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Armenia, tra effetto Kosovo e prospettive future

Un’analisi della situazione in Armenia dopo l’elezione di Sargsyan alla luce del "fattore Kosovo", che oggi coinvolge Stepanakert capitale del Nagorno Karabakh, e città natale del neoeletto Presidente Da Eurasia

05/03/2008, Redazione -

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Di Luca Bionda. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

È trascorsa quasi una settimana dalle elezioni presidenziali che hanno decretato l’ampia vittoria di Serj Sargsyan, ma in Armenia continuano le proteste dell’opposizione. Immagini e slogan già visti e sentiti, eppure in parte sorprendenti forse proprio per la scarsa attenzione che oggi la stampa internazionale sembra voler dedicare ai manifestanti. Scontri con vittime tra l’esercito e i manifestanti, alcuni forse armati, hanno indotto il presidente Kocharyan a decretare lo stato d’emergenza nel paese fino al 20 Marzo.

Secondo uno stile fin troppo simile a quanto osservato nelle precedenti edizioni delle rivoluzioni telegeniche nell’ex URSS, anche a Yerevan sarebbero comparse tendopoli e picchetti di manifestanti e provocatori pronti a denunciare brogli elettorali mostrando personalissimi exit polls(1); particolare curioso, qui i manifestanti non hanno sventolato il vessillo bianconero con il simbolo del pugno che tanta fortuna aveva portato durante i disordini provocati dai gruppi Otpor (Serbia 2000), Kmara (Georgia 2003) e Pora (Ucraina 2004): cambio di strategia o cambio di regìa?

Ad oggi comunque resiste la linea dura adottata dal governo nei confronti della componente uscita sconfitta dalla consulta, Sargsyan ha dalla sua pure i documenti con cui l’OSCE (ODIHR) avrebbe attestato una sostanziale regolarità del processo elettorale del 19 febbraio scorso.
Dopo avere dominato una campagna elettorale basata su temi sociali, economici e di politica interna, dall’esperto ex Primo Ministro ci si attende ora la prosecuzione del programma di Kocharyan in materia di politica internazionale. Tutto questo alla luce del "fattore Kosovo", che oggi coinvolge Yerevan ma soprattutto Stepanakert, città natale di Kocharyan e del suo coetaneo successore, nonché capitale di quel Nagorno Karabagh che molti armeni considerano una seconda patria.
Per comprendere la forza del legame tra Yerevan e Stepanakert sarà sufficiente ricordare che fu proprio Robert Kocharyan il primo presidente della autoproclamatasi Repubblica del Nagorno Karabagh, progetto politico per l’enclave armena che da secoli vive e resiste nell’Azerbaijan occidentale.

Il nodo fondamentale della diplomazia armena, rimasto opportunamente ai margini della campagna elettorale, si ripresenta così puntuale sulla scena politica del paese.
Serj Sargsyan nei giorni scorsi parlando del Kosovo ha ribadito che "se alcuni paesi riconosceranno l’indipendenza della provincia serba, ma poi non approveranno quella del Nagorno Karabagh, allora saremo portati a pensare che si usano parametri diversi". Per Kocharyan "l’Armenia ha rafforzato le sue posizioni sul Karabagh negli ultimi dieci anni e la possibilità di un suo ritorno all’Azerbaijan non è mai stata presa in considerazione (…), nessuna proposta armena di ritorno del Karabagh all’Azerbaijan è mai stata avanzata a partire dal 1998"(2); chiaro il riferimento all’operato del primo presidente armeno, oggi ricomparso improvvisamente sulla scena politica per guidare l’opposizione.
Dichiarazioni decise che peraltro fanno eco a quelle in parte già espresse dai vertici politici di Russia, Abkhazia ed Ossezia del Sud. Inutile dire che anche a Yerevan gli avvenimenti del Kosovo Metohija potrebbero accelerare il riconoscimento delle regioni indipendentiste nel Caucaso, anche se lo stesso Kocharyan ha precisato che la questione del Karabagh resterà congelata fino ad ottobre, causa elezioni in Azerbaijan.

Non è un caso che molti euroburocrati di Bruxelles, forse immaginandosi il presidente azero Aliyev chiudere personalmente le valvole dell’oleodotto BTC in un plateale gesto di ritorsione, abbiano da subito ribadito che il riconoscimento del Kosovo indotto dalla pressione di Washington sarà un’eccezione nel panorama internazionale e non un precedente utile a sbloccare altri conflitti regionali.
È il ben noto "doppio standard" più volte condannato da Vladimir Putin, quello che oggi mina in modo sostanziale la credibilità con cui l’Unione Europea aspira a rappresentare un baluardo politico di solidarietà, pace e rispetto dei diritti dei popoli.
In ogni caso, i recenti risultati elettorali armeni, pur contestati dall’opposizione, ci indicano che la popolazione intende appoggiare la linea della continuità politica e della sicurezza nazionale; decenni trascorsi tra guerre, persecuzioni, terremoti, lotte interne e terrorismo sembrano alle spalle.
La crescita economica ed il peso politico acquisito durante l’epoca Kocharyan sono i due biglietti da visita con i quali l’Armenia può oggi imporsi come maggiore interlocutore caucasico anche perché, contrariamente a Georgia ed Azerbaijan, mantiene al tempo stesso buoni rapporti con Russia, Unione Europea e Stati Uniti.

