Romania: gli ebrei e il comunismo
Per molti romeni, sarebbero stati gli ebrei a portare il comunismo. In questo approfondimento un tentativo di decostruzione dal punto di vista storiografico di antichi cliché, ancora vivi nell’immaginario collettivo e la tragedia delle minoranze, sempre manipolate dal potere
(Pubblicato originariamente da “Le Nouvelles de Roumanie” nel novembre 2013)
Secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano "Romania Libera", il 20% dei romeni ritiene che gli ebrei abbiano sostenuto l’instaurazione del comunismo in Romania.
Una percentuale così significativa permette ancora oggi di interrogarsi su una duplice questione. Da un lato, si pone il problema di spiegare la presenza importante degli ebrei nelle strutture dirigenti del Partito comunista romeno immediatamente dopo la sua presa del potere nel 1945. Dall’altro, emerge la necessità di capire se tale spiegazione sia capace di dar conto della persistenza del sentimento antisemita in Romania oggi.
Il trattato di Adrianapoli firmato da Russia e Turchia nel 1829 – che mise fine ad un conflitto di due anni tra le due potenze – estese agli stranieri il diritto di commerciare sulla riva occidentale del Mar Nero e, per esteso, nelle regioni romene. Gli ebrei, arrivati numerosi dalla Polonia e dalla Russia, vi si insediarono, al punto da divenire rapidamente popolazione maggioritaria in molte città, tra le quali Falticeni o Radauti, nel nord-est dell’attuale Romania. Di fronte ad un tale afflusso, i romeni reagirono con il rifiuto di questo popolo sconosciuto, portatore di abitudini altre e di una lingua diversa. La diffidenza divenne pressoché totale nella prima parte del Ventesimo secolo: furono soprattutto i giovani a temere l’ascesa degli ebrei in numerosi settori, soprattutto nelle università e negli ambienti medici.
A partire da allora, secondo Liviu Rotman, esperto di storia degli ebrei in Romania, una serie di cliché si sono sviluppati nella testa di un largo segmento della popolazione romena, come, del resto, in altri popoli europei. L’ebreo divenne, virtualmente e universalmente, il responsabile della gravità dei problemi sociali e politici del momento. Così, le difficoltà di molte zone rurali poterono trovare facilmente il colpevole – l’ebreo – qualificato senza giri di parole come la "sanguisuga del villaggio", secondo la formula lanciata dal poeta Vasile Alecsandri in uno scritto dallo stesso titolo che venne immediatamente ripreso nel discorso politico.
Tra gli altri, ecco alcuni esempi delle forme che il dibattito pubblico sugli ebrei prese ad assumere: ci si chiedeva se l’ebreo-oste fosse il responsabile dell’alcolismo; o se la classe media romena fosse vittima della voracità speculativa degli ebrei.
Nocciolo duro
Gli ebrei non sono mai stati maggioritari nel movimento comunista romeno, anche se vi hanno occupato un posto importante fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel 1939, il Partito comunista romeno (Pcr) contava 330 ebrei, rappresentanti il 22,60% dei 1.459 aderenti tra cui: 374 romeni, 444 ungheresi, 140 bulgari, 100 russi e 70 ucraini. Nel 1944, il 30% dei 1.000 membri del Pcr erano ebrei, ma a partire dal 1946 essi non hanno mai rappresentato più del 5,3% dei membri. Nel 1948, al momento della sua creazione, la Securitate contava tra i suoi effettivi un 83,9% di membri romeni, un 8,5% di ebrei, un 6,2% di ungheresi.
Secondo lo storico Stelian Tanase, i comunisti romeni, ai margini della società, non erano di fatto integrati nella comunità nazionale e politica. Inoltre, un proletariato ridotto nei numeri, male organizzato, più sensibile ai problemi nazionali che alle grandi idee della rivoluzione mondiale, non consentì al Pcr di costruire agevolmente la propria base sociale.
Due gruppi risultarono attratti dal comunismo in Romania per ragioni che in qualche modo potevano dirsi nazionali: il primo, quello del "popolo rigettato", senza una base territoriale e senza una chiara identità; il secondo, quello degli irredentisti originari dai paesi limitrofi, scontenti di essere stati integrati alla Romania e del trattamento loro riservato.
