Austerità bosniaca
A dicembre i bilanci del governo di Sarajevo e delle due Entità sono stati approvati dai rispettivi parlamenti, all’insegna delle riduzioni di spesa. L’austerità bosniaca, tuttavia, non convince le parti sociali e non contribuisce allo sviluppo dell’economia del paese
La Republika Srpska (RS), per riuscire ad approvare il proprio bilancio pubblico, ha dovuto aspettare l’ultimo momento. In una seduta straordinaria, convocata il 2 dicembre, l’entità ha licenziato il documento e dato il via libera alle spese per il 2013. Una seduta protrattasi fino a tarda notte, tra le critiche dell’opposizione che non ha gradito le misure del governo.
Per fare fronte ai costi crescenti del proprio indebitamento, Banja Luka ha infatti scelto di stringere la cinghia. Il risparmio programmato è di circa 114 milioni di marchi, circa il 6% del totale del budget. A finanziarlo penseranno, soprattutto, importanti riduzioni ai salari pubblici: dal 2013, i dipendenti dell’amministrazione pubblica in RS avranno una busta paga più leggera del 10%. Ma anche comunità religiose, agenzie statali e amministrazioni locali pagheranno il costo di questa manovra. La città di Banja Luka, per esempio, si troverà ad avere un bilancio ridotto del 27%.
La decisione non è piaciuta né ai sindacati né al principale partito di opposizione, la SDS che in passato fu di Karadžić e che oggi è guidata da Mladen Bosić. “Questa legge non riflette i bisogni reali dell’entità, noi non possiamo sostenerla”, ha dichiarato Bosić al giornale Blic ad inizio dicembre. “Questo Governo, dal 2006, ha fatto crescere di 6 volte il nostro debito pubblico e dovrebbe presentare le proprie dimissioni”, ha continuato Bosić.
La sua voce si è unita a quella di più di 7.000 insegnanti e poliziotti, scesi in strada per manifestare contro i tagli, in una delle proteste maggiori della storia recente del Paese.
Se in Republika Srpska si aggiungono buchi alla cintura, nell’altra entità, la Federacija BiH (Federazione), non s’ingrassa certo. Anche in questo caso, il governo ha deciso di ridurre le proprie spese, con un conseguente abbassamento dei salari pubblici. “Il problema principale”, ha cercato di giustificarsi Ivana Raguz, portavoce del ministro delle Finanze della Federazione, in una dichiarazione rilasciata a SETimes, “è che il governo si troverà a far fronte a capitoli straordinari di bilancio per il 2013, quali ad esempio il finanziamento del censimento previsto in primavera, o l’acquisto di velivoli antincendio”.
Il circolo vizioso dell’indebitamento bosniaco
Come facilmente intuibile, non sono certo gli aeroplani e un censimento a mettere a prova la solidità delle finanze pubbliche bosniache. La verità, piuttosto, è che il Paese non è più capace di contenere i costi che il proprio indebitamento ha creato nel corso degli ultimi anni: nella sola Federazione, le spese annue per il rimborso del debito ammontano a 800 milioni di marchi. Praticamente un terzo dell’intero budget.
Il livello del debito pubblico in Bosnia Erzegovina, tuttavia, non è, a ben vedere, preoccupante. Il totale ammonta a circa il 50% del PIL annuale, di cui solo il 30% risulta in mano a investitori esteri. Cifre che, viste da una prospettiva italiana, fanno sorridere, ma che in realtà celano motivi di preoccupazione.
Innanzi tutto, il debito pubblico bosniaco, in conseguenza anche della crisi che ha investito l’euro-zona, è aumentato a ritmi vertiginosi (in sei anni è quasi raddoppiato, secondo le statistiche della Banca Mondiale). Per coprirlo, il Paese ha dovuto bussare nuovamente alla porta del Fondo Monetario Internazionale e sottoscrivere nuovi prestiti. La correlazione tra debito pubblico e l’ultima cambiale consegnata al FMI è evidente, dal momento che la cifra sottoscritta per il 2012 è di 405 milioni di euro: esattamente gli 800 milioni di marchi necessari a sostenere le spese annue per il rimborso del debito pubblico.
“Non possiamo pensare di sanare le finanze del Paese senza ricorrere agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale”, ha recentemente ammesso il presidente del Consiglio dei Ministri, Vjekoslav Bevanda. Di fronte a questa situazione, l’economista Goran Radivojac, dalle colonne di Glas Srpske, ha ammonito il Paese del rischio di una grande crisi sociale: “prendiamo in prestito e risparmiamo”, ha dichiarato “questa è tutta la nostra politica economica. È difficile spiegare ai nostri cittadini che in questo momento il governo non sta producendo nulla, non sta rilanciando l’economia con i soldi del FMI. La Bosnia Erzegovina sta semplicemente risparmiando per essere in grado di restituire i propri debiti”.
Le colpe della classe politica
Tagliare le spese, in questo senso, è una misura sempre più necessaria. Ma le politiche messe in atto finora sembrano, più che altro, un palliativo, incapace di toccare la vera fonte del problema, ovvero gli sprechi causati dall’amministrazione dopo Dayton e le collusioni tra politica ed economia.
“Sarei felice se la Bosnia Erzegovina attuasse una vera politica di austerità”, spiega a Osservatorio Balcani e Caucaso Muamer Halilbašić, direttore dell’Ekonomski Institut di Bosnia Erzegovina. “Parlare di austerità implica saper scegliere, distinguere le eccellenze dai fallimenti, smettere di perdere denaro per progetti che non funzionano. Basta una breve analisi alle statistiche, però, per capire che i veri sprechi del sistema sono rimasti intatti. La nostra economia è tra i primi Paesi al mondo per rapporto tra sussidi statali e PIL. Una pensione, qui, non la si nega a nessuno: ex combattenti, invalidi, vittime di guerra, indipendentemente dalla loro situazione economica. Tra tanti ex combattenti oggi ci sono anche proprietari d’industria, eppure mettere in discussione la loro pensione è impossibile”. Un altro problema, per Halilbašić, è la mancanza di coordinazione tra i vari livelli di governo: “Le entità producono la maggior parte del debito del Paese, ma Sarajevo non ha modo di controllare le loro spese. Il governo centrale, in Bosnia Erzegovina, è un salotto dove i politici si incontrano per sottoscrivere i debiti con cui finanzieranno le spese delle loro entità, al solo scopo di aumentare le loro aree di influenza”.
Per Velid Efendić, professore alla Facoltà di Economia dell’Università di Sarajevo, la politica in Bosnia Erzegovina è colpevole dell’attuale declino economico del Paese anche sotto un altro aspetto: “I politici rovinano l’immagine della Bosnia Erzegovina”, ha dichiarato deciso ad Osservatorio. “L’economia, se ci si attiene all’analisi delle cifre, non sta così male”.
Il PIL bosniaco ha conosciuto una lieve contrazione negli ultimi anni, ma questo è, dal punto di vista di Efendić, “il risultato dell’acuirsi della crisi dei Paesi dell’UE, nostri partner commerciali”. Efendić si aspetta che, già nella seconda metà del 2013, l’economia riparta.
“Ma è importante non sciupare l’occasione: la Bosnia Erzegovina ha un bisogno disperato di nuovi investimenti stranieri ed è qui che i nostri rappresentanti hanno fallito. Il Paese ha enormi risorse, enormi potenzialità di sviluppo in molti settori, come quello energetico. Ma il teatrino politico che si svolge quotidianamente sotto i nostri occhi”, ha concluso, “è capace di scoraggiare anche gli investitori più determinati”.
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