Accordo di Bruxelles: cosa dicono i serbi del Kosovo
L’entusiasmo di Belgrado per il raggiungimento dell’Accordo di Bruxelles, la cui applicazione dovrebbe servire per ottenere la data di avvio dei negoziati di adesione della Serbia all’UE, forse già il prossimo 28 giugno, si scontra con i malumori e l’opposizione dei serbi del Kosovo.
All’ombra dei recenti tour diplomatici volti all’integrazione del Kosovo del nord col resto dell’autoproclamato stato kosovaro, c’è stato l’anniversario del 14° anno da quando sono entrate le truppe civili e militari internazionali in Kosovo. L’unicità del caso kosovaro, che è servita alla comunità internazionale per giustificare il sostegno alla secessione di una parte di territorio di uno stato sovrano, in loco è vista soprattutto attraverso due realtà antagoniste.
Alcune centinaia di migliaia di rifugiati albanesi alcuni giorni dopo l’accordo sul ritiro delle forze di sicurezza serbe dal Kosovo, avevano letteralmente marciato con le bandiere dell’Esercito di liberazione del Kosovo, ma anche con quelle dei loro più forti alleati: Gran Bretagna, Germania e USA. I serbi furono cacciati da tutte le città kosovare a sud del fiume Ibar, così come da altri villaggi, per non farvi più ritorno. Gli albanesi kosovari insieme con i rappresentanti civili internazionali avevano iniziato a contare le vittime, e contemporaneamente in uno slancio euforico ne creavano di nuove. Settantotto giorni di bombardamenti della NATO per alcuni sono stati una “fortuna smisurata”, per altri un difficile ricordo. Comunque sia, tutto ciò ha già trovato posto nel destino e nelle polemiche che accompagnano la lettura della storia balcanica. Nove anni dopo gi albanesi del Kosovo dichiaravano l’indipendenza, fino ad oggi riconosciuta da un centinaio di membri dell’ONU.
Una conferma all’esistenza dello stato kosovaro in effetti è stata fornita anche dall’attuale governo serbo di sinistra-destra il 19 aprile scorso, con la firma dell’accordo di Bruxelles ad oggi ancora poco chiaro all’opinione pubblica. I serbi del Kosovo, oggi numericamente inferiori al 10% della popolazione complessiva, percentuale con cui si pubblicizza lo spirito multietnico della nuova società democratica, sono stati smembrati in quattro enclavi al sud del fiume Ibar, e compattati nel nove percento di territorio dei quattro comuni al nord del Kosovo, geograficamente addossati alla Serbia.
Cosa cambia con l’Accordo
I serbi del nord del Kosovo per quattordici anni hanno resistito alle forti pressioni di essere integrati nel resto della società kosovara, atteggiamento fino a poco fa sostenuto anche da Belgrado. A molti con amarezza resterà il ricordo dell’ottimismo espresso mediaticamente dalle democrazie occidentali sul fatto che l’intervento internazionale in Kosovo avrebbe portato democrazia e sviluppo economico, e soprattutto stato di diritto e rispetto dei diritti umani e della dignità di ogni singola persona. Ecco perché non sbaglieranno quelli che dicono che molto è cambiato, così come quelli che ritengono che qui nulla è cambiato.
Al nord del Kosovo un drastico cambiamento è rappresentato dal sostegno e dalla firma della Belgrado ufficiale a favore della chiusura delle istituzioni serbe, all’organizzazione delle elezioni kosovare in autunno, e all’introduzione delle istituzioni kosovare nel nord del Kosovo.
Durante il decimo round di colloqui a Bruxelles sulla normalizzazione delle relazioni, come viene definito concettualmente ciò che in pratica è il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte della Serbia, sono stati raggiunti accordi sul catasto, sui documenti di identità, sui timbri doganali, sui diplomi universitari, sulla libertà di movimento, sulla rappresentanza regionale, sul sistema integrato doganale, sull’apertura di un ufficio di collegamento tra Serbia e Kosovo, sulla polizia speciale per la difesa del patrimonio culturale e storico e sull’apertura di un fondo per il nord del Kosovo tramite le entrate delle tasse doganali. Il quartetto – Catherine Ashton, Hashim Thaci, Ivica Dačić e Aleksandar Vučić – ha “incoronato” definitivamente tutti questi accordi con il cosiddetto Primo accordo (First Agreement), con cui il governo serbo si è impegnato a chiudere le sue istituzioni in Kosovo, in pratica: comuni, tribunali e polizia.
La dinamica dell’applicazione secondo un documento non ufficiale
Nel documento “Piano per l’implementazione” che sta girando su internet si può vedere tracciata la dinamica di implementazione dei punti dell’accordo, dalla metà di maggio alla fine dell’anno. Secondo questo documento, la realizzazione del piano è composta da sei elementi: “adeguamento alle cornici legali”, “associazioni/comunità”, polizia, magistratura, elezioni comunali e normative generali. Quindi la Serbia, secondo questo piano, dalla metà di giugno inizia con la “chiusura dei locali di tutte le strutture di sicurezza in Kosovo”, “a portare a termine l’integrazione del sistema giudiziario” per arrivare alla fine dell’anno a “chiudere tutti i locali relativi ai tribunali serbi in Kosovo”, “formare un nuovi organi e integrare il personale nel sistema kosovaro”. L’estinzione delle istituzioni serbe è stata confermata di recente anche dalla vice premier kosovara Edita Tahiri.
