A Portorose il cinema sloveno
Si è chiusa in Istria l’ottava edizione del Festival del cinema sloveno. Giunge al termine di un anno durante il quale vi sono state produzioni di ottima qualità che hanno ottenuto numerosi riconoscimenti all’estero
Una sorpresa e una star. L’ottavo Festival del cinema sloveno, che si è tenuto a Portorož e Piran nei primi giorni di dicembre si è chiuso con la consacrazione di Jan Cvitković e la rivelazione di Jože Baša. Il primo con "Odgrobadogroba – Di tomba in tomba", già vincitore ai festival di San Sebastian, Torino e Cottbus, si è confermato il maggiore giovane talento dell’area balcanica con il bosniaco Danis Tanovic e il rumeno Cristi Puiu. Il secondo, 23 anni, studente di fisica, si è presentato timido con un film in video (girato in pellicola super 16 ma ancora su supporto beta), da lui scritto, diretto, prodotto, interpretato e musicato, "Voda v oceh – Eyes Full of Water".
Baša è ripartito con il premio miglior sceneggiatura assegnato dalla giuria ufficiale (Franco Juri, Sergio Grmek Germani e Zora Hochstätter), quello del pubblico e quello dei critici. Per il cinema sloveno il festival ha rappresentato il suggello di un’annata molto importante, con una produzione di ottimo livello, partecipazioni a molti festival e parecchi premi ricevuti.
Nel concorso lungometraggi erano presenti sei lavori, compresi "Delo osvobaja – Labour Equals Freedom" e "Uglaševanje – Tuning" di due dei migliori della nuova generazione, Damjan Kozole e Igor Šterk, l’ultima opera di uno dei grandi del cinema sloveno, Matjaž Klopčić, e il documentario musicale di Sašo Podgoršek "Razdružene države Amerike – Divided States of America".
I premi principali a Cvitković (miglior film) e Šterk (miglior regia), migliori attori protagonisti Peter Musevski (interprete principale di "Delo osvobaja" e "Uglaševanje") e Nataša Burger ("Uglaševanje") ex equo con Nataša Barbara Gračner (per "Ljubljana je liubljena" di Klopčić e "Delo osvobaja"). Migliori attori non protagonisti Sonia Savić e Drago Milinović che spiccano nell’ottimo cast di "Odgrobadogroba", dove ogni singolo personaggio è ben delineato e resta impresso negli occhi dello spettatore.
A questa generazione di attori, orientativamente fra i 30 e 45 anni, va parte consistente del merito per il felice momento del cinema sloveno (anche se i vicini italiani non se ne sono accorti e nessuno di questi film ha avuto una distribuzione da noi, e nemmeno tanta attenzione dai festival, a onor del vero). Da menzionare almeno Primož Petkovšek (presenza quasi fissa in tutte le pellicole), Gregor Baković (protagonista del film di Cvitković) e Polona Juh. In particolare Musevski, attore che può aspirare a produzioni internazionali, è una sorta di eroe kafkiano, tormentato e umano, che attraversa le tempeste della vita e del caso stando sospeso in una non completa consapevolezza, vicino alla depressione senza cascarci, ironico senza far ridere.
"Voda v oceh" è un’opera molto fresca e sincera, cui il desiderio di raccontare e la forza di certi momenti fanno perdonare le piccole ingenuità. Un bianco e nero molto efficace, che lo sospende nel tempo e nello spazio (può stare negli anni ’30 o nei ’50 o nei ’70, in Francia o in Russia). A tratti ricorda – nella leggerezza del tocco, nel coniugare ironia e intimismo, nello stare fra nostalgia e speranza, nel rendere le cose senza bisogno di parole, nell’evidenziare gli elementi senza sottolineature inutili – i primi lavori di Goran Paskaljevic, e non è poco. La storia è allo stesso tempo forte, compatta ed esile e poco più che un pretesto. Importa quello che sta dentro le immagini e forse più ancora ciò che sta fuori. Racchiude tutto il finale, con una lunga inquadratura fissa di un bivio di una strada: l’auto su cui viaggia il protagonista imbocca una direzione, poi (fuori campo) un ripensamento, torna indietro, imbocca l’altra, torna indietro ancora e ancora. Che accadrà? Non importa. Marko – giovane genio della matematica cresciuto in campagna con solo il padre a credere in lui fino alla perdita del genitore, le sofferenze, la decisione di andare in città all’università, la delusione accademica, una storia d’amore (con la ragazza dell’amico, ma Marko non lo sapeva) che si chiude quasi subito con un pugno – ha più chiaro quello che vuole e come affrontare un mondo indifferente.
Delusione da "Ljubljana je liubljena" di Matjaž Klopčić, che nel 1965 aveva girato un cortometraggio (con Rade Šerbedžija protagonista) con identico titolo. Una pellicola parzialmente autobiografica, ambientata nella Lubiana della Seconda guerra mondiale, tra l’occupazione italiana, quella tedesca, la liberazione e il comunismo. Le immagini sono delle belle cartoline, il tono nostalgico e fastidiosamente retorico. I fascisti sono macchiette, i lubianesi tutti troppo ricchi per essere credibili e persino i senza dimora che dormono sotto il ponte sono vestiti bene.
Un documentario musicale senza interviste ai musicisti è anomalo e originale, lo ha fatto Sašo Podgoršek seguendo il tour americano degli sloveni Laibach nel post elezioni presidenziali del 2004. La band, il cui primo tour oltre Atlantico risale al 1989, ha un forte seguito negli Usa: i fan trovano nei loro testi ispirazione e speranza e la chiave per capire gli errori de loro governanti. Un film per capire il malessere dell’America, per chi non condivide la politica di Bush jr oltre un’ora di estasi.
Durante l’8° Festival del cinema sloveno a Portoroz è stato anche presentato il volume bilingue – sloveno e inglese, "Filmografia slovenskih celovečernih filmov 1994 – 2004", la filmografia dei lungometraggi sloveni dal 1994 al 2003 a cura dello Slovenski Film. Il libro contiene le schede dei 41 film prodotti nell’arco dei dieci anni in oggetto, complete di crediti tecnici e artistici e trama. Apre la lista "Halgato" di Andrej Mlakar, l’unico realizzato nel ’94: una storia, da un romanzo di Feri Lainšček, ambientata in un insediamento di rom. L’ultimo della lista è "Pod njenim oknom – Beneath her Window" di Metod Pevec, uno dei maggiori successi di pubblico degli ultimi anni. E ancora le schede biografiche di tutti i registi. Molto utile il corpo di saggi raccolto nella seconda parte del volume. Zdenko Vrdlovec in "Slovenian Outsider Gone with the Express Train" analizza la produzione attraverso i temi principali e le linee comuni ai diversi autori. I rom, la guerra, il dopoguerra, i bambini, la morte, i profughi, i diversi, l’amore e la famiglia, l’infelicità. Vrdlovec tratteggia le difficoltà dei primi anni dopo l’indipendenza, che culminarono nel 1996 quando il solo "Carmen" di Pevec fu distribuito nelle sale, e la successiva, e finora costante, risalita. In "An Outline of Film Production in Slovenia from 1994 to 2003", Lilijana Nedić si sofferma invece sulle opere sostenute dallo Slovenian Film Fund creato nel 1994. Completa le 370 pagine della pubblicazione un’ampia bibliografia.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua