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Romania: camici d’ottobre

In autunno in Romania si avvia la seconda fase di una radicale riforma sanitaria. I medici contestano stipendi troppo bassi mentre dall’Europa arriva una direttiva che potrebbe causare gravi problemi all’intero sistema sanitario rumeno

09/10/2013, Daniela Mogavero -

Ottobre si prospetta un mese caldo per la sanità romena: il personale medico e paramedico ha promesso battaglia nel mese in cui il governo e poi il parlamento discuteranno il progetto di riforma del settore, seconda fase di una rivoluzione già iniziata e che non ha mancato di scatenare polemiche e proteste.

E’ stato, infatti, già introdotto il certificato medico elettronico e il doppio binario della sanità pubblico-privato con l’obbligo per tutti di avere un’assicurazione sanitaria (con la creazione di una struttura assicurativa privata, formata da 4-10 assicurazioni sotto la supervisione dell’Authority pubblica), un pacchetto base di cure per tutti ridotto alle emergenze e la trasformazione degli ospedali in fondazioni o compagnie private.

La polemica

Ma a scatenare le più dure reazioni sono i punti legati ai salari dei medici, circa 800 euro al mese, troppo bassi rispetto ai colleghi europei e la decisione di centralizzare gli appalti pubblici delle strutture sanitarie a livelli apicali, cioè a Bucarest.

"Davvero pensiamo di poter far rimanere i medici romeni nel nostro paese con stipendi da 800 euro al mese? – ha chiesto infuriato dopo un acceso dibattito con il ministro della Salute Eugen Nicolaescu, il presidente del Collegio nazionale del personale medico Vasile Astarastoae – il ministero delle Finanze ha trovato i fondi per i sindaci, ma non per i dottori. Il governo ci sta dicendo che la sanità non è una priorità. Chiediamo che venga investito il 6% del Pil nel settore”.

Il ministro ha ribattuto che l’esecutivo ha intenzione di “garantire un reddito dignitoso al personale, trovando i fondi anche attraverso l’efficienza della spesa pubblica nel settore". A suo avviso la protesta dei medici non è giustificata ed ha chiesto di non far ricadere le conseguenze degli scioperi sui pazienti.

La situazione

La situazione del sistema sanitario romeno è davvero così drammatica come la dipingono le parti sociali? Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità le cifre non brillano, anzi.

Bucarest è l’ultima tra i 27 dell’Ue per investimento pubblico pro capite all’anno nella salute: il governo romeno stanzia poco meno di 400 euro all’anno per ogni cittadino, meno della Polonia, dell’Ungheria e della Bulgaria, altri fanalini di coda della classifica europea.

Anche guardando fuori dai confini Ue la Romania resta tra le ultime, superata anche dalla Serbia, che investe circa 450 euro a testa. Peggio di Bucarest, nel Vecchio Continente, fanno soltanto la Moldavia (165 euro), l’Albania (165,5 euro), l’Ucraina (193 euro), la Macedonia (245 euro) e la Bosnia Erzegovina (362 euro).

La giustificazione del governo è, citando le parole del ministro Nicolaescu che “non ci sono soldi, non possiamo permetterci investimenti”. “Sono pronto ad affrontare le critiche dei media”, ha chiosato quest’ultimo.

Tegola europea

Sulla sanità romena, però, rischia di abbattersi un’altra tegola che arriva dritta dritta da Bruxelles. Dal 25 ottobre 2013 tutti i cittadini europei avranno diritto a farsi curare in qualsiasi ospedale pubblico di un paese membro a spese del servizio sanitario del proprio paese d’origine, secondo la direttiva 2011/24/EU.

Visto che la Romania ha i costi delle spese mediche più bassi dell’Ue da fine ottobre si creerà una netta diseguaglianza tra romeni e altri cittadini europei. Gli ospedali pubblici saranno probabilmente costretti a curare i pazienti stranieri con un aggravio di costi per la spesa pubblica e un aumento del deficit .

Nello stesso tempo i pazienti romeni potrebbero essere discriminati, non avendo rimborsi che gli consentano di essere curati in altri stati membri: secondo la direttiva europea, infatti, “ciascuno stato membro d’origine può decidere di limitare la quota di rimborso delle cure effettuate all’estero” o limitare le autorizzazioni “per ragioni di interesse generale” come stabilito dalla Corte di Giustizia europea, attuando delle restrizioni della libertà di movimento per ragioni sanitarie.

Sul governo romeno, quindi, esistono pressioni a diversi livelli: sulla creazione del regolamento sulle prestazioni mediche per i romeni che volessero andare all’estero, la procedura autorizzativa, lo standard dei servizi sanitari nazionali, la lotta alla corruzione nella sanità romena.

Una conseguenza a lungo termine della direttiva europea potrebbe anche essere il livellamento dei costi delle prestazioni sanitarie romene con quelle europee a scapito dei cittadini romeni. Inoltre potrebbe aumentare il già grosso problema della migrazione dei professionisti del settore.

In fuga

La fuga di “cervelli” nella sanità romena è già un problema reale. Molti ospedali sono a corto di specialisti: dal 2007 ad agosto 2013, secondo i dati del ministero della Sanità di Bucarest, 15mila medici romeni si sono trasferiti all’estero in cerca di stipendi migliori. Nello stesso periodo soltanto 624 colleghi sono rientrati a lavorare in Romania.

La drammatica differenza tra le due cifre rende chiara la crisi del settore che il governo romeno non può tardare a risolvere. “Se i nostri medici vanno all’estero e non possiamo assumere professionisti al di fuori dell’Ue – ha detto laconico Raed Arafat, sottosegretario alla Salute – dove prenderemo il personale per i nostri ospedali?”

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