Afgani in Turchia: immigrati senza diritti
Gli afgani rappresentano la prima comunità di migranti irregolari in Turchia, in crescita nonostante rimpatri forzati, diritti negati e difficili condizioni di vita
"Ho lasciato la mia famiglia alle spalle. Niente madre, niente padre. E niente documenti".
Nurullah è un ragazzo afgano di 15 anni. Sotto un cielo buio e gelido, Nurullah è di fronte ad una moschea nel distretto di Beykoz, a Istanbul. Non è solo. Altri uomini afgani stanno aspettando. Qui è dove i migranti afgani cercano lavoro a giornata ogni mattina. La caccia inizia prima dell’alba: se sono abbastanza fortunati, arriverà un’auto a prenderli. Altrimenti torneranno domani mattina, perché la caccia ad un’occupazione, seppur temporanea, non finisce mai.
Secondo le statistiche ufficiali, gli afgani sono al primo posto tra gli immigrati irregolari in Turchia. Il numero di immigrati afgani che arrivano nel paese, tuttavia, è aumentato lo scorso anno. Il deterioramento delle condizioni di sicurezza in Afghanistan, l’espulsione dei rifugiati afgani dai paesi confinanti con la Turchia, il peggioramento della situazione economica in Iran e la costruzione di un muro lungo 144 km lungo il confine iraniano, che dovrebbe essere completato quest’anno, sono alla base dell’aumento della migrazione afgana in Turchia.
"La guerra in Afghanistan dura da 40 anni. A causa dell’ambiente instabile e pericoloso, il tasso di disoccupazione è molto alto. La situazione peggiora di giorno in giorno. Sempre più afgani stanno arrivando in Turchia attraverso l’Iran", dice ad OBCT Zakira Hekmat, fondatrice e direttrice dell’Associazione per la solidarietà e l’aiuto ai rifugiati afgani in Turchia.
"Degli animali non vivrebbero dove viviamo noi adesso"
Il crescente numero di immigrati afgani porta molti di loro a sperimentare periodi di detenzione durante il processo di deportazione. Le espulsioni arbitrarie sono una questione chiave per l’immigrazione irregolare. Dopo un forte aumento degli arrivi di immigrati afgani in Turchia durante il primo trimestre del 2018, Turchia e Afghanistan hanno firmato un accordo per facilitare i rimpatri. Secondo le statistiche della Direzione generale per la gestione della migrazione della Turchia, nel 2018 oltre 31.000 afgani sono stati deportati arbitrariamente, vale a dire il 55% delle espulsioni totali dello scorso anno. Tra gli afgani che sono stati rimandati nel loro paese, ci sono anche alcuni amici di Zabıhullah..
"La polizia ha portato via alcuni dei miei amici la settimana scorsa. Loro se ne sono andati, ma non voglio tornare in Afghanistan. Siamo a rischio di essere costretti a tornare in situazioni di pericolo", dice il ragazzo afgano di 18 anni.
Zabıhullah viveva nella provincia di Faryab prima di venire in Turchia. Dopo un lungo viaggio attraverso il Pakistan e l’Iran, è arrivato in Turchia un paio di mesi fa. Zabıhullah non pensa di tornare in Afghanistan nel prossimo futuro. Attualmente lavora in cantiere 12 ore al giorno per 70 lire turche (11 Euro) per una giornata di lavoro.
"Non riesco a trovare lavoro ogni giorno. Il mio sogno è sostenere economicamente la mia famiglia, ma al momento non è possibile. Se torno oggi, so che non posso guadagnare nulla lì. La vita non è facile nemmeno a Istanbul, ma almeno qui ho qualche speranza".
Quando iniziamo a parlare delle condizioni abitative un altro immigrato afgano, Habib, si unisce alla nostra conversazione.
"Sorella, degli animali non vivrebbero dove viviamo noi ora. Non può essere descritta come una casa. Giuro che un animale non potrebbe resistere lì a lungo", dice Habib. Nonostante le condizioni di vita disumane, Habib vuole rimanere in Turchia e anche lui ha paura della deportazione.
Un ragazzo afgano picchiato a morte da agenti turchi
I funzionari turchi sostengono che i rimpatri degli immigrati afgani sono volontari. Tuttavia, Amnesty International ha scoperto che dei rifugiati sono stati costretti a firmare moduli di rimpatrio volontario in turco, una lingua che non erano in grado di comprendere. Anche Zakira Hekmat conferma l’esistenza di queste azioni arbitrarie.