Lo storico Lucian Boia sottolinea che gli ebrei erano sovrarappresentati nella sinistra romena degli anni Trenta rispetto alla loro proporzione nel totale della popolazione. Essi guardavano naturalmente alla sinistra e al Partito comunista in quanto l’ideologia comunista sembrava una possibile soluzione del loro problema di integrazione nella società romena.
Secondo un’argomentazione ampiamente sviluppata dallo storico nella sua opera "La trappola della storia", quando i comunisti arrivarono al potere nel 1944, gli ebrei erano là, in prima fila. Fu in quel momento che poté esprimersi il volto più autentico del Partito comunista delle origini, un partito originale, molto lontano dal partito che, a partire dal 23 agosto del 1944, vide i propri militanti moltiplicarsi. Fu in quella prima ora che i quadri di fiducia vennero reclutati all’interno del nocciolo duro del partito delle origini dove gli ebrei erano sicuramente presenti in grandi numeri. Al contrario, i romeni erano in termini relativi minoritari in un partito che complessivamente contava pochi iscritti.
Il peso degli ebrei comunisti era ancora più importante tra i simpatizzanti e gli intellettuali. La loro sovrarappresentazione all’interno dell’apparato comunista, soprattutto nella sua componente intellettuale (ideologia e propaganda) è il riflesso della loro effettiva proporzione nel partito.
Gli ebrei non si trovavano lì perché ebrei, ma perché il loro impegno era storico, almeno per quel che riguardava i militanti. Essi si erano impegnati in un processo di cambiamento di una società non egualitaria e discriminatoria che li aveva esclusi. Allo stesso modo, essi sostenevano, nel loro interesse, un processo di sradicamento delle diseguaglianze e di democratizzazione che li collocava naturalmente a sinistra, se non all’estrema sinistra dello scacchiere politico.
Le persecuzioni dell’epoca Antonescu
Così tra le due guerre prese corpo un altro cliché lanciato dall’estrema destra “legionaria” e ripreso dalle altre forze politiche: quello dell’ebreo-comunista. Mentre l’Olocausto si perpetrava, lo stereotipo dell’ebreo comunista, agente della potenza nemica, giustificava l’avvio di una politica antisemita, che confluì nel massacro di Iasi nel giugno del 1941 e in quello di Odessa nel settembre dello stesso anno.
Negli anni successivi, apparve una nuova tesi, subito perentoria: gli ebrei hanno portato il comunismo in Romania. Questa affermazione si trasformò in una verità che non aveva neanche più bisogno di essere dimostrata. La colpevolezza degli ebrei, o di qualcun altro di sicura origine straniera, era facile da fare accettare e si nutriva della superbia di un popolo che evitava di fare il punto sulla propria storia.
Sotto il governo Goga-Cuza e di Miron Cristea, ultranazionalisti e fascisti, 200.000 ebrei vennero naturalizzati romeni, mentre sotto quello di Antonescu, vennero semplicemente messi fuori legge, ovvero massacrati e deportati in Moldavia, Bucovina, Bessarabia e Transinstria. Pare logico che una parte di ebrei si sia da allora impegnato in un movimento politico antifascista che, almeno teoricamente, militava per l’eguaglianza etnica.
Non c’è da stupirsi dunque se gli ebrei della Bessarabia abbiano accolto a braccia aperte gli invasori sovietici nel 1944. Antonescu ne aveva espulsi 175.000 in condizioni disumane. Allo stesso modo anche le persecuzioni alle quali furono sottoposti durante la Seconda guerra mondiale li orientarono naturalmente verso l’Unione Sovietica e le idee comuniste. Le persecuzioni subite li portarono a “vendicare” le centinaia di migliaia di vittime ebree del regime di Antonescu passando al fianco dei comunisti. Le persecuzioni del regime di Antonescu furono, dunque, la vera ragione del riallineamento degli ebrei al fianco di chi voleva rovesciarne il regime: i comunisti, appunto.
La "romenizzazione" del Partito fino al 1989
Secondo lo storico romeno esperto di questioni ebraiche in Romania, Radu Ioanid, esiste un’autentica incompatibilità tra religione ebraica e dottrina comunista. I comunisti di Romania, indifferentemente dalla loro origine etnica, non professavano, né agivano nel nome di alcuna religione. I dirigenti del Pcr, ivi compresi alcuni leader ebrei, furono coinvolti attivamente nella persecuzione dei membri delle organizzazioni religiose ebraiche, professionali o politiche.
Nella metà degli anni Trenta, gli ebrei rappresentavano il 18,1% degli aderenti al Pcr. Si tratta di una cifra importante se si tiene conto della effettiva proporzione degli ebrei nella popolazione del paese. Tuttavia, dopo la presa del potere da parte dei comunisti, la cifra precipitò al 7%, mentre dopo il 1950, essi non rappresentavano più del 3,5% del numero totale degli iscritti. Tale riduzione è chiaramente il riflesso del processo di romenizzazione del partito che si protrasse fino al 1989.
Dei quadri statali e della Securitate, selezionati secondo fedeltà
Marius Oprea, esperto di storia della Securitate, afferma: "All’inizio, non c’erano dubbi che la presenza importante degli ebrei nell’apparato dello Stato, incluso le istituzioni di polizia, fosse evidente. Il loro numero, in certe regioni, era superiore al loro peso effettivo, minoritario, nella popolazione. Tuttavia, la selezione dei quadri statali non si faceva sulla base di criteri etnici, ma in base alla fedeltà che essi erano capaci di esprimere. Di conseguenza, la forte presenza di minoranze nell’apparato dello stato non ha fatto altro che riflettere l’importanza che queste minoranze avevano avuto all’interno del movimento comunista negli anni vissuti nell’illegalità. Il problema generale dei comunisti era di trovare dei quadri capaci di lavorare nella Securitate, essendo la base di reclutamento piuttosto ridotta".
Numerosi ebrei ed ungheresi si trovarono dunque promossi dal nuovo potere a posti-chiave nell’apparato dello stato, specialmente nell’apparato di sicurezza. Questo provocò la rinascita di sentimenti xenofobi ed antisemiti in alcuni segmenti della popolazione romena che assimilava, senza troppe distinzioni, le minoranze etniche ai collaboratori potenziali del regime di occupazione sovietico-comunista.
Per Radu Ioanid, affermare che siano stati gli ebrei ad avere “instaurato il comunismo in Romania" e che, almeno per quanto riguarda la Romania, alcuni ebrei non furono soltanto vittime ma anche carnefici" è un’argomentazione che non solo si presta a contestazione ma rivela un cliché antisemita confortato dall’enumerazione selettiva di qualche nome di leader comunista di origini ebraiche o designato come tale.
Dopo il 1948, gli ebrei lasciano in massa la Romania
Nei primi anni, il potere comunista in Romania condusse però una politica antisemita che trovò la sua forza nelle tradizioni culturali e politiche del paese, in quanto l’antisemitismo romeno si inscriveva in una certa tradizione popolare ed aveva un carattere ufficiale. Furono anche le istruzioni provenienti da Mosca, dove si svolgeva una serie di processi antisemiti, ad alimentarla.
Il primo ministro Petru Groza affermava nel 1949 a Emil Bodnaras, capo dei servizi segreti: "Gli americani giocano sempre la carta degli ebrei. In un paese come la Romania, che ne conta 400.000, tra cui decine di migliaia infiltrati nell’apparato dello stato ad alti livelli economici, culturali e politici, come fare perché quelli impiegati nella Pianificazione organizzino correttamente ed onestamente l’attività delle imprese di cui sono stati espropriati? I sionisti sono degli ottimi rappresentati della Quinta Colonna!".
Da allora, i leader comunisti romeni lanciarono una massiccia campagna anti-sionista. Centinaia di ebrei furono arrestati e condannati in seguito a processi-farsa. Gheorhiu-Dej affermò, nel corso di una riunione dell’Ufficio politico nel febbraio del 1949 che i responsabili sionisti "dovevano essere trattati come dirigenti di organizzazioni fasciste".
Di conseguenza, la popolazione ebrea iniziò a votare contro il Pcr con i piedi… emigrando massicciamente. Tra il 1948 e il 1951, 119.000 ebrei lasciarono il paese. Nel 1958, in 100.000 presentarono domanda di emigrazione. Gli ebrei romeni vennero letteralmente venduti allo stato di Israele. Da Gheorghiu-Dej a Ceausescu, subirono una massiccia epurazione nell’apparato di stato e di partito. Paradossalmente questa epurazione venne condotta con la partecipazione zelante di alcuni leader comunisti di origine ebraica, come Iosif Chisinevski e Leonte Rautu.
