unità Popolare del defunto comandante Zeliko "Arkan" Raznatovic, Borislav Pelevic. In Kosovo, l’LDK del "moderato" Rugova resta dominante sulla scena, ma perde una buona fetta di voti in favore di PDK e AK, partiti nati dalla politicizzazione della guerriglia albanese del Kosovo => complessità.
Paddy Ashdown, alto rappresentante della comunità internazionale in BiH, si arrabbia quando sente alcune testate europee e alcune organizzazioni di analisti dire che il ritorno dei partiti nazionalisti è un sintomo preoccupante e che corruzione, instabilità e una democrazia imperfetta, sono ancora elementi caratterizzanti in BiH. Ashdown aggiunge che "si sono ottenuti risultati migliori in pochi anni qui che non in trenta anni in Irlanda del Nord". Parlando delle connessioni fra il crimine organizzato e i leader politici bosniaci, Ashdown ammette che è vero, ma la situazione non è peggiore di quanto fosse in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, dove poi i problemi di corruzione sono stati risolti => semplificazione.
In Croazia, il generale in pensione Janko Bobetko è accusato dal Tribunale per i Crimini di Guerra nella Ex Jugoslavia del L’Aja. L’accusa è appunto di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, per l’uccisione di civili e militari serbi nel settembre del 1993 nella sacca di Medak in una operazione dell’esercito croato.
Il pubblico ministero Carla Del Ponte ne richiede l’estradizione immediata, ma il Governo la rifiuta, temendo di inimicarsi il proprio elettorato. Le pressioni degli attori internazionali aumentano e rischiano di allontanare la Croazia dalle simpatie europee, non una facile situazione per chi governa. I criminali di guerra vanno processati e condannati se necessario, la legge è uguale per tutti e la comunità internazionale che tanto si è esposta per la protezione dei diritti umani in BiH, Croazia e Kosovo, ha intenzione di non cedere e intraprendere tutti i passi necessari all’estradizione => semplificazione. Il Governo del premier Ivica Racan deve stare in equilibrio in un contesto difficile, dimostrare populismo e nazionalismo da una parte e bon ton diplomatico all’europea dall’altra => complessità.
Johannes Linn e Christiasn Poortman, rispettivamente vice presidente della Banca Mondiale in Europa e Asia Centrale e Direttore per il Sud Est Europa, hanno fatto un bel viaggio in macchina di dieci giorni in luglio, da Zagabria all’Albania, passando per BiH, Montenegro, Serbia e Kosovo. Hanno incontrato politici, intellettuali e gente semplice, l’impressione che ne hanno ricavato è che anche se la situazione non è delle più facili, il miglioramento è evidente e c’è fiducia nel futuro. I due citano Veton Surroi (capo editore del principale quotidiano kosovaro, Koha Ditore) quando dice "almeno adesso possiamo ridere degli eventi, il peggio è dietro le spalle".
Proseguono dicendo che la comunità internazionale ha investito miliardi di dollari nei Balcani occidentali negli ultimi dieci anni, iniziando in Albania all’inizio dei ’90, continuando in BiH fino al ’96 e proseguendo in Kosovo, Macedonia e Jugoslavia. Significativi risultati sono stati ottenuti, tutte le economie della regione stanno sperimentando una rapida crescita economica negli ultimi anni. L’Albania ha quadruplicato le sue entrate pro capite dal 1992, la situazione in Kosovo e BiH a pochi anni dai conflitti è profondamente mutata. Un boom edilizio è in atto in tutti i Balcani, si costruiscono case, negozi e piccole imprese. 40.000 case ricostruite solo in Kosovo in tre anni. Intanto la comunità internazionale fornisce la sicurezza necessaria attraverso la presenza militare, il crimine e la violenza sono diminuiti e i rifugiati fanno ritorno alle loro case. Inoltre, la comunità internazionale ha ricostruito edifici pubblici, strade, acquedotti e centrali elettriche e sta privatizzando le aziende pubbliche e le banche => semplificazione.
