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Romania: Călin Dan e la percezione dello spazio urbano

“Un restauro è come un’operazione chirurgica, bisogna utilizzare un bisturi. E invece Ceaușescu è arrivato con un’ascia”. Călin Dan è un artista, critico e curatore: la sua Romania pre-post comunista. Un incontro, datato 2010, ma che non ha perso la sua attualità. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

27/04/2015, Laura D'Angelo -

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Maggio 2010, Amsterdam. Ad attendermi c’è Călin Dan, artista, critico e curatore rumeno trasferitosi nella capitale olandese nel 2006, una delle città europee più fertili in fatto di arte. Munita di bicicletta, come la maggior parte degli abitanti, mi avvio verso la periferia cittadina. Destinazione: Nieuwpoortkade, quartiere suburbano sede di numerosi edifici dalle sagome rettangolari, laboratori, capannoni, uffici e per l’appunto, studi di artisti.

Sono le tre in punto quando busso alla sua porta. Călin Dan accorre immediatamente, stupito dalla mia puntualità. Facendomi accomodare su una comoda sedia a rotelle, mi offre del tè verde e rompe il ghiaccio chiedendomi del mio soggiorno in quella che veniva comunemente definita dai giovani “la città del peccato”. “Amsterdam è meravigliosa, al di sopra delle mie aspettative”, rispondo entusiasta mentre lui annuisce indicando la finestra: “Sei stata fortunata, guarda che sole!”

Su Călin Dan mi ero già documentata da casa: nato nel 1955 ad Arad, cittadina del nord al confine con l’Ungheria, negli anni del regime lavora prevalentemente come storico e giornalista. Oggi ha fama di essere uno degli artisti che più incarna ed espone, attraverso l’arte, i controversi meccanismi della Romania post ’89, provvisto di una buona dose di nichilismo, umorismo e vivo interesse per l’antropologia. Nel 1990, assieme ai colleghi Dan Mihaltianu (membro fino al 1993) e Yosif Kiraly, fonda il gruppo SubREAL. Attraverso performance ed installazioni concettuali SubREAL si occupa, tra i vari temi, dell’esplorazione dello spazio urbano ridefinendolo mediante azioni di arte pubblica.

Ma cos’è l’arte pubblica ed esiste a Bucarest? Călin risponde: “Per arte pubblica si intende quell’insieme di opere commissionate dallo stato e di esso rappresentative. La ricostruzione di Piata Revolutiei, così rinominata in seguito alla caduta del regime, ne è un esempio.

Anticamente conosciuta come Piata Palatului, è un luogo storicamente importante poiché è da qui che Ceaușescu, assieme alla moglie, tentò la fuga durante la rivoluzione. Altro esempio, di gusto kitch secondo la mia modesta opinione, è il Monumentul Eroilor, fatto erigere da Ion Iliescu, presidente della Romania dal 1989 al 2004, per commemorare le vittime della rivoluzione. Fatte salve queste eccezioni, non si può parlare di arte pubblica in Romania quale testimonianza della nazione e delle sue imprese, né tantomeno della transizione dal comunismo alla democrazia”.

Se consideriamo inoltre che Ion Iliescu fu collega di Ceaușescu prima della sua caduta e che altri compagni di partito si ritrovarono a governare il paese dagli anni ’90 in poi, questa transizione non ci fu affatto, o perlomeno non si sviluppò nel migliore dei modi.

Tornando all’analisi dello spazio urbano, la città di Bucarest mostra in maniera esemplare come i continui mutamenti dei parametri spaziali siano simbolo di storie diverse intrecciate talvolta in maniera confusionaria. “La capitale ha subito uno sviluppo amorfo, irregolare e poco funzionale, mischiando sin dall’inizio e senza criteri aree agricole e quartieri popolari”, riprende Călin.

Con Nicolae Ceaușescu l’architettura cittadina si aggrava ulteriormente quando, approfittando del terremoto che nel 1977 devastò la capitale, viene lanciato un piano di ricostruzione fedele ai valori socialisti. “L’intento del dittatore è quello di realizzare quartieri residenziali provvisti di centri educativi e di svago, sanitari e commerciali, con servizi condivisi quali bagni e cucine, al fine di adempiere in pieno all’ideale del collettivismo”.

Particolare poi è la vicenda della Casa del Popolo, il palazzo simbolo del regime politico anche famoso per essere il secondo edificio più grande del mondo: alla sua edificazione contribuirono dal 1981 al 1988 circa duecentomila operai e quattrocento architetti che rasero al suolo oltre quarantamila case. “Durante la costruzione di questa effige del potere comunista interi quartieri vengono abbattuti, con famiglie costrette a trasferirsi altrove ed una miriade di cani domestici lasciati all’abbandono. L’assenza di misure protettive causa inoltre la morte di centinaia di operai ed è in onore di queste morti che nasce l’installazione ‘East-West’ ”.

Nel 1990 Călin Dan e Yosif Kiraly piantano una serie di pali lungo l’antico Bulevardul Victoria Socialismului, poi rinominato Bulevardul East-West, la via che conduce alla Casa del Popolo. Ogni palo riporta il nome di un operaio morto durante i lavori assieme al motivo del decesso e all’invocazione “Odihneasca In Pace”, riposa in pace.

“Un atto di denuncia ispiratosi al folklore rumeno: è infatti usanza contadina apporre pali di legno con tale dicitura nei luoghi in cui avvengono morti violente, garantendo così alle anime di migrare verso la pace eterna”.

Mentre il governo rimuove l’installazione “East-West”, considerandola troppo provocatoria, SubREAL continua con ulteriori interventi sullo spazio urbano. Nel 2005 nuove performance, nell’ambito del progetto “Interviewing The Cities”, vengono organizzate: tra le varie, particolarmente bizzarra è quella che documenta il vizio diffuso dei propri connazionali di espettorare a terra, evidenziando l’assenza di senso civico e di rispetto nei confronti dello spazio pubblico. Ad Arad, città natale di Călin, gli sputi vengono sarcasticamente incorniciati destando lo stupore dei passanti che increduli, si chiedono se si tratti di oggetti in vendita.

“Non so in realtà se i nostri interventi ebbero effetti sulle coscienze, se generarono riflessioni di qualche tipo… nutro molti dubbi sulla capacità dei rumeni di comprendere l’arte concettuale, essendo nuova, inusuale. Con SubREAL e come singolo ho agito attraverso progetti volti alla riconsiderazione dello spazio pubblico, uno spazio che, in quanto condiviso, dovrebbe essere amato dai suoi abitanti piuttosto che maltrattato. Ho agito per l’accrescimento di un senso di responsabilità civica, ho comunicato il reale attraverso il reale”, afferma Călin mentre mi accingo a concludere la visita.

Nonostante questo suo apparente sconforto, voglio credere nel profondo valore comunicativo dell’arte quale mezzo utile a risvegliare emozioni e riflessioni, perché senza comunicazione non c’è crescita, non c’è confronto, non c’è scambio… basta voler ascoltare.

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