Romania: il ritorno dello stato-partito
Dopo le legislative del dicembre 2016, la democrazia romena è in piena regressione. La Romania somiglierà sempre più all’Ungheria di Orbán e alla Turchia di Erdoğan?
(Pubblicato originariamente da Hotnews.ro , selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC Transeuropa)
Da un anno e dal ritorno del PSD al potere, la democrazia romena è in piena regressione. Un fenomeno che ha risvegliato dal letargo una parte della società civile, ma che ha anche provocato lo stupore delle cancellerie europee e l’inquietudine del mondo degli affari. La Romania è, al giorno d’oggi, una strana combinazione tra la Polonia di Kaczyński, l’Ungheria di Orbán e la Turchia di Erdoğan.
Il direttore d’orchestra di quanto sta accadendo è Liviu Dragnea, presidente del Partito Social-Democratico (PSD) e della Camera dei Deputati. Le sue tendenze autoritarie sono paragonabili a quelle degli uomini alla guida dell’Ungheria e della Turchia. L’unica differenza degna di nota è che Liviu Dragnea non è direttamente ai comandi, ma controlla lo stato attraverso una rete di collaboratori tanto leali quanto incompetenti.
La maggior parte dei posti chiave è stata accaparrata da persone originarie del distretto di Teleorman, la regione di cui Dragnea è stato presidente del consiglio distrettuale per qualche anno. La sua ossessione per il controllo è tanto grande che il capo del PSD ha fatto cadere un governo guidato dal suo stesso partito. Più recentemente, ha anche costretto il ministro della Difesa Adrian Ţuţuianu a dare le dimissioni, sospettando che questi complottasse per prendere il controllo del PSD.
Alla stessa maniera di Kaczyński in Polonia, Dragnea fa di tutto per mettere la giustizia romena sotto controllo. Il potere esecutivo vuole, tra le altre cose, trasferire l’Indagine giudiziaria, oggi sotto il controllo del Consiglio superiore della magistratura, nella giurisdizione del ministro della Giustizia, e escludere il Presidente Iohannis dalla procedura di nomina dei capo-procuratori (Agenzia anti-corruzione, Procura della Repubblica, Direzione investigativa sul crimine organizzato e il terrorismo). Più di una legge tendente verso questa direzione entrerà presto nell’ordine del giorno del Parlamento.
Il governo intende inoltre indebolire la legislazione penale modificando il Codice Penale, col pretesto di renderla concordante con recenti sentenze della Corte Costituzionale. Si tratta in realtà di salvare i politici perseguiti per corruzione. Questo progetto, che ha fatto scendere in strada centinaia di migliaia di persone l’inverno scorso, non è stato abbandonato: la strategia è soltanto divenuta ora più discreta e insidiosa. La Romania si ritroverà dunque molto in fretta nella situazione di Varsavia, oggi minacciata di vedersi sospeso il diritto di voto presso il Consiglio europeo.
Regressione democratica
Questi nuovi progetti di legge corrispondono perfettamente al concetto di "regressione democratica", come altri progetti che si possono osservare in altri paesi della regione. Così, come ha fatto Erdoğan in Turchia dopo il colpo di stato mancato, Liviu Dragnea ha purgato l’esercito, la polizia e i servizi segreti, spingendo alcuni funzionari a ritirarsi in cambio di pensioni sostanziose. Come Erdoğan, Dragnea parla della giustizia come di uno "stato parallelo" che minaccia i suoi affari e la sua libertà, e fa regolarmente la predica agli ambasciatori stranieri accusandoli di ingerenza negli affari di stato romeni.
Da Viktor Orbán, Dragnea ha preso in prestito la lotta alle banche e alle multinazionali, all’Open Society Foundation di George Soros, e altre assurdità anti-europee. Non ha ancora importato l’idea di costruire un muro anti-migranti, ma non è mai troppo tardi dato che sembra aprirsi una nuova rotta nel Mar Nero. Questa aggressività crescente contro ciò che l’"Occidente" incarna è poi amplificata dalle televisioni nazionali.
