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Azerbaijan, la sfida di Nardaran

Le proteste di Nardaran, villaggio a maggioranza sciita conservatrice, segnalano un generale malcontento che sta attraversando tutto il paese per la difficile situazione economica e sociale

02/02/2016, Arzu Geybullayeva -

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I tesissimi rapporti tra il governo laico di Baku e il quartiere popolare della capitale azera a maggioranza sciita conservatrice di Nardaran, hanno subito una violenta e sanguinosa scossa il 25 e 26 novembre del 2015. A seguito di un’operazione speciale sono morte sette persone, tra cui due agenti di polizia. La sparatoria mortale è inoltre culminata nell’arresto del religioso sciita e leader dell’Unione Musulmana Eldar Bagirov e di altri 14 abitanti del rione sospettati di legami con l’Unione.

All’indomani dell’operazione, le autorità hanno dichiarato di aver sventato una rivolta religiosa architettata dai fanatici sciiti con l’obiettivo di introdurre la sharia nel contesto moderno e laico dell’Azerbaijan .

Ma cosa sia veramente accaduto e i motivi per cui ciò si sia verificato restano in dubbio, e spingono a chiedersi cosa sia davvero successo e perché. Si è veramente trattato di un’operazione tesa a sventare una rivolta o è piuttosto stata una mera dimostrazione di potere per far vedere chi è che manovra le redini del Paese? Quale che sia la risposta corretta, per ora, tocca agli studiosi dire la loro.

Perché ora?

Il raid imprevisto a Nardaran testimonia il disagio che le istituzioni di Baku nutrono nei confronti del sempre maggior numero di credenti che si sta diffondendo nel Paese. Il peso di Nardaran in termini di presenza dell’Islam radicale sciita in Azerbaijan non è una novità. Il villaggio è da sempre un bastione del conservatorismo, in cui non si vedono donne senza velo per strada, locali con la musica a tutto volume né è possibile riscontrare alcuno degli altri segni che contraddistinguono il glamour della moderna Baku. Aggirandosi per le sue vie pare di essere in una città fantasma.

Ma Nardaran è anche un paesino molto povero, in netto contrasto con la capitale, con un elevato tasso di disoccupazione e una sorta di isolamento autoimposto.

Secondo Paul Goble, che scrive per la Jamestown, “l’Azerbaijan potrebbe essere sull’orlo di ulteriori conflitti su base religiosa”. Altri vedono in Nardaran e nell’Unione Musulmana capeggiata da Taleh Bagirzade un’espressione dell’Islam politico. Infine ci sono quelli che vedono nell’operazione di Nardaran una delle tante forme di repressione (in questo caso la soppressione delle libertà religiose) che attualmente in Azerbaijan sono dirette nei confronti di ogni forma di dissenso.

Eldar Mamedov, da lungo tempo osservatore del Paese e collaboratore di Eurasianet, non è d’accordo. In uno dei suoi ultimi articoli sostiene come questa analisi non colga in realtà il punto, ovvero che “l’Islam è solo uno dei fattori che hanno contribuito a determinare i recenti fatti [la sparatoria di novembre] a Nardaran. Le proteste non riguardavano tanto l’Islam quanto piuttosto i concetti di dignità e giustizia”.

“La povertà di Nardaran si pone in netto contrasto con il benessere sfavillante delle élite di Baku, benessere che viene ampiamente percepito come frutto di un ladrocinio ai danni delle casse dello Stato. Un così lampante divario in termini di tenore di vita, unito alla corruzione e alla repressione politica, alimenta un profondo senso di ingiustizia che innesca manifestazioni di radicalismo. In questo specifico la reazione ha assunto la forma dell’Islam, in un contesto diverso avrebbe potuto sostanziarsi in un movimento di sinistra radicale”.

L’arresto di Bagirov e di altri 14 residenti [12 dei quali sono stati da allora rilasciati] ha senza dubbio indispettito il resto degli abitanti del paese. In centinaia si sono dati appuntamento nella piazza principale del quartiere per chiedere la scarcerazione di Bagirov e la restituzione dei corpi dei caduti alle rispettive famiglie.

Le proteste si sono concluse con la temporanea occupazione del villaggio e con una serie di scontri tra manifestanti e polizia in formazione antisommossa. La polizia ha poi ulteriormente accentuato l’isolamento del villaggio assumendo il controllo di tutti i punti di accesso e di uscita e interrompendo la fornitura di energia elettrica. Quest’ultimo in particolare è stato un colpo devastante per molti degli abitanti del paese, dal momento che gran parte del villaggio dipende in maniera consistente dall’elettricità per il riscaldamento centralizzato [non c’è metano].

La polizia ha proseguito con le perquisizioni e i fermi anche nelle settimane successive, e il 1° dicembre 2015 il numero degli arrestati era già arrivato a 70. Ma mentre la maggior parte dei residenti è stata rilasciata dopo aver completato il periodo di detenzione obbligatoria di un mese, Bagirzade e altri 14 restano in carcere in attesa del processo.

In un certo senso, quel che le autorità di Baku hanno fatto a Nardaran rientra nella più generale politica di persecuzione delle voci dissidenti in atto in tutto il Paese. Bagirzade potrà anche essere sostenitore di un tipo di governo improntato al modello iraniano, ma più di ogni altra cosa incarna la voce di coloro che non hanno paura di protestare per le problematiche sociali all’ordine del giorno.

Nardaran non è l’unico luogo in cui la gente soffre per la disoccupazione e la carenza dei servizi. Una recente ondata di proteste che si è andata diffondendo in tutto il Paese testimonia infatti il dilagante malcontento degli azeri per i problemi di carattere economico e sociale che stanno logorando la nazione. In dodici distretti amministrativi, centinaia di abitanti hanno protestato contro la disoccupazione alle stelle, il rincaro dei prezzi e i mutui bancari che non possono più permettersi di pagare dopo la seconda svalutazione attraversata dal Paese nel giro di appena un anno.

Sono state inviate sia truppe interne che forze di polizia antisommossa per disperdere le folle di manifestanti in alcune di queste regioni, ma sono state anche adottate misure di emergenza. Quattro giorni dopo i primi disordini, le autorità hanno infatti annunciato la decisione di rimuovere la tassa sul macinato e sul pane, di introdurre un aumento del 10 per cento sulle pensioni e di “approfondire le riforme strutturali” in materia economica.

L’epocale dissenso sul manat

La prima volta in cui il manat azero è calato di un terzo del suo valore è stata a febbraio del 2015. Ma è stato solo con la seconda svalutazione, alla fine del 2015, che si è aperta la strada a un crescente malcontento. Per la prima volta nella sua lunga storia di regime di ancoraggio valutario, la moneta nazionale azera è passata al tasso di cambio fluttuante.

I prezzi si sono improvvisamente impennati, le agenzie di cambio hanno chiuso, la gente ha perso il lavoro e la vita è cambiata radicalmente. Le autorità possono arrestare tutti i Bagirov che vogliono, ma se non iniziano ad affrontare i motivi di risentimento latente come la povertà, l’inuguaglianza, il degrado degli standard di vita, la corruzione dilagante e così via, continueranno ad essercene molti. Sarà solo questione di tempo prima che si manifestino.

Traduzione dall’inglese di Chiara Rizzo – VoxEurop

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