Le questioni energetiche nella regione coinvolgono attivamente l’Armenia assieme ai principali attori europei del settore; ultime notizie in ordine di tempo quelle riguardanti il presunto interessamento di Gaz de France alla costruzione del gasdotto South Stream, gestito da Gazprom, dopo gli ostacoli posti dalla Turchia all’entrata della compagnia francese nel progetto Nabucco.
La consolidata élite politica armena non fa comunque mistero di voler dare maggiore impulso al ruolo internazionale del proprio paese, necessario a ricoprire un posto importante nei futuri equilibri geopolitici della regione. Stretta tra l’ostilità più o meno filo-atlantica di Turchia ed Azerbaijan, la politica estera dell’Armenia si manifesta oggi soprattutto nei buoni rapporti con l’Iran e la Federazione russa. Lo sviluppo delle relazioni con Mosca dipenderà sempre più da questioni energetiche, su tutto l’aumento del costo del gas naturale imposto da Gazprom e la costruzione del gasdotto tra Iran ed Armenia(3).
La compagnia ArmRosGazprom, un modello societario con pari quote di maggioranza tra il governo armeno e la russa Gazprom, sta lavorando alla costruzione del gasdotto Iran – Armenia; è chiaro che il controllo e l’eventuale prolungamento verso Ovest delle condotte costituiranno i temi fondamentali delle future relazioni tra i tre Stati.
Sarà quindi importante osservare già nell’immediato futuro i rapporti armeni con Russia ed Iran, auspicando una graduale divisione delle sfere di influenza energetica nel paese e, soprattutto, una collaborazione paritaria per favorire la stabilità e lo sviluppo della regione(4).

Esiste tuttavia il rischio che il deteriorarsi della stabilità su scala internazionale induca l’Armenia a spostare in modo eccessivo il baricentro della propria politica estera: Mosca è un alleato decisivo ma legato soprattutto ai propri interessi geopolitici globali in Caucaso, mentre Tehran avrà grande peso nello sviluppo dell’Armenia ma oggi condivide con Yerevan soprattutto una situazione di ingiustificato isolamento politico.
Più probabilmente gli interessi russi in Iran spingeranno Mosca ad un dialogo costruttivo con tutti gli alleati della regione.
L’ascesa di Sargsyan risponde perfettamente a queste aspettative, anche perché la politica estera armena sembra uscire dalle elezioni quasi immutata. Yerevan non è Tbilisi, questo Ankara e Washington lo comprendono bene.
Inaugurato dalle turbolente elezioni georgiane e da quelle armene, il 2008 sarà quindi un anno decisivo per tutto il Caucaso. La proclamazione del successore di Vladimir Putin coinvolgerà anche le repubbliche del Caucaso russo, tra cui Cecenia, Kabardino Balcaria, Ossezia del Nord, Inguscezia, Dagestan risultano essere quelle con i maggiori problemi di stabilità politica e convivenza interetnica.

Ad ottobre sarà invece la volta dell’Azerbaijan, guidato dal presidente "ereditario" Ilham Aliyev, decisamente contrario ad ogni concessione agli Armeni del Karabagh al punto da opporsi sempre alla partecipazione della dirigenza di Stepanakert alle riunioni con le rappresentanze diplomatiche ed il Gruppo di Minsk(5). Secondo quanto riferito dall’agenzia russa Regnum(6), alcune settimane fa Aliyev ha dichiarato che "l’Armenia non ha vinto la guerra, ma si è trattato solo di una prima fase di scontro".

Evidentemente senza una pace duratura non sarà possibile migliorare l’economia e la stabilità della regione; tuttavia, dato il perdurare di una situazione di stallo nel Nagorno Karabagh e dei segnali di una crescente militarizzazione azera, il controllo dei confini e delle zone cuscinetto attorno all’enclave armena potrebbero restare ancora a lungo uno strumento utile a mantenere immutati i rapporti di forza nel Caucaso meridionale. Una situazione di stallo che, come si insegna nei Balcani, spesso ha il valore di una pace vera.

NOTE:
(1) Si legga a tale proposito quanto scritto dal politologo russo Andrej Areshev già il 06.11.2007 nel suo articolo "Levon Ter-Petrosian as a Tool of Armenia’s Destabilisation": "Ter-Petrosian’s chances of winning the election are as good as nil. According to serious observers, in reality he can only count on the support of not more than a fraction of several percents of the electorate. His only hope is provoking meetings in the streets, pumping up destructive emotions, provoking dissent in the armed forces and law enforcement agencies (…). For greater persuasiveness some exit-pool results can be presented that would allegedly unequivocally support the "right" candidate". FONTE: Fondsk.ru
(2) Armenia strenghtened position on Karabakh during past 10 years (PanARMENIAN.net – 29.02.2008)
(3) Iran-Russia-Armenia: gas triangle (Samvel Martirosyan, Head of the Centre for Strategic Studies – Yerevan, ARM)
(4) Di particolare interesse per Armenia ed Iran sarà anche lo sviluppo del settore idroelettrico, grazie allo sfruttamento del fiume Araks che scorre sul confine tra i due paesi.
(5) Gruppo di dialogo e mediazione transnazionale incaricato di trovare una soluzione giuridicamente accettabile per il territorio indipendente rivendicato dall’Azerbaijan.
(6) Azerbaijani president: "Armenians are guests in Yerevan". (Regnum.ru – 17.01.2008). Aliyev sostiene che gli Armeni dovrebbero considerarsi ospiti nella propria capitale in quanto "il Khanato di Iravan (Yerevan) era territorio azero".

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