Tipologia: Intervista

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Area: Slovenia

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Anuška Delić, la scrittura e i servizi segreti

Una serie di interviste realizzate da SEEMO a giornalisti del sud-est Europa che hanno subito minacce e aggressioni nel fare il loro lavoro. L’incontro con Anuška Delić

12/01/2015, SEEMO -

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(Intervista originariamente pubblicata da www.seemo.org)

Anuška Delić è una giornalista di Delo, uno dei maggiori quotidiani sloveni, dove si occupa principalmente di inchieste e indagini giornalistiche. Membro dell’Associazione dei giornalisti sloveni, consigliere del comitato organizzativo del Festival dei media sloveno "Forward", membro di IRE e partner dell’OCCRP è attualmente sotto processo per aver pubblicato informazioni riservate sui Servizi di intelligence sloveni.

Ci racconti il suo caso…

Nell’estate 2012, l’intelligence slovena e l’Agenzia di sicurezza hanno sporto denuncia contro di me e un altro impiegato anonimo dell’Agenzia. L’accusa a mio carico era di aver pubblicato informazioni classificate in articoli in cui parlavo delle connessioni tra il partito SDS [Partito democratico sloveno] e il ramo sloveno del movimento internazionale di estrema destra Blood and Honour. Gli articoli vennero pubblicati sul quotidiano Delo all’inizio del 2011. Secondo il Codice penale sloveno (articolo 260) la pubblicazione di informazioni classificate può portare ad una pena fino a tre anni di carcere.

Nel marzo 2013 sono stata interrogata dalla polizia, e in aprile il pubblico ministero ha presentato un atto di accusa contro me e Sabastjan Selan, ex direttore dell’Agenzia di intelligence. Secondo il pubblico ministero, Selan è stato messo sotto accusa per non aver sporto denuncia contro di me e un altro impiegato anonimo dell’Agenzia. A settembre 2014 un giudice della corte distrettuale di Lubiana ha deciso che l’accusa doveva essere portata in giudizio. L’audizione preliminare ha avuto luogo il 14 ottobre 2014, mentre il processo vero e proprio ha preso avvio il 5 gennaio 2015.

Questo caso ha influenzato il suo lavoro di giornalista?

Rispetto al mio lavoro di indagine sulle attività del gruppo Blood and Honour Slovenia (B&H), sicuramente sì. B&H scrisse sulla sua pagina web nel giugno 2012 che le informazioni che avevo fornito sul suo conto non potevano che provenire dai Servizi di intelligence. Così, non appena ho capito che per me c’era la possibilità di incorrere in un procedimento giudiziario, evidenza che si è fatta più chiara dopo l’interrogatorio di polizia, ho smesso di portare avanti la mia inchiesta sul gruppo B&H. Ero preoccupata dal fatto che la polizia, e più tardi il pubblico ministero, potessero compromettere le mie fonti. E con questo intendo, tutte le mie fonti, non soltanto quelle con cui ho parlato in questo caso particolare.

La Slovenia è un paese piccolo in cui ci conosciamo tutti. Il partito che ho denunciato nei miei articoli è il principale di centro-destra nel paese. Hanno dei metodi e una retorica per così dire "esplosivi" di relazionarsi con chi è in disaccordo con loro, o è anche solo percepito essere in disaccordo con loro. Per cui c’è una tendenza qui a starne alla larga, e questo è vero soprattutto nel caso del presidente del partito, Janez Janša.

In seguito, quando ho letto nell’atto d’accusa che uno dei giudici aveva negato la richiesto del pubblico ministero di avere accesso alle mie registrazioni telefoniche, ho potuto ricominciare a lavorare sul caso. Tuttavia, ho perso davvero molto tempo ed energia e non ho lavorato come avrei voluto.

Dopo tutto quello che è successo, ha mai pensato di auto-censurarci o di ricorrere ad altri modi stare un po’ più tranquilla?

Non esattamente. Non vedo alcuna ragione per auto-censurarmi. Magari posso essere un po’ più cauta con le parole da usare in pubblico, questo è tutto…

Come questo caso ha influito con la sua vita privata?

Gli effetti sulla mia vita privata sono stati simili alle conseguenze sulla possibilità di lavorare in pace. Ho perso tempo, energia e sonno. Inoltre, la ”controparte” ha avviato una campagna per screditarmi. Questo ha un prezzo molto alto. Dal un lato, reagire mi portava a fare insinuazioni paranoiche, dall’altro l’inazione significava assenza di reazione per difendere me stessa, come sarebbe stato giusto fare. É un’arma a doppio taglio. Entrambi i lati avevano un effetto su di me, che mi piacesse o meno.

Ha ricevuto sufficiente sostegno pubblico?

Sentivo che avevo molto sostegno in larghi segmenti del pubblico, per le meno tra chi non sta dalla parte di chi ha avviato tutto questo contro di me.

Gli altri media sloveni hanno parlato del suo caso? Le hanno offerto solidarietà?

In un primo momento, quando si è saputo che c’era un’accusa contro di me, la reazione è stata blanda. La notizia è stata data da un settimanale vicino al movimento politico di cui avevo scritto. Tuttavia, quando è stato reso noto che andavo incontro ad un processo ho ricevuto il sostegno pubblico della maggior parte dei media sloveni.

Oltre a questo, l’appoggio dei media internazionali è stato sorprendente.

Una cosa che mi è sembrata ancora più importante della solidarietà dei giornalisti è stata la richiesta dell’Associazione slovena dei giornalisti di ottenere una modifica degli articoli del Codice penale relativamente alla pubblicazione di informazioni classificate e alla diffamazione. Devo aggiungere che fino al novembre 2008 il Codice penale sloveno permetteva la pubblicazioni di informazioni riservate nei casi di interesse pubblico e senza arrecare danno agli interessi dello stato. Poi questa possibilità è stata rimossa. Il mio caso è il primo a basarsi sulle nuove previsioni del Codice penale. In seguito un altro caso ha coinvolto due giornalisti di Dnevnik.

Quanto è stato importante per lei il sostegno di SEEMO?

Non posso enfatizzare troppo l’importanza di questo sostegno ma certamente la visibilità – sia all’interno del paese che a livello internazionale – di un caso come il mio è importante. Non solo perché è un’espressione di solidarietà e supporto, ma anche perché mostra ai poteri statali che il processo non passerà inosservato tra le le organizzazioni e le istituzioni che salvaguardano la libertà di espressione e di stampa a livello internazionale. Inoltre, è un messaggio chiaro del fatto che mettere sotto processo i giornalisti per il proprio lavoro non verrà tollerato. Nessun governo vuole mettersi in cattiva luce agli occhi della comunità internazionale.

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