"Abbiamo diversi video e foto che mostrano che gli afgani vengono maltrattati nei centri di detenzione per firmare moduli di rimpatrio senza un traduttore. A volte le impronte digitali dei migranti vengono prese durante il sonno", afferma Hekmat.
Il trattamento degli immigrati come criminali nei centri di detenzione della Turchia è una critica comune da parte degli esperti del settore. D’altro canto, non sorprende che gli immigrati maltrattati abbiano paura di presentare reclami contro i funzionari turchi. Rimane vivo il ricordo di un ragazzo di 17 anni picchiato a morte in un centro di detenzione.
Lütfullah Tacik era arrivato in Turchia nel 2014. Come ogni altro bambino della sua età, ha lasciato l’Afghanistan sognando di costruire una nuova vita. È stato arrestato dalla polizia turca nella città di Iğdır. Poiché era ancora minorenne, è stato mandato in un centro giovanile affiliato al ministero turco della Famiglia e delle Politiche sociali nella città di Van, con altri sei bambini afgani. Per determinare la loro età, due agenti di polizia hanno portato i sette bambini nel centro di detenzione di Van per l’esame dell’età ossea.
Dopo l’esame di Tacik, un ufficiale ha iniziato a urlargli contro: "Perché hai mentito sulla tua età?".
Testimoni hanno affermato che in seguito Lütfullah è stato schiaffeggiato e preso a pugni allo stomaco. È caduto e ha cominciato a schiumare dalla bocca. Il diciassettenne è stato portato in ospedale un paio d’ore dopo essere stato torturato. Dopo essere rimasto in terapia intensiva per due giorni, Lütfullah è morto in ospedale.
L’avvocato Mahmut Kaçan, ex collaboratore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), è venuto a conoscenza della morte di Lütfullah per caso. Una coppia afgana detenuta nel centro di detenzione per un po’ gli ha raccontato di alcune voci sulla morte di un ragazzo. All’inizio Kaçan non vi ha creduto, ma poco dopo ha scoperto che le affermazioni erano vere.
"Il procuratore non ha raccolto prove. Il filmato della telecamera di sicurezza sulla scena del crimine è sparito. Due agenti di polizia sono stati messi sotto processo, ma la corte non ha mai emesso un mandato di arresto. Soprattutto, non sono accusati di tortura. Questo da solo spiega molto", dice Mahmut Kaçan.
Il caso della morte di Lütfullah Tacik non è ancora chiuso. I due poliziotti che avrebbero picchiato a morte il ragazzo afgano non si presentano alle udienze. L’avvocato Kaçan pensa che gli immigrati riescano a malapena a far sentire la propria voce su episodi di maltrattamenti o torture e le loro storie rimangano quasi sempre invisibili.
"Se noi come avvocati non avessimo seguito le indagini da vicino, forse il processo non sarebbe mai iniziato. La tortura e il maltrattamento di rifugiati e immigrati rimangono impuniti", dice l’avvocato.
Kaçan ricorda che i centri di detenzione della Turchia sono finanziati dall’UE. L’UNHCR, d’altra parte, ha anche accesso a 23 centri gestiti dalla Direzione generale della gestione della migrazione in Turchia.
"A volte non veniamo nemmeno pagati"
Gli afgani sono ben consapevoli delle possibili situazioni di pericolo, ma non hanno alternative. La posizione geografica della Turchia la rende un importante paese di transito per molte persone. L’attivista Zakira Hekmat ora difende i diritti degli immigrati, ma come altri ha dovuto fuggire dalla guerra in Afghanistan. Hekmat è venuta in Turchia per studiare medicina nel 2006. Dice che, anche se alcuni bambini afgani vogliono continuare gli studi, non possono permettersi le tasse scolastiche in Turchia. Necip, 22 anni, è uno di quei giovani che rimpiangono di aver lasciato la scuola e di non poter tornare indietro.
Necip racconta che avrebbe voluto continuare a studiare, ma i problemi finanziari lo hanno costretto a lasciare la scuola e poi la sua casa. Come Zabıhullah, Necip proviene dalla provincia di Faryab. Necip e la sua famiglia sono vittime di sfollamenti forzati che li hanno costretti a fuggire dal proprio villaggio e ora vive a Istanbul da tre anni e mezzo. Necip condivide un appartamento con altri 11 immigrati afgani e cerca lavoro a giornata come Nurullah e Zabıhullah.
"Lavoriamo in condizioni molto difficili. E a volte non veniamo nemmeno pagati. Ma la guerra in Afghanistan continua. Non posso tornare indietro. Non posso…".
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