Come è stato comunicato dal governo kosovaro, la Tahiri dopo il recente incontro di tre giorni a Bruxelles relativo all’accoglimento dell’accordo tra Belgrado e Pristina, ha precisato che è stata raggiunta un’intesa secondo la quale entro il 1° settembre verranno sciolti i tribunali serbi, mentre il 30 settembre sarà il turno delle strutture di polizia. Tahiri ha confermato che il processo di smantellamento delle istituzioni serbe inizierà il mese prossimo quando, secondo le sue parole, è atteso che venga adottato il piano dettagliato di implementazione dell’accordo.
Scarso appeal di Belgrado sui serbi del Kosovo
Dalle corse diplomatiche dei vertici politici serbi verso Bruxelles e dall’entusiasmo di ottenere almeno “il via libera” all’inizio dei negoziati sull’adesione all’Unione europea, nel nord ma anche nel resto del Kosovo, i funzionari serbi di Belgrado, nelle varie visite fatte in loco per ora non hanno ottenuto molti successi nel diffondere il loro euro-entusiasmo. Abituati all’esperienza amara degli ultimi quattordici anni, i serbi del nord del Kosovo, oltre alla “nuova classe politica” che con sforzi si profila dal 2008, sono contrari anche a questo accordo. Con loro sono d’accordo anche i serbi delle enclavi, a prescindere dalla retorica dei loro rappresentanti al parlamento kosovaro.
Con riunioni mezze segrete nelle istituzioni serbe del Kosovo centrale e settentrionale, durante le visite dei funzionari di Belgrado, spesso filtrano informazioni e voci sulle controverse, confuse ma anche contrastanti dichiarazioni dei funzionari belgradesi quando cercano di spiegare il cosiddetto accordo di Bruxelles. Nemmeno il più potente uomo della Serbia odierna, nonché fino a poco tempo fa il beniamino dei serbi del Kosovo, Aleksandar Vučić, è riuscito ad avere più fortuna durante la sua visita nel nord del Kosovo lo scorso maggio. Nonostante questa visita sia stata camuffata dai media come molto riuscita. Vučić secondo l’opinione di molti cittadini del nord, durante l’incontro di più ore con i deputati dei quattro comuni del nord, non ha dato risposte precise e convincenti a domande molto concrete. Allo stesso tempo, un nutrito gruppo di cittadini lo ha atteso nella parte nord di Mitrovica con fischi e accuse di tradimento.
A dispetto del dominante appoggio mediatico ai personaggi e alle azioni dell’entourage dell’attuale governo, numerosi cittadini del nord ricordano le cosiddette dimissioni reality del primo funzionario del governo serbo in Kosovo, Aleksandar Vulin. Quattro giorni dopo la firma dell’accordo in aprile, quest’uomo fino a ieri dello JUL [ex partito di Mira Marković, ndt], di sinistra ed oggi nazionalista, nel bel mezzo di una delle trasmissioni di punta della RTS, aveva annunciato le sue irrevocabili dimissioni dalla funzione di capo dell’Ufficio per il Kosovo e Metohija, in segno di disaccordo con il raggiunto accordo di Bruxelles. Tuttavia, di recente ha ripreso il suo posto, questa volta come capo dell’ufficio per l’implementazione dell’accordo di Bruxelles, dopo che “il governo lo ha informato di non accettare le sue dimissioni”. Quindi adesso in Kosovo cerca di convincere i cittadini del nord della necessità di accettare l’accordo.
In attesa di ulteriori sviluppi
Dal momento che qui i cambiamenti verso l’integrazione ancora non si vedono, si continua sempre più a parlare dell’estrema opzione rimasta a Belgrado, e si tratterebbe di condizionare i serbi con l’eliminazione degli stipendi e la destituzione degli attuali sindaci delle municipalità. Con la politica di marginalizzazione e di boicottaggio mediatico, condotta per vari mesi, verso colui che fino a ieri era il più influente leader del serbi del nord, che ha anche le posizioni più dure, Marko Jakšič e i suoi alleati, e con l’impegno degli attivisti dell’SNS, così come dei loro seguaci, Belgrado insieme alla comunità internazionale spera di riuscire a “cambiare la coscienza” dei cittadini del nord entro l’autunno.
Durante le sue recenti attività diplomatiche il premier del Kosovo Hashim Thaci ha invece accusato la Serbia di rinviare l’applicazione dell’accoro. “Esistono tendenze a rinviare il processo, ma sono certo che si arriverà alla sua applicazione. Si tratta infatti di un processo importante, irreversibile e inarrestabile”, ha precisato Thaci durante la visita negli Stati Uniti.
In loco per ora l’unico accordo adottato è quello sull’integrazione dell’amministrazione dei valichi di frontiera. Per i restanti punti che finora non sono stati applicati, i rappresentanti del governo serbo incolpano gli albanesi di voler realizzare quello che non è scritto negli accordi, mentre i rappresentanti del governo kosovaro riconoscono che l’implementazione dell’accordo va molto a rilento.
All’ombra della trilaterale politica e diplomazia, abituate dall’esperienza del 2011, molte famiglie del Kosovo del nord sono indecise se pianificare le vacanze estive fuori dal Kosovo oppure se aspettare il difficile sviluppo degli eventi.
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