Wieland Schneider nel viennese "Die Presse" del 1 agosto, dice che anche se i fucili stanno zitti la calma è solo illusoria. Povertà, corruzione, crimine organizzato, instabilità e democrazie imperfette caratterizzano molti dei traballanti stati della regione. Il traffico umano non è una rarità, l’industria della droga è stabile e sicura. La classe politica lascia molto a desiderare se comparata a standard europei e una nuova generazione di politici deve ancora emergere. Schneider aggiunge che la lotta di potere fra il primo ministro serbo Zoran Djindic e il presidente Vojislav Kostunica rischia di destabilizzare ulteriormente una già vacillante democrazia, i giochi di potere ed i continui attacchi fra i due rischiano di rendere la politica un fenomeno irrilevante, così come è in Albania. Il non raggiungimento del quorum nella tornata di ottobre ne è solo una dimostrazione => complessità.
K. lavora nella missione UNMIK per l’Unione Europea, a Pristina. E’ avvocato e fa parte di una speciale task force per le privatizzazioni. Ci incontriamo a pranzo in un bel ristorante di Pristina, mi racconta della complessità del suo lavoro. Compito della task force è il processo di privatizzazione delle proprietà statali, industrie e banche incluse. Lavora un sacco, ha montagne di documenti da scartabellare. Dopo una spigola e qualche bicchiere di vino in più, incomincia a sbottonarsi un po’ e confessa che in realtà non ha ben capito in cosa consista il suo lavoro. Lei è esperta, ha lavorato in studi importanti a Milano e Parigi, certamente sa il fatto suo. Mi dice che c’è un vizio di fondo, "come possiamo privatizzare quello che non ci appartiene?". Il protettorato internazionale, UNMIK, non è succeduto alla Repubblica Federale di Jugoslavia nella proprietà dei beni, la sovranità e l’integrità territoriale vanno rispettati secondo la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che ha avviato la missione. Quindi chi privatizza cosa? Estetica e sostanza => semplificazione e complessità.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, il 17 settembre 2002 ha annunciato che 23.339 individui risultano scomparsi come risultato delle guerre in Croazia, BiH e Kosovo negli anni Novanta. Di questi, 2.543 sono scomparsi nel conflitto croato, 17.087 in Bosnia e 3.709 in Kosovo. Si aggiungono i corpi di 8.202 individui che risultavano scomparsi e sono stati identificati, tutti morti. Ogni settimana, i famigliari degli scomparsi organizzano manifestazioni di protesta, marce, scioperi della fame e sit-in per stimolare le istituzioni e la comunità internazionale a dare loro risposte, ma ormai non se ne parla più => complessità.
L’amministrazione Bush ha determinato un progressivo ma deciso disimpegno degli Stati Uniti dall’area balcanica, lasciando responsabilità e leadership in mano all’Unione Europea. Secoondo Morton Abramowitz della Century Foundation, membro del consiglio esecutivo e vice direttore di International Crisis Group, c’è tanto in gioco, sia per i Balcani che per il futuro dell’Unione. Il punto centrale della strategia europea nei Balcani è quello di portare gli stati dell’area ad una progressiva membership, il cammino è lungo ma la promessa vale la fatica, per quanto distante il traguardo appaia. In teoria il processo di inclusione costringerà i divisi popoli balcanici dell’ex-Jugoslavia agli standard legali, politici ed economici dell’Unione, e le tradizioni di pluralismo e tolleranza del mondo occidentale riusciranno a stemperare le tensioni locali => semplificazione.
Nel frattempo gli Stati Uniti se ne vanno, sapendo bene che si è solo a metà dell’opera, lasciando in mani europee un processo non completo che richiede tanti fondi da investire, considerevole peso politico sul piano internazionale, tanti rischi e trappole politiche. I nodi vengono al pettine, le "imperfezioni" della pace di Dayton in BiH e di Kumanovo in Kosovo sono sempre più evidenti. La cosiddetta patata bollente => complessità.
