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Romania: c’era una volta la delocalizzazione

A partire dal 2008 molte multinazionali hanno abbandonato la Romania. Coca Cola, Nestlé, Colgate sino alla recente chiusura degli stabilimenti Nokia. Il Paese che era divenuto meta della delocalizzazione negli anni ’90 ora rischia il fenomeno contrario

03/11/2011, Mihaela Iordache -

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In piena crisi economica mondiale (ma in Romania le autorità insistono a non usare ancora questo drammatico termine), alcuni dei grandi investitori internazionali stanno lasciando il Paese. E’ il caso della Nokia, ad esempio.

Intanto, anche in Romania, spaventa l’effetto Grecia: si rivedono i piani economici e le stime per l’anno prossimo e nel frattempo il presidente Traian Băsescu invita alla massima prudenza e punta il dito verso l’Unione europea, criticandola per aver rimandato troppo a lungo le decisioni in merito agli aiuti finanziari alla Grecia. La Grecia, per i Balcani, è una sorta di cavallo di Troia. “A causa della situazione della Grecia tutta la regione è contaminata dalla sfiducia e qui non si tratta solo di responsabilità greche", afferma Băsescu, aggiungendo che “la Romania non può pagare all’infinito le indecisioni dei leader della zona Euro”.

Non della stessa opinione l’opposizione secondo la quale l’attuale grave situazione economica in Romania non sarebbe solo responsabilità dell’Europa ma dipende anche da gravi inefficienze governative.

Nokia bye bye

In Romania si parla ormai apertamente – tutti tranne il governo a dire il vero – dell’imminenza di una seconda ondata della crisi economica. Un forte colpo è arrivato a fine settembre quando la multinazionale finlandese Nokia ha annunciato che dopo tre anni e mezzo di presenza in Romania chiuderà la fabbrica di Jucu nella contea di Cluj, nell’ambito di un programma che riguarda la riduzione dei costi. I manager dell’azienda hanno tenuto a sottolineare che le unità di produzione in Asia sono più efficienti.

In seguito alla decisione, 2.200 di romeni hanno perso il posto di lavoro. Il premier Emil Boc, del Partito democratico liberale, ha convocato subito i ministri a Palazzo Victoria, sede dell’esecutivo di Bucarest e li ha avvertiti che “c’è un rischio maggiore di delocalizzazione” di alcune multinazionali dalla Romania ”perché la crisi economica accentua la competizione globale".

Il presidente Băsescu ha invece fatto sapere che la decisione della Nokia non lo sorprende, in quanto era prevedibile, annunciando allo stesso tempo che andranno via anche altri investitori a causa della burocrazia nel Paese e “la mancanza di coraggio di assumerci decisioni importanti”. E sembra avere ragione Băsescu perché, se si parla di riduzione dei costi, allora va ad esempio chiarito che gli stipendi dei lavoratori della Nokia in Romania erano inferiori a quelli dell’Ungheria. Dove la Nokia non ha deciso di chiudere.

La Nokia era la maggiore compagnia IT&C presente nel Paese, con una cifra d’affari, l’anno scorso, di circa 1,6 miliardi di euro, l’1,3% del PIL della Romania. Sempre nel 2010 la Nokia è stato il secondo esportatore della Romania dopo la Dacia, produttore di automobili.

Non solo…

La stampa romena in questi giorni ha sottolineato come dal 2008 (anno che coincide con l’inizio della crisi economica) la Coca-Cola abbia chiuso gli stabilimenti a Bucarest, Oradea e Iasi, spostandoli in Moldavia. Nestlé ha delocalizzato la produzione del gelato in Bulgaria mentre la Colgate Palmolive ha puntato sulla Polonia. La Romania, il paradiso della delocalizzazione del tessile negli anni novanta, anche in questo settore si è vista spodestata da Turchia, Bangladesh e Vietnam.

Per calmare gli animi il governo ha annunciato che vi sarebbero 20 nuove aziende pronte ad investire un miliardo di euro nel Paese e creare 8.000 nuovi posti di lavoro. Una speranza a cui aggrapparsi in questi tempi bui. Per l’ex ministro del Tesoro, Sebastian Vladescu "la Romania è già in recessione. Ma sarà ancora peggio se entriamo veramente nella crisi".

Intanto la Berd (Banca Europea per la Ricostruzione e Sviluppo) ha cambiato le proprie valutazioni in merito all’economia romena per il 2012, a causa della grande esposizione di quest’ultima nei confronti della Grecia. Le previsioni di crescita sono state abbassate del 2,7% , nel 2012 l’economia romena dovrebbe crescere quindi dell’1,5%.

Questo però non muta i vincoli internazionali. In un intervento televisivo a reti unificate il presidente Traian Băsescu ha annunciato che per l’anno prossimo la Romania dovrà avere un deficit inferiore al 3% e dovrà impegnarsi tramite legge finanziaria a limitare il livello dell’indebitamento. Inoltre dovrà mantenere investimenti per favorire l’occupazione. Il capo dello Stato ha ricordato inoltre che fino al 2008 il budget è stato aiutato da fondi provenienti dalle privatizzazioni. Ora questo canale di finanziamento è chiuso.

Comunque il problema sembra essere non tanto quello di attirare investitori ma fare in modo che quelli che ci sono non se ne vadano. Il quadro legislativo rimane ancora instabile mentre, a sfavore degli investimenti, vi è stato l’anno scorso l’aumento dell’IVA dal 19% al 24%. E poi c’è l’eterna “abitudine”: la corruzione. Secondo Steven Van Groningen, presidente del Comitato Direttore del Consiglio degli Investitori Stranieri  “la Romania è percepita come un Paese corrotto e questo ha un certo effetto sugli investitori. E’ molto importante dimostrare che si stanno facendo passi importanti nella lotta alla corruzione”.

Ancora tagli?

Nonostante non siano stati ancora annunciati nuovi tagli agli stipendi o licenziamenti nel pubblico in molti si chiedono come farà il governo a garantire un deficit al di sotto del 3% se non riducendo le spese pubbliche o aumentando le tasse. In novembre il premier Emil Boc dovrà inviare al Parlamento la legge finanziaria per il 2012, in seguito alle discussioni in merito con i rappresentanti dell’UE e del Fondo Monetario Internazionale. Dal suo canto il presidente del PSD (partito Social Democratico) Victor Ponta ha annunciato che l’opposizione voterà la finanziaria solo se verranno adottate, come misure anticrisi, il ritorno dell’IVA al 19% e se si ridurranno le contribuzioni sociali del 3%.

Il premier Boc intanto, annuncia tramite metafore che il periodo "lacrime e sangue" non è finito: "Le renne di Babbo Natale non porteranno sulla slitta buone notizie". Si spera però che almeno Babbo Natale sopravviva alla crisi. Per quanto riguarda invece stipendi, pensioni o posti di lavoro, tutto sembra insicuro, nonostante il forzato ottimismo del presidente Băsescu, che con le sue rassicurazioni prova a tenere diritto il timone del Paese.

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