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Allarme terminal offshore sul confine italo-sloveno

Due impianti di rigassificazione uno a Muggia ed uno nel golfo di Trieste. Se ne parla poco o niente di questo progetto "espolosivo". Troppo vicine le elezioni del 9 aprile. Ambientalisti italiani, sloveni e croati protestano e propongono, sull’argomento, un referendum transfrontaliero

28/03/2006, Franco Juri - Capodistria

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Uno strano "silenzio stampa" è calato in Friuli Venezia Giulia sul progetto di due terminal di rigassificazione (tecnologia spagnola ENDESA) previsti nel golfo di Trieste, a cavallo del confine italo-sloveno.Uno dovrebbe sorgere nei pressi di Muggia, l’unica cittadina italiana in Istria, l’altro su una piattaforma offshore nel mezzo del golfo ad una distanza quasi uguale dalle coste italiana e slovena. Quasi, visto che le coordinate, previste ai limiti massimi delle acque territoriali italiane, avvicinano il terminal di più alla costa slovena che a quella italiana. Se ne parla poco o non se ne parla affatto prima delle elezioni del 9 aprile, perché il tema è letteralmente esplosivo, almeno quanto lo è a Livorno e a Pisa dove l’allestimento di un analogo terminal offshore, posto su una piattaforma galleggiante a poche miglia dalla costa toscana, ha dato il via ad una vivacissima protesta ambientalista.

I terminal di rigassificazione stanno diventando particolarmente di moda dopo le recenti peripezie con il gas di Putin; la parola d’ordine europea è diversificazione delle fonti, politiche energetiche comuni ed eliminazione di ogni barriera interna nell’approvvigionamento energetico. Il Friuli Venezia Giulia, con Trieste in prima linea, si proietta in questo scenario come uno dei principali poli energetici europei, ovvero come nodo cruciale delle vie energetiche (soprattutto di quelle del gas naturale) dal Mediterraneo all’Europa centrale. E’ una visione bipartisan che conta un appoggio generalizzato dei partiti locali, di destra e di sinistra. Con l’ovvia eccezione dei verdi, per natura sensibili e vicini alle preoccupazioni degli ambientalisti.

Non sorprende quindi che il governatore del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, convinto sostenitore del progetto di rigassificazione, sia rimasto particolarmente irritato dal colloquio chiarificatore al quale l’ambasciatore italiano a Lubiana Daniele Varga è stato invitato di recente dal ministro sloveno per l’ambiente Janez Podobnik. Nel laconico comunicato seguito all’incontro il ministro sloveno ha assicurato che la parte italiana riferirà su ogni passo in modo da coinvolgere il paese vicino nella valutazione dell’impatto ambientale dei terminal.

Un’assicurazione questa che non ha confortato l’opinione pubblica interessata e che per l’alone di mistero, con cui le parti governative stanno trattando il tema, foraggia i dubbi e la protesta degli ambientalisti e dei pescatori dell’alto Adriatico da entrambe le parti del confine. Il primo a lanciare l’allarme terminal in Italia è stato il Consorzio ittico di Trieste, seguito dal WWF, dai verdi e quindi da un comitato di coordinamento per la salvaguardia del Golfo di Trieste.

Contemporaneamente la protesta ambientalista ha coinvolto anche la parte slovena e croata. A Capodistria si è organizzato un analogo comitato di coordinamento sloveno; da Pola invece gli ambientalisti hanno manifestato il loro pieno appoggio ai compagni sloveni e italiani. I verdi del Friuli Venezia Giulia, dell’Istria slovena e di quella croata hanno proposto un referendum comune, il primo transfrontaliero, con cui decidere sul progetto terminal dopo che sia stato reso possibile un dibattito documentato sulle conseguenze ecologiche, economiche, sociali e quelle inerenti alla sicurezza degli impianti previsti. Il muro di silenzio ufficiale quindi, nonostante gli imbarazzi dovuti all’incalzare delle elezioni, potrebbe crollare.