Qualcuno potrebbe gioire del fatto che l’esasperazione della religione non sia uno dei pilastri principali della sua politica, come avviene in Turchia o in Polonia. Ma si sbaglierebbe: questo inverno avrà luogo un referendum indetto dal movimento ultra-conservatore della Coalizione per la Famiglia per modificare la Costituzione e circoscrivere il diritto di matrimonio "ad un uomo e ad una donna". La prossima tappa sarà certamente, come in Polonia, un attacco in piena regola contro il diritto all’aborto.
Questa regressione dei valori democratici è visibile su ogni piano. Nel settore economico, i segni di una crisi imminente si moltiplicano: l’aumento dei salari del settore pubblico ha già portato al fallimento di certe amministrazioni pubbliche.
Nel settore mediatico, i magnati della stampa, i politici e i giornalisti che hanno problemi con la giustizia si sono uniti per lanciare un’offensiva senza precedenti contro tutti coloro che osano fare luce sulla legalità dei loro affari. Le poche voci indipendenti vengono pubblicamente attaccate dal capo del PSD e i media sui quali pubblicano ricevono visite degli ispettori anti-frode. Mancano solo degli arresti di giornalisti, come in Turchia.
Liviu Dragnea ha ad esempio recentemente accusato i giornalisti di Rise Project , i quali stavano indagando sugli affari del capo del PSD in Brasile, di aver cooperato con i procuratori della Direzione Nazionale Anti-Corruzione (DNA), promettendo di assicurarli alla giustizia. Queste minacce contro la stampa indipendente vengono dal capo del partito al potere e rappresentano pressioni inammissibili all’interno di uno stato membro dell’UE.
Sul piano giudiziario, Liviu Dragnea trascina in avanti un imbarazzante processo per posti di lavoro che si presume siano fittizi – processo che gli fa rischiare una condanna alla detenzione dal momento che è già stato condannato con sospensione condizionale della pena per una questione di frode elettorale. Ma, siccome uno dei tre giudici in carica ha deciso di andare in pensione appena prima che il tribunale emettesse il proprio giudizio, il processo riprenderà da zero. Questa opportuna boccata d’ossigeno gli garantirà un po’ di tempo per condurre gli ultimi assalti alla giustizia.
Uno stato prigioniero della corruzione?
Il PSD colonizza dunque tutte le istituzioni e la Romania rischia di diventare uno "stato prigioniero" della corruzione. L’influenza del potere esecutivo si fa sentire sempre di più sulla Corte costituzionale, sul Consiglio superiore della magistratura e sull’Alta corte di cassazione e giustizia. Ed è solo una questione di tempo prima che i procuratori in capo della DNA, della Procura Generale e della DIICOT (Direzione investigativa sul crimine organizzato e il terrorismo, ndr) vengano rimpiazzati. In seguito Liviu Dragnea avrà solo altri due ostacoli da sormontare prima di assicurarsi il controllo totale: trasferire la gestione dei servizi segreti dalla giurisdizione del Presidente Iohannis a quella del Parlamento e spogliare il Presidente degli ultimi poteri strategici che gli rimangono. A quel punto Klaus Iohannis non potrà fare altro che assistere da spettatore al ritorno dello stato-partito.
Nel suo discorso del 13 settembre scorso sullo stato dell’Unione, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha teso la mano ai paesi dell’Est, soffermandosi sulla Romania. Sa che il paese si trova all’incrocio di due strade e che le prospettive non sono buone. Il livello delle proteste che si stanno svolgendo in questo periodo non ha nulla a che vedere con quella delle manifestazioni dell’inverno scorso, le élite sono diventate silenziose e l’opposizione insignificante. La Romania è il secondo paese al mondo in termini di emigrazione dopo la Siria. Ma noi non siamo in guerra. E ci chiediamo: tra noi e loro, chi se ne andrà per primo?
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