Serbia, il ritorno dei “traditori”
I tabloid e alcuni funzionari di governo accusano UE e USA di stare dietro le proteste di piazza dei giorni scorsi volte a “creare il caos” nel paese. Cosa succede in Serbia?
Il premier uscente e futuro capo del nuovo governo serbo, Aleksandar Vučić, ha appoggiato quei media e giornalisti che hanno accusato Bruxelles e Washington di essere parte di un tentativo di rivolta e di "suscitare il caos” in Serbia. Ne è seguito un immediato incontro con l’ambasciatore dell’Unione europea e quello degli USA, Michael Davenport e Kyle Scott. Secondo fonti ben informate, l’incontro è stato abbastanza teso, ma Vučić è riuscito a riconfermarsi come “il fattore di stabilità” nella regione e il leader che sta portando velocemente la Serbia verso l’UE.
Non è la prima volta che i tabloid serbi, sotto la forte influenza del governo, pubblicano informazioni provenienti da “fonti sicure” sul pericolo imminente di un colpo di stato, collegandolo ai “servizi stranieri”, ma finora Bruxelles e Washington non avevano mai reagito. Questa volta, invece, l’ambasciatore Scott ha detto che le affermazioni del tabloid Informer, secondo il quale “UE e USA stanno organizzando e pagando degli estremisti per creare il caos in Serbia” stanno minando i positivi rapporti con gli Stati Uniti. Critiche dirette sono poi arrivate anche da Bruxelles.
Gli ambasciatori hanno chiesto un incontro urgente con Vučić e, dopo suddette reazioni ufficiali, l’hanno ottenuto immediatamente. Ciò dimostra che Bruxelles e Washington vogliono far capire a Vučić di non credere che i tabloid speculino per conto loro sul presunto complotto contro la Serbia. Dopo la riunione il premier è sembrato abbastanza conciliante. Ha detto che l’euro-integrazione resta la priorità della Serbia, ma non è lui a dirigere i tabloid e non può impedir loro di scrivere quello che vogliono.
Il governo, tuttavia, non ha nemmeno cercato di organizzare una campagna pubblica per smentire le accuse dei media. Vučić, come già fatto in situazioni simili, ha lasciato intendere di apprezzare il lavoro dei tabloid. Contemporaneamente, ha appoggiato senza riserve e senza la minima critica i suoi più stretti collaboratori che sui social network hanno parlato del complotto internazionale contro la Serbia.
Motivazioni
Dopo la riunione non proprio piacevole con gli ambasciatori dell’UE e degli USA, sempre più spesso, in particolare dai partiti di opposizione filoeuropei, sorge la domanda se il premier si stia preparando ad attenuare il sostegno all’euro-integrazione per orientarsi di più verso la Russia. Cosa non impossibile, ma poco credibile, perché la posizione di Vučić dipende profondamente dall’Occidente e senza il quale l’economia serba sarebbe in ginocchio.
Le motivazioni, a quanto pare, sono un po’ diverse. Il detonatore delle recenti frizioni con l’Occidente è piuttosto l’aumento delle tensioni sulla scena politica serba. Vučić per la prima volta si trova ad affrontare una qualche resistenza degli oppositori politici, e sembra che sia seriamente preoccupato per l’insistente crescita delle proteste a Belgrado e Novi Sad, provocate dalle avventate, illegali e arroganti decisioni del governo con le quali sono stati violati i diritti e le libertà dei cittadini.
A Belgrado la settimana scorsa hanno protestato 20.000 persone per l’abbattimento illegale di alcune costruzioni nel centro della città (ad una precedente protesta, per gli stessi motivi c’erano state circa 15.000 persone), e altre migliaia sono scese in piazza anche a Novi Sad contro i licenziamenti alla Radio Televisione della Vojvodina (RTV).
Vučić non desidera alcuna opposizione e crede che gli organizzatori delle proteste abbiano il sostegno dell’Occidente. Considera i media che criticano il governo come una spina nel fianco, mentre i tabloid vicini al governo collegano i media critici all’Occidente e li accusano di lavorare contro gli interessi della Serbia.
Siccome il futuro premier non mette in dubbio pubblicamente la politica della Serbia rispetto al Kosovo e la Bosnia Erzegovina, si è portati a pensare che le tensioni con Washington e Bruxelles non abbiano nulla a che fare con questa questione, ma che siano invece una sorta di messaggio del governo all’Occidente: che nessuno si immischi nelle questioni interne della Serbia. Quindi Vučić non vuole cambiare la sua politica estera, ma chiede che nessuno metta in discussione il suo rapporto con l’opposizione, i media, il settore non governativo e gli oppositori di ogni tipo.
Propaganda
Vučić e il suo team di propaganda stanno cercando di trarre da tutto ciò il massimo vantaggio politico. Alla maggior parte dell’opinione pubblica in Serbia, infatti, è rimasta l’impressione che il premier si stia opponendo eroicamente alle pressioni dei potenti occidentali, e che eviti abilmente l’innesco di una grave crisi nei rapporti con l’Occidente. Per adesso riesce ad apparire come un serio giocatore in grado di garantire alla Serbia una posizione autonoma e indipendente e di destreggiarsi con successo fra le grandi potenze, senza accettare minacce e ricatti.
Tuttavia, questa immagine è possibile mantenerla per un tempo determinato, e soltanto davanti al pubblico locale. In realtà, il governo serbo non ha la capacità né economica né politica di ottenere concessioni da una qualsiasi grande potenza. È possibile mostrare i muscoli solo nella misura in cui è accettabile per Bruxelles e Washington, prevalentemente interessati ad instaurare e mantenere la stabilità in Kosovo e in Bosnia Erzegovina, dove alla Republika Srpska (entità della BiH) si chiede in sostanza di accettare l’esistenza del potere centrale.
Il fatto di condurre una politica verso il Kosovo e la BiH in accordo con le aspettative dell’Occidente, fa rimanere Vučić in sella. Ma col passare del tempo diventano sempre più importanti le questioni inerenti lo stato di diritto, i livelli di democrazia e il rispetto dei diritti umani e civili in Serbia, il che fa aumentare il nervosismo fra le fila del governo. Anche sul piano interno l’aumento dell’insoddisfazione per il governo Vučić è connesso direttamente a queste questioni, e non ha nulla a che vedere con il Kosovo né con la Bosnia Erzegovina.
Il premier sa che le persone che manifestano per le strade di Belgrado e di Novi Sad non rappresentano la maggioranza e non hanno la forza di farlo dimettere. Ma è anche consapevole che, nel caso a Bruxelles o a Washington si decidesse che il suo tempo sta per scadere, i manifestanti potrebbero ricevere un sostegno estero più forte. Perciò Vučić sta cercando di recidere il fenomeno “alla radice”, cioè ridurre al minimo la possibilità che si verifichi tale sostegno, lasciando intendere che, se non dovesse riuscirci, potrebbe volgere lo sguardo a Mosca.
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