Relegati al rango di funzionari di secondo livello
Secondo Liviu Rotman, autore dell’opera "Gli ebrei romeni durante il comunismo", la sedicente onnipresenza degli ebrei nelle funzioni chiave del potere comunista deve essere storicamente chiarita. Si ebbero due ebrei nel primo ufficio politico al momento del congresso del febbraio 1948: Ana Pauker che venne esclusa nel 1952 e che occupò anche la posizione di ministro degli Affari Esteri, – e Iosif Chisinevschi – a sua volta epurato nel 1957. A partire da questa data e fino al 1965, l’ufficio politico non avrà più membri di origine ebraica. L’unico ad entrare dopo il 1958 fu Leonte Rautu, ma solo in qualità di supplente. Nel 1965, quando l’ufficio politico del Pcr si trasformò in comitato esecutivo, organo dai poteri più ristretti nonostante il nome, due membri di origine ebraica furono cooptati con una funzione economica: Gheorghe Gaston Marin che fu a capo dell’importante comitato di pianificazione e l’inamovibile ministro della Chimica, Mihail Florescu.
Un numero importante di ebrei furono invece funzionari di secondo livello: direttori, ispettori e quadri medi. Lavoravano molto e si fecero conoscere nell’ambito della propaganda: stampa e cultura. Erano ben lontani dall’essere maggioritari negli organi di sicurezza e nel 1952, uno dei primi provvedimenti del nuovo ministro dell’Interno Alexandru Draghici, fu di rimuovere i giocatori di origine ebraica dalla “Dynamo”, la squadra di calcio di Bucarest.
In definitiva, si trattava di militanti di partito, e in alcun modo rappresentativi della comunità ebraica romena, al punto che molti di essi evitavano accuratamente ogni contatto con i loro ambienti di origine, fino ad esprimersi con posizioni molto dure rispetto alle comunità ebraiche, pensate come distanti, “loro”, piuttosto che “noi”.
Liviu Rotman dimostra come i "leader comunisti" – Gheorghiu-Dej e Ceausescu per esempio – abbiano aderito al discorso nazionalista per poter addossare i fallimenti e gli abusi del regime sulle spalle delle minoranze, ed in particolare sugli ebrei. Ne è seguita una serie di falsificazioni storiche che perdurano ancora oggi, con i discorsi nazionalisti che continuano a fiorire.
Per lo storico franco-romeno Neagu Djuvara, di origini aristocratiche, gli anni che seguirono la presa del potere da parte dei comunisti videro molti ebrei rinunciare alle loro posizioni nelle diverse istituzioni o ministeri, soprattutto quando si accorsero dell’impasse economica cui il regime li costringeva. Allo stesso modo, successivamente, poterono capire che l’internazionalismo ostentato dalla dottrina comunista costituiva soltanto un’illusione.
Accusati di aver instaurato il comunismo… ma anche di averlo fatto crollare
Per Liviu Rotman, il tradizionale cliché antisemita perdura, e comprende, in una strana, e assurda coesistenza, la teoria che accusa gli ebrei di avere un ruolo essenziale nella caduta del comunismo stesso. "Questa persistenza è pericolosa e denota una carenza allarmante di maturità democratica", sostiene Rotman.
A suo avviso l’idea secondo cui "la maggioranza di persone che hanno messo in moto il comunismo era di origini ebraiche" è puramente dogmatica. Il comunismo ha attirato sia le classi popolari che le minoranze nazionali – tra cui gli ebrei – trovatesi a confrontarsi con i problemi mai risolti dell’Unione del 1918. Inoltre, aggiunge, “è difficile ignorare il fatto che questi si trovarono di fronte ad una situazione ambivalente: gli orrori del nazismo cominciarono ad essere rivelati in tutta la loro ferocia, mentre la maggioranza degli europei restavano sordi e ciechi rispetto all’inimmaginabile sofferenza che gli ebrei avevano subito durante la guerra”.
Valentina Iancu, curatrice al Museo di Belle Arti di Bucarest, stima che “sicuramente gli abusi e i crimini del comunismo non devono occultare la questione della partecipazione degli ebrei all’avvento di tale regime in Romania, ma una trattazione così facile e inesatta è un pessimo servizio per la storia nazionale. Rigettare le colpe e rimettere le responsabilità di un intero sistema sulle spalle di una sola comunità nazionale, che sia l’una o l’altra, incoraggia le tendenze neo-legionariste e l’ascesa del nazionalismo”.
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