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Romania: i figli della migrazione

Che impatto hanno i fenomeni migratori sui diritti dei bambini? In questo reportage Cristina Bezzi, antropologa, visita la Moldavia romena, una delle aree più povere della Romania e più colpita dall’emigrazione

15/12/2011, Cristina Bezzi -

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Secondo le stime UNICEF sono 350.000 in Romania i bambini con uno o entrambi i genitori all’estero per lavoro. Mentre madri e padri sono in Italia, Spagna e Francia per contribuire ad un bilancio famigliare altrimenti impossibile, loro vengono accuditi da zii, nonni o altri parenti. A volte vivono praticamente soli, magari affidati a qualche vicino di casa.

Anche a seguito di recenti e drammatici fatti di cronaca al destino di questi “orfani bianchi”, così vengono chiamati, si inizia a prestare sempre più attenzione. Ci siamo recati nella Moldavia romena – nordest della Romania, una regione tra le più povere del Paese e quindi più colpite dal fenomeno migratorio – accompagnati dai volontari dell’Albero della Vita, Onlus impegnata nella tutela e salvaguardia dei diritti dei bambini.

L’economia della zona è basata prevalentemente su un’agricoltura di sussistenza che, già fragile, è stata messa in ginocchio dalle alluvioni che nel 2008 hanno colpito l’intera area. Molti hanno dovuto considerare la migrazione, per poter far fronte ai bisogni familiari. E sono partiti per periodi più o meno lunghi, lasciando i figlia a casa.

Liteni: vivere a ritmo del passato, abitare nelle case del futuro

Parto dall’affollata autostazione di Iaşi, principale città della Moldova romena, alle 6.30 del mattino con il minibus che ogni mattina accompagna gli insegnanti della scuola media ed elementare del paese al lavoro. Trascorso un primo pezzo di superstrada svoltiamo su una strada bianca che ci porta dalla veloce e moderna città a Liteni, paesino a circa 50 chilometri da Iaşi dove il 30% dei 2.200 abitanti lavora all’estero. “In realtà sono molti di più”, spiega il sindaco, Petraş Constantin, perché molti continuano a rimanere registrati all’anagrafe pur non vivendo più nel paese”.

Qui il ritmo è ancora scandito dalle stagioni e al posto delle macchine che hanno oramai invaso la città, la gente si sposta utilizzando carretti di legno trainati da cavalli. Tutt’intorno distese di campi in passato coltivati da un’azienda agricola di stato, restituiti poi negli anni ’90 ai vecchi proprietari. L’attività agricola è la principale occupazione delle persone che vivono nel paesino di Liteni; in questo periodo uomini, donne, vecchi e bambini sono impegnati nella raccolta del mais e il paese, nelle prime ore del pomeriggio, è attraversato da carri carichi di pannocchie seguiti da intere famiglie che tornano verso casa.

E’ proprio l’immagine di un cavallo che rimane bloccato dal peso esagerato del carro davanti al cancello di un’enorme e moderna villa in costruzione che mette in risalto la doppia identità del luogo.

La vita del villaggio procede con il suo antico ritmo di campi arati dal cavallo, giornate che iniziano con il sorgere del sole e terminano con il suo tramonto, ma accanto alla strada bianca e polverosa si innalzano case modernissime quasi tutte non intonacate, che stanno sostituendo le piccole abitazioni tradizionali dai caldi colori pastello.

Dietro ad ogni casa nuova o in costruzione c’è una storia di migrazione. Lo stile delle costruzioni spesso racconta anche la storia di quella migrazione, come osserva Gheorghe Moga, direttore della scuola del paese: “Se osservi le caratteristiche delle case puoi capire anche dove le persone sono emigrate”. Da Liteni le persone si sono dirette principalmente in Italia, Spagna, Francia e in misura minore in Germania.

La maestra

Entriamo nella prima elementare con la maestra Ileana, i bambini le si fanno attorno e la stringono forte in abbracci. “Manifestano così la loro carenza affettiva”, mi spiega. Ileana chiede quanti di loro hanno un genitore all’estero, più della metà dei circa venticinque bambini alza la mano, la maggior parte ha la mamma lontana; nel villaggio questa è la normalità.