E tutti vogliono entrare nella NATO, una grande promessa di futura stabilità, investimenti stranieri e protezione, definitivo avvicinamento al salotto bene della comunità internazionale. Tantopiù adesso, che il nemico universale del terrorismo può colpire in ogni momento ed ogni dove, che i teatri di intervento si sono spostati e gli F-15 non sembrano più tanto interessati al Sud Est Europa. Tutti si sono sperticati in lodi e ossequi alla NATO, differenti strategie per la richiesta di entrata sono state articolate. Ma a Praga tutti sono rimasti a bocca asciutta, esclusa la Slovenia che poi dei Balcani non ha mai voluto tanto fare parte, un’illusione in meno => semplificazione e complessità.
CONCLUSIONE
Cito me stesso, nella premessa del documento programmatico di Settore Pace, Diritti Umani e Riconciliazione (della Caritas italiana): "Per risolvere un conflitto è necessario che le cause profonde che lo hanno originato siano individuate e risolte. E’ necessario che le condotte violente non siano più tali, che le attitudini degli individui e delle comunità, non siano più ostili, che le strutture e le dinamiche che lo hanno originato siano cambiate. Gli sforzi devono essere diretti a ristabilire contatti fra le parti ostili, aiutandole a superare la contrapposizione attraverso il riconoscimento delle cause che hanno generato il conflitto, valorizzando le iniziative positive e scoraggiando la sfiducia e la diffidenza. L’idea del raggiungimento della pace passa, secondo la teoria e la prassi, attraverso le tappe indicate."
Abbiamo parlato d’ingiustizia strutturale, sistemica ed istituzionalizzata, d’esclusione sociale, competizione per le risorse e distanza fra larghe fasce di cittadini ed effettiva partecipazione alla vita pubblica. Abbiamo parlato di cause che vanno oltre la semplificazione dell’odio etnico e religioso, che riconoscono nell’ingiustizia l’elemento originario da cui tutto è derivato. E’ un discorso difficile che ha bisogno di più spazio e tempo.
Qui è sufficiente un richiamo all’attenzione. Attenzione a non credere che la realtà dei Balcani occidentali sia così semplice come i mezzi d’informazione spesso vogliono far credere. Attenzione a non credere che i processi di pace in Kosovo, BiH, Croazia, Serbia e Macedonia, siano completi, che il problema sia risolto. Attenzione, perché le cause non sono più uguali a prima ma si evolvono continuamente ed è necessaria capacità di analisi, acume e una determinata voglia di stare anche oltre le ubriacature iniziali. Attenzione a non guardare dall’alto al basso, perché si perde la prospettiva e la terra diventa una mappa in cui piantare bandierine e l’uomo nella sua complessità scompare. Attenzione perché il mondo è pieno di colori e sfumature, a volte zone grigie, e il bianco e nero resta solo sui documenti come questo che non possono fare altro che semplificare.
Sono stati presentati alcuni elementi che evidenziano la distanza fra complessità e semplificazione. Complessità della realtà e semplificazione nelle rappresentazioni. Attenzione allora a non credere alle semplificazioni, ma ad utilizzarle solo come uno strumento operativo. Da ciò emerge che niente è risolto e la contemplazione della realtà non può passare attraverso le strade del giudizio, ma solo muovere al sorriso, per non cercare risultati definitivi ma imparare ad essere parte di un processo ed aderirvi. Questi processi non sono terminati, e noi non siamo più agenti esterni ma parte della realtà, e dobbiamo capire che influenziamo questa realtà così come gli altriattori.
Michele Cesari miki@mobilia.it
(Caritas Italiana – Responsabile del Settore Pace, Diritti Umani e Riconciliazione in Kosovo)
Alcuni riferimenti:
Radio Free Europe/Radio Liberty, Many Still Missing After Balkan Conflicts, 18 Sept 2002, pubblicato su ReliefWeb.
Morton I. Abramowitz and Heather Hurlburt, Can the EU Hack the Balkans?, Sept 2002, Foreign Affairs.
Gerald Knaus, Maintaining Balkan Stability, 18 Nov 2002, pubblicato su ReliefWeb.
Radio Free Europe/Radio Liberty, The Balkans: Half Empty or Half Full?, 9 Aug 2002, pubblicato su ReliefWeb.
Johannes Linn and Christiaan Poortman, Staying the Course in the Balkans, 8 Aug 2002, pubblicato su ReliefWeb
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua