Albania, l’opposizione boicotta le amministrative
Il braccio di ferro tra governo e opposizione rischia di far saltare le elezioni amministrative albanesi fissate per il prossimo 20 gennaio. Mentre Berisha procede a testa bassa, salgono le preoccupazioni sul fronte internazionale
Le elezioni amministrative in Albania, fissate per il prossimo 20 gennaio, rischiano di fallire: l’opposizione di sinistra ha deciso di boicottarle prendendo le distanze "da ogni processo elettorale anticostituzionale senza standard democratici, che voglia deformare la volontà degli elettori albanesi … e tenti di imporre violentemente una farsa alla quale nessuna forza progressista può partecipare".
La grave crisi politica nella quale si trova il Paese è frutto della testardaggine di maggioranza e opposizione che, in un anno di tentativi e incontri, non sono riusciti a trovare un linguaggio comune per arrivare alla tanto attesa riforma elettorale. Il giorno delle elezioni è uno dei punti sui quali i due schieramenti si trovano in totale disaccordo; tanto che il Presidente della Repubblica Moisiu ha aspettato fino all’ultimo momento, nella speranza di un miracolo, per poi mandare gli albanesi alle urne all’ultima scadenza che gli impone la Costituzione, il 20 gennaio prossimo.
Troppo presto – secondo l’opposizione – per garantire un processo elettorale onesto e democratico. Per la prima volta nella sua storia, l’Albania si ritrova così a votare di sabato (e non di domenica), con un codice elettorale creato provvisoriamente per le politiche del 2005, contenente tanti aspetti tecnici che sono ormai scaduti. Ma la mancanza di una base legislativa non sembra preoccupare la maggioranza di centro-destra del premier Sali Berisha che ha deciso di fare riferimento per analogia ad un articolo del vecchio codice, relativo alle elezioni anticipate (anche se queste non lo sono) il cui svolgimento viene previsto entro 45 giorni e la pubblicazione delle liste dei votanti viene fatta 10 giorni prima del voto invece di 6 mesi prima.
La paralisi
Il Partito socialista (Ps) di Edi Rama, che guida le 5 forze parlamentari della sinistra, contesta il poco tempo a disposizione per fare il censimento della popolazione e stilare le nuove liste dei votanti: "il tempo rimasto a disposizione non garantisce un processo onesto", hanno detto. Forte della sua maggioranza a livello locale (dirige il 64% dei comuni), Rama ha ordinato ai suoi uomini di non pubblicare le nuove liste, paralizzando così l’intero processo elettorale.
Se non bastasse, nessuno dei partiti dell’opposizione si è iscritto alla gara, presso la Commissione elettorale centrale, creando così un altro nodo da sciogliere: il termine massimo ormai è scaduto da giorni e per loro la Costituzione prevede l’esclusione dai giochi. Tra l’altro, i socialisti hanno detto che non intendono mandare i propri membri nemmeno nelle commissioni elettorali locali, che dovevano essere costituite già dall’agosto scorso. Secondo l’opposizione, la destra al governo sta progettando "di manipolare il voto", perciò si rifiutano di fare parte in ciò che definiscono "una farsa elettorale imposta con la violenza".
Il leader socialista Rama non ha escluso nemmeno le proteste in piazza, se non ci sarà un’apertura da parte del governo. "La coalizione di sinistra – ha detto – può aspettare per una, massimo due settimane. Dopodiché, se il processo non rientra nella strada della legalità, noi non possiamo stare a guardare e scenderemo in piazza".
La situazione creata non sembra preoccupare la maggioranza che non molla, annunciando la volontà di "andare avanti, anche da soli". Anche il premier Sali Berisha lo ha più volte ribadito, rifiutando categoricamente uno slittamento della data delle elezioni: "è una questione sulla quale non si potrà negoziare in nessun modo", ha detto, chiudendo così le porte alle trattative.
Preoccupazioni
Molto preoccupato il capo dello Stato – che per un anno ha fatto da mediatore ai due schieramenti – il quale, rinnovando l’invito al dialogo, ha ricordato che per fare delle "elezioni normali c’è bisogno di almeno due parti". "La democrazia e le elezioni – ha ammonito Moisiu – non possono essere un monopolio della politica e tanto meno di una sola forza politica". Il presidente della Repubblica ha dichiarato anche di essere disponibile a far slittare le elezioni, ma solo se la richiesta gli perverrà da entrambi gli schieramenti.
Altrettanto allarmata per la crisi albanese si dimostra anche la comunità internazionale, ma che tuttavia questa volta ha preferito mantenere un ruolo più defilato, limitandosi ad ammonire sui rischi ai quali il Paese sta andando incontro e invitando incessantemente al dialogo.
Dirk Langhe, incaricato della Commissione Ue per l’Albania, ha sottolineato che "se queste elezioni registreranno passi indietro rispetto al passato", Bruxelles rivedrà i rapporti con Tirana. In un rapporto stilato dagli osservatori internazionali in seguito alle politiche del 3 luglio 2005, che portarono Berisha al potere, si affermava che alcuni passi in avanti c’erano stati, ma comunque "meno di quanti ci si aspettava".
La comunità internazionale ha espresso diverse volte l’auspicio di poter vedere finalmente l’Albania capace di svolgere delle elezioni nel rispetto totale degli standard democratici. Gli ultimi processi di voto sono stati dei test che il Paese delle Aquile ha passato sul filo del rasoio. Anche questo confronto con gli elettori è molto attesto dalle cancellerie europee poiché diversi Paesi membri dell’Ue hanno dichiarato di voler prima guardare il suo andamento per poi ratificare l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione che Tirana e Bruxelles hanno siglato agli inizi dell’estate scorsa.
I brogli di 10 anni fa
Secondo alcuni analisti, andare alle elezioni senza l’opposizione sarebbe un suicidio politico per il premier Berisha. Questo è il primo processo di voto che il leader democratico si trova a gestire da quando è tornato al potere; l’ultimo, quello del 26 maggio 1996, viene ancora ricordato come il più grande furto elettorale nella storia albanese.
Dieci anni fa Berisha era Presidente della Repubblica, il suo Pd al governo e i socialisti, come oggi, erano all’opposizione, ma molto più sgangherati e con l’allora leader Fatos Nano in prigione. Visti i brogli in corso nella stragrande maggioranza dei seggi, anche allora l’opposizione decise di abbandonare il processo in corso, ritirando tutti i suoi uomini dalle commissioni locali.
Come ormai è riconosciuto da tutti, i simpatizzanti del Pd, aiutati dai servizi segreti e dalla polizia, riempirono le urne con schede a favore dei candidati democratici. Per assurdo, la vittoria di questi ultimi in alcune zone fu del 120%.
Il caso più "famoso" è quello di un rappresentante dell’opposizione a Tirana il quale, alle 9:30 fu trovato dagli osservatori internazionali fuori dal seggio, cacciato dalla polizia "perché faceva troppo rumore". Alle 16:45 – pochi minuti dopo la decisione dell’opposizione di boicottare il processo – lo stesso rappresentante fu trovato dagli osservatori all’interno del seggio, trattenuto forzatamente per impedirgli di abbandonare la commissione.
Molti casi di brogli furono elencati nel rapporto stilato in seguito dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), secondo il quale "32 dei 79 articoli della legge elettorale furono violati durante la campagna elettorale e durante il giorno del voto". Il rapporto, non condiviso dal Pd di Berisha, portò ad un drastico raffreddamento dei rapporti tra il governo di Tirana e l’Osce.
Questo è anche il principale motivo che induce molti analisti a giudicare assai più importante per il premier Berisha lo svolgimento di elezioni libere, oneste e democratiche, piuttosto che lo stesso risultato politico. Perché, come disse di Berisha l’allora ex presidente Usa, Bill Clinton, "non può scorrere due volte lo stesso fiume sotto lo stesso ponte".
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