Che cosa preoccupa gli ambientalisti, i pescatori, gli imprenditori turistici e le comunità locali di entrambi i lati del confine? Nessuno può negare che i terminal di rigassificazione comportano una serie di conseguenze ambientali e di pericoli per la sicurezza di chi ci vive vicino. Gli esempi di devastanti esplosioni con non poche vittime umane risalgono al 1944, quando un terminal gas esplose a Cleaveland. Ma se quell’incidente fu causato da una tecnologia ancora carente, le recenti esplosioni di impianti di gas naturale liquido (GNL) in Algeria (2004), Belgio (2004), Nigeria (2005), non lasciano dubbi; anche le attuali tecnologie non escludono il pericolo di un incidente con esplosione. Inoltre le navi gasiere, vere e proprie bombe galleggianti, stanno aumentando esponenzialmente e con due terminal piazzati nel golfo di Trieste aumenterà enormemente anche la frequenza della loro navigazione in questo fazzoletto di mare chiuso. Il rischio terrorismo poi non fa che aumentare le preoccupazioni degli ambientalisti. Ma l’emergenza è dettata anche dall’impatto ambientale potenzialmente meno esplosivo dei terminal di rigassificazione. I più preoccupati sono i pescatori già da tempo in difficoltà per il progressivo impoverimento ittico dell’Adriatico settentrionale.

Il processo di rigassificazione del GNL che arriva trasportato dalle navi gasiere ad una temperatura di (meno) -160 gradi, necessita di enormi quantità di acqua marina per lo scambio termico; circa 23 mila metri cubi all’ora. L’acqua usata a tale scopo torna in mare con una temperatura di 5 gradi inferiore e così raffreddata, e quindi appesantita, finisce sul fondo marino dove il calo della temperatura altera inevitabilmente gli equilibri termici e di conseguenza anche quelli biologici. Nel punto previsto per il terminal offshore di Trieste il mare è profondo solo 24 metri e perciò le preoccupazioni per un calo progressivo e cumulativo della temperatura dell’acqua in un golfo che soffre già adesso il problema di cronici ritardi nel recupero delle temperature ottimali per l’arrivo del pesce, è tanto più comprensibile. Ma l’impatto sarà anche chimico, visto che nell’acqua utilizzata per lo scambio termico nelle installazioni verranno immesse non trascurabili quantità di cloro (la popolare varechina). Gli ecologisti inoltre avvertono anche che le navi gasiere sono divoratrici di energia (una gasiera consuma 100 tonnellate di carburante al giorno) e sono importanti fonti di CO2 e quindi concorrono ad aumentare l’effetto serra. Come d’altronde lo fa l’interazione del metano con l’atmosfera.

L’allarme terminal viene lanciato dagli ambientalisti dei tre paesi contermini nella consapevolezza che in gioco ci sono enormi interessi delle lobby energetiche che si appigliano ai benefici del corridoio intermodale europeo 5 ed anche una serie di necessità imprescindibili per lo sviluppo industriale. Tuttavia la protesta intende arginare una progettazione sregolata e nazionalmente autarchica in cui ciò che conta sono soltanto i profitti degli investitori e dove l’ambiente sembra diventare un optional insignificante. Un analogo terminal è previsto sull’isola di Veglia (Krk) in Croazia, dove le condizioni (come ad esempio la profondità del mare e la distanza da altri paesi) sono comunque migliori rispetto a quelle del golfo di Trieste, ma per il quale c’è comunque preoccupazione e sulla cui realizzazione è in corso una vivace dialettica tra la regione quarnerina e Zagabria.

Chi contesta insomma vuole chiarezza e trasparenza (che ora mancano del tutto) e il coinvolgimento dei diretti interessati nelle scelte in merito. Riccardo Illy è un grande sostenitore dell’euroregione; paradossalmente la proposta di referendum transfrontaliero, come messa in pratica di un’azione comune, »euroregionale« della società civile, esordisce in collisione con la visione strategica del governatore.

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