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Romania, non parliamo di crisi

Le autorità continuano a ripeterlo: la crisi economica in Romania non c’è. Ma a seguito dei tagli draconiani degli anni scorsi, i cittadini poveri sono sempre di più e l’emigrazione resta l’opzione preferita da molti. Intanto la Spagna chiude il mercato del lavoro ai romeni

22/08/2011, Mihaela Iordache -

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Mentre il presidente Traian Basescu assicura ad alta voce che di crisi in Romania non c’è nemmeno l’ombra, il governo si prepara a varare altre misure di austerità che metteranno in ginocchio migliaia di romeni.

Tra queste il blocco delle assunzioni statali fino al 2014 (ed in seguito solo uno su sette posti che vanno a liberarsi potrà essere occupato) e la sospensione della fornitura di buoni pasto.

Mentre Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea, parla della più difficile crisi dopo la Seconda guerra mondiale il presidente romeno ritiene che in Romania non si debba usare la parola “crisi” ma si possa parlare piuttosto di una reazione dei mercati ad alcune decisioni non convincenti prese sia negli USA che in Europa.

Da Palazzo Victoria, sede del governo, parla anche il premier Emil Boc che spiega come la Romania abbia, rispetto ad altri partner europei, il vantaggio di una leggera stabilità macroeconomica grazie alle misure adottate in passato.

Tagli precedenti e situazione attuale

Nel 2009 la Romania ha chiesto al Fondo monetario internazionale un prestito di 20 miliardi di euro. Lo Stato ha ridotto in quell’occasione drasticamente la spesa pubblica, ha licenziato circa 150.000 statali, ha tagliato gli stipendi del 25% (nel 2011 li ha però aumentati del 15%), ha eliminato la tredicesima. Per aumentare gli incassi ha alzato l’IVA dal 19 al 24% ed ha aumentato le contribuzioni sociali del 3%.

Molte delle misure, adottate in maniera tempestiva, hanno contribuito a migliorare i risultati economici del Paese. Ad affermarlo lo stesso FMI. Ma la Banca mondiale annunciava (prima della recente crisi dei debiti sovrani) che la Romania avrà quest’anno la crescita economica più lenta fra i dieci Paesi dell’Est membri dell’Ue. Le aspettative di crescita evidenziate erano dell’1,5% quest’anno e del 4,4% l’anno prossimo. Cifre comunque superiori a molti altri Paesi dell’Ue, se non si guarda al paragone esclusivo con l’Est Europa.

Ma nel caso dovesse arrivare la crisi anche in Romania, “siamo preparati con l’arma alla gamba “, come si dice da queste parti, e soprattutto come ha affermato il governatore della Banca Nazionale Romena (BNR) Mugur Isarescu.

“Abbiamo pianificato gli strumenti ed il piano giuridico di intervento ma non è il caso di entrare nei dettagli in quanto la popolazione si agiterebbe inutilmente”, aggiunge il primo banchiere che dal 1990 fino ad oggi (salvo un anno quando fu primo ministro) ha governato la BNR ed il corso del Leu, la moneta nazionale. Inoltre, secondo il il governatore Isarescu “il sistema bancario romeno non è esposto direttamente alla crisi dei debiti sovrani della Grecia ma esistono canali attraverso i quali il contagio potrebbe propagarsi”. Per quanto riguarda i propri debiti, la Romania – partita da un debito zero nel 1989 – ha accumulato nel frattempo 90 miliardi di euro e quest’anno toccherà l’82% del PIL.

L’opinione degli analisti romeni

Secondo l’azienda di valutazione finanziaria indipendente CMA Data Vision il rischio che la Romania entri in fallimento è del 16,2%. In questa speciale classifica delle economie più vulnerabili si trova comunque messa meglio di altri Paesi europei quali la Grecia (80%), la Spagna (20%), la Croazia 17,9% e l’Ungheria (17,6%).

La stampa e gli analisti romeni non sembrano però condividere del tutto l’ottimismo espresso dalle autorità. Nonostante gli avvertimenti del presidente Basescu ai media locali di “essere prudenti quando si parla di crisi economica” sono in molti i giornalisti ad aver criticato il Presidente per i suoi discorsi sulla crisi e ad aver analizzato le possibili conseguenze in Romania della crisi sui debiti sovrani che ha colpito in queste settimane vari Paesi europei.

Secondo gli analisti la Romania non sarà immune da queste ultime e la più colpita sarà la classe media. La borsa romena del resto non ha fatto eccezione recentemente rispetto ai trend mondiali ed ha registrato perdite significative.

La Romania è il secondo Paese più povero dell’UE dopo la Bulgaria. E il numero di persone costrette a vivere al di sotto della soglia di povertà è in aumento. Anche a seguito delle radicali misure di austerity adottate nel Paese.

Una delle conseguenze visibili di tutto questo è l’aumento di giorno in giorno dei “Consignatia”. Molto presenti all’indomani della Rivoluzione sono negozi di merce di seconda mano: la gente porta oggetti usati da casa e il negozio li mette in vendita aggiungendo una percentuale del 15%.

Emigrazione, l’opzione preferita

Se vi sono dubbi sul futuro del sogno americano, quello rumeno è chiaro: l’emigrazione resta ancora per molti, a partire da professionisti come ad esempio i medici, l’opzione preferita. Ma in un mondo globalizzato la crisi è globale e le difficoltà con cui si devono confrontare anche altri Paesi incide sulla libera circolazione nel mercato del lavoro.

Come nel caso della Spagna dove lavorano circa 825.000-830.000 romeni. Questi ultimi costituiscono la comunità straniera più numerosa, con presenze aumentate rapidamente negli ultimi anni. Troppi, secondo Madrid, e la Commissione europea le ha dato ragione permettendo alla Spagna di chiudere temporaneamente il proprio mercato del lavoro ai romeni.

Le autorità spagnole tengono però a precisare che le misure non riguardano i romeni che già lavorano in Spagna ma piuttosto quelli che vorrebbero venire a lavorare e non potranno più farlo, perlomeno sino al 31 dicembre 2012.

Quest’ultima è una decisione senza precedenti a livello UE. L’indice della disoccupazione in Spagna ha raggiunto il 21 %, il più alto mai registrato in un Paese UE dopo l’introduzione dell’euro. Fra i giovani il dato tocca il 45%. Disoccupazione che tocca evidentemente anche la comunità romena lì residente. Alcune ricerche sottolineano come attualmente il 30% dei romeni residenti in Spagna risulta disoccupato, contro l’11% di prima della crisi. Di conseguenza si verificherà anche una consistente riduzione nel volume delle rimesse che i romeni emigrati all’estero manderanno a casa con contraccolpi da non sottovalutare. C’è poco di cui stare tranquilli, nonostante le rassicurazioni delle autorità.

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