Ileana stessa è tornata in paese solo per alcuni mesi, in realtà lavora in Italia già da due anni e a breve ritornerà lì per accudire una persona anziana. “Nel 2009 c’è stato un’ ulteriore riduzione degli stipendi per coloro che lavorano nel pubblico, tutti gli stipendi sono stati ridotti del 25%, se prima prendevo circa 300 euro dopo il 2009 lo stipendio è arrivato a 250. Ho una figlia che sta studiando a Iaşi al liceo, solo per il vitto e l’alloggio devo pagare 100 euro al mese più tutte le altre spese. Mio marito lavora la terra, non ha un salario fisso e trovare lavoro qui è molto difficile. Semplicemente se io non fossi partita non ce l’avremmo fatta”.

Cerco un posto dove potermi risciacquare le mani. Maria, una ragazza di 14 anni, mi sorride e si offre di aiutarmi. Mi guida verso il pozzo azzurro proprio di fronte alla scuola; il villaggio infatti non è dotato di acqua corrente. Maria stringe forte la catenella del secchio alla corda e con movimenti decisi inizia a calare. Maria è molto curata e sembra essere serena nonostante l’assenza del padre e la distanza della madre partita per lavorare in Italia quando lei aveva otto anni. Vive con gli zii e i cugini, sembra capire i motivi per cui la madre è lontana, ma parlando con lei hai l’impressione di rivolgerti ad un’ adulta responsabile più che ad un’adolescente.

Quando la crisi fa migrare le donne

Spesso sono le mamme a partire perché in questo periodo è più facile per una donna trovare lavoro. Dopo l’entrata della Romania nell’Unione Europea (2007), il flusso migratorio femminile è andato aumentando, mentre in seguito alla crisi economica sono stati molti gli uomini a rimanere senza lavoro e a tornare in Romania. A Liteni ci sono diverse donne che lavorano principalmente in Spagna ma anche nel sud Italia. Maria parte per circa 3-4 mesi all’anno, non vuole prolungare di più la sua assenza perché ha due bambini di 7 e 9 anni. Suo marito aveva lavorato per un periodo in Germania ma negli ultimi anni non è più riuscito a trovare lavoro.

Come lui anche Vasile, un 42 enne di Liteni, e rientrato dopo aver perso il lavoro all’estero. Ha lavorato come manovale a Torino per ben 7 anni, ma ultimamente faceva fatica a trovare lavoro ed inoltre spesso i datori di lavoro non lo pagavano: “Succede spesso, lavori per mesi e poi il datore non ti paga e quindi alla fine ho cercato un posto per mia moglie come badante. Adesso lei è lì”.

Vasile e la moglie hanno quattro figlie: sei, otto, dieci e quattordici anni. Attualmente è lui a prendersene cura; ha dato la sua terra in affitto per poter seguire le figlie e le faccende di casa. A breve però desidera tornare a Torino dove spera di trovare nuovamente lavoro e lascerà le figlie in custodia alla sorella.

La sua idea è quella un giorno di rientrare definitivamente in Romania, ma non riesce ad immaginare quando: “Fino a quando le figlie non saranno grandi saremo costretti a lavorare all’estero. Qui la gente vive di ciò che produce la terra, non ci sono posti di lavoro, sarebbe necessario andare in città ma anche lì è difficile e un salario medio, di circa 250 euro, non è comunque sufficiente a far sopravvivere una famiglia”. Vasile alza lo sguardo e mi mostra con orgoglio la casa che stanno costruendo attraverso le rimesse, anche se non è finita a breve potrà trasferirsi lì a vivere con le figlie. In lontananza la sua casa non intonacata si confonde con le pareti grige di numerose altre case. Ma sarà possibile per gli abitanti di Liteni tornare un giorno a vivere stabilmente nel loro paese?

Ancora bambini con la “chiave al collo”?

Come spiega lo psicologo Catalin Luca, direttore dell’associazione Alternativa sociale, la prima in Romania ad occuparsi dei bambini soli a casa, il fenomeno non è nuovo in Romania: “Durante il comunismo ci sono state diverse generazioni di bambini che sono cresciuti da soli, poiché ambedue i genitori lavoravano tutto il giorno. Questi bambini sono conosciuti come la generazione dei ”bambini con la chiave al collo”, perché passavano le giornate davanti al block con la chiave di casa appesa al collo, in attesa che i genitori rientrassero. Questa stessa generazione è quella che oggi emigra e lascia i figli a casa pensando che, così come è stato per loro in passato, il compito del genitore sia quello di sostenere i figli da un punto di vista materiale, proprio perché anche loro sono stati abituati alla distanza emotiva e a volte anche fisica dai genitori”.

L’Associazione Alternative Sociale di Iaşi ha iniziato ad occuparsi di questo fenomeno impegnandosi attraverso campagne di sensibilizzazione e di informazione per i genitori, attività di prevenzione e counseling per i minori e proposte di legge per la tutela dei minori rimasti soli a casa.

Catalin Luca ha recentemente concluso la sua ricerca di dottorato in cui ha indagato le conseguenze causate dalla lontananza dei genitori, utilizzando un approccio che tiene in considerazione il punto di vista del bambino: “Dal loro punto di vista non sono le cose materiali di cui hanno bisogno ma la presenza dei genitori, la possibilità di discutere con loro. Spesso i bambini non vengono coinvolti nella decisione dei genitori di partire; la loro impressione è che non possono chiedere aiuto a nessuno per risolvere i loro problemi”.

Drammatiche conseguenze

I bambini vengono accuditi dal genitore rimasto o da una zia, altre volte dai nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. La mancanza di supervisione da parte dei genitori spesso pregiudica lo stato di salute del minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l’apprendimento scolastico e può determinare soprattutto tra gli adolescenti la frequentazione di entourage negativi. Dal punto di vista psicologico le conseguenze possono andare da una disposizione alla depressione fino ad arrivare nei casi più estremi al suicidio.

Lo scorso settembre ad Arad, Romania occidentale, è morta Monica, una bambina di dieci anni che a causa della nostalgia della madre, che lavora in Spagna, ha smesso di alimentarsi fino a che i suoi organi non hanno più retto.

Il caso di Monica, ha creato un grande scandalo. La madre è stata demonizzata assieme a tutte le madri che partono “senza preoccuparsi abbastanza dei loro figli”. Davanti a questo caso anche i politici hanno mostrato un cenno d’interesse tanto che il parlamentare Petru Callian ha proposto un disegno di legge che prevede una multa per i genitori che lasciano il Paese senza aver affidato i figli ad un legale rappresentante.

Come spiega Alex Gulei, assistente sociale di Alternativa Sociale, in Romania esiste già una legge che obbliga i genitori a nominare un tutore legale prima di partire per l’estero, ma poiché non è prevista nessuna sanzione, quasi nessuno si preoccupa di farlo.

E’ il caso di Nicu un ragazzino di nove anni, che partecipa al programma del centro diurno Don Bosco della Caritas di Iaşi. La mamma è partita per l’Italia quattro anni fa e quindi vive con la nonna settantenne e la sorellina di sei anni. Da anni Nicu dovrebbe sostenere un’operazione chirurgica molto delicata, ma non può farlo perché per questo sarebbe necessaria la firma della madre che è la legale rappresentante del figlio, ma che è da anni che non si mette in contatto con loro. La nonna sta pensando di far togliere per abbandono la rappresentanza legale alla madre per ottenerla lei, cosicché il piccolo Nicu possa essere operato, la sua paura è però che non le restino molti anni di vita e che se lei morisse il nipotino sarebbe affidato ai servizi sociali.

Le conseguenze psicologiche ed emotive della privazione dell’affetto materno e paterno sono un prezzo altissimo pagato dai minori romeni le cui famiglie sono coinvolte nel processo migratorio. Purtroppo spesso anche per chi segue i genitori nel Paese di accoglienza il processo di adattamento è lungo e non sempre facile. In molti casi tra l’altro accade che il minore rientri in patria con o senza la famiglia subendo un ulteriore fase di adattamento.

La tutela dei diritti dei minori coinvolti in processi di migrazione è complessa e non può che passare attraverso un approccio che coniughi il livello locale a quello nazionale ed europeo. Un primo passo in questa direzione è l’analisi delle loro condizioni di vita e l’individuazione di buone prassi per ridurre la loro vulnerabilità.

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