Tipologia: Notizia

Area: Croazia

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Robert Perišić: il nostro uomo è universale

Il libro più letto in Croazia nel 2008 e un grande successo in America come in altri paesi d’Europa. E’ il romanzo di Robert Perišić, "Il nostro uomo sul campo". Coinvolgente e ironico, dipinge la società croata paralizzata da difficoltà economiche e incertezze politiche, disgregata al suo interno ed eticamente confusa. Un’intervista all’autore

29/05/2013, Nicole Corritore -

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«Pensaci bene, è una guerra.»
«Non è un problema, la guerra.»
«Dici?»
«Per me è la pace a essere un problema.» (Il nostro uomo sul campo, Robert Perišić, Zandonai editore 2012)

Il libro non parla direttamente della guerra degli anni novanta, la tiene sullo sfondo. Parla piuttosto del dopoguerra, di una società confusa, con molte incertezze. Quanto secondo te pesa ancora il conflitto nella quotidianità odierna?

Ogni grande evento del passato resta scritto da qualche parte nella coscienza degli uomini, ed è difficile soppesare quanto di esso è rimasto o avrebbe dovuto rimanere. Non saprei come fare una valutazione. Al di là di questo, è differente da persona a persona, dipende da ciò che ognuno ha vissuto, quali perdite ha subito e anche quale scelta politica legge in quell’evento… Ogni uomo può estrapolare dalla sua esperienza diversi messaggi. Non esiste una memoria unica e a me, in qualità di scrittore, interessano i racconti individuali nella complessità dei loro intrecci.

Nel romanzo vi sono personaggi che sono lontani dalla guerra mentre altri vi sono molto vicini, perché nelle loro teste sono ancora vivi i traumi subiti. Affronto il tema della guerra in Iraq proprio per far emergere questa differenza. Così, al personaggio che parte per l’Iraq per fare delle corrispondenze sul conflitto, tornano a galla i ricordi di quella che aveva vissuto lui in prima persona e mischia tutto in un discorso psichedelico sulla guerra. Questo suo racconto si scontra in qualche modo con il racconto di persone che vivono a Zagabria e conducono una vita normale.

Il libro è scritto nel periodo 2003-2007 e in un certo qual modo in esso si scontrano il passato e il presente. Nel romanzo c’è anche una certa dose di humor, che rappresenta un modo altrettanto valido per sopravvivere mentalmente e continuare a vivere. Assieme alla guerra ci sono accadute anche tante altre cose. Il semplice scorrere del tempo fa la sua parte e la guerra diviene, di fatto, passato. Spero che non condizioni il nostro futuro e i rapporti umani tra noi.

Un altro tema affrontato è l’insicurezza economica. Come sta vivendo oggi la crisi la società croata? Le prospettive dei trentenni descritti nel libro sono le stesse dei trentenni di oggi?

La crisi economica del 2008 ha colpito pesantemente la Croazia e sono diversi i fattori che hanno portato ad essa. Negli ultimi vent’anni il paese è stato per lo più deindustrializzato. Molto di quel comparto è sparito a causa del veloce cambiamento del sistema economico (dal socialismo al capitalismo), molto è andato distrutto durante il conflitto, è stato depredato o sottoposto a privatizzazioni di dubbia natura. Uno dei motivi della debole ripresa dalla crisi è sicuramente la grande dipendenza finanziaria dai capitali stranieri, come il malfunzionamento del settore bancario che imponendo interessi elevati non sostiene lo sviluppo.

Allo stesso tempo si è forzato il paradigma dell’economia neo-liberale e la politica del risparmio, che non aprono nuove possibilità lavorative ma anzi le chiudono. A causa della politica del risparmio la gente non ha soldi da spendere e risulta loro difficile riuscire anche a vendere, creando un circolo chiuso che impedisce il risanamento dell’economia. Abbiamo il turismo, ma non basta. Le condizioni dei trentenni di oggi sono peggiori di quelle descritte nel mio romanzo. Allora vivevano nel periodo della bolla del credito, quando ci si illudeva di creare sviluppo indebitandosi. Il romanzo dice chiaramente di non credere a questo sistema: nella narrazione, una banca fallisce e si attende la bancarotta del paese. Alcuni lettori hanno sottolineato che il romanzo ha previsto la crisi, il che è una grande fortuna per il libro, ma non per noi.

Il nostro uomo sul campo” (Naš čovjek na terenu) apre anche alla riflessione sui media, sulla gestione dell’informazione, sulla rivalità tra gruppi editoriali. I personaggi principali (Tin e Boris) si occupano di giornalismo. Sicuramente c’è molta della tua esperienza con il Feral e con Globus dopo. Che opinione hai dei media croati?

Negli ultimi dieci anni i media croati sono stati sempre più sottoposti all’influenza del capitale. Negli anni ’90 dominava lo Stato, mentre oggi i media sono dominati dal capitale, provocando problemi diversi rispetto al passato. Negli anni ’90, e durante la guerra, il problema era riuscire a criticare la politica del paese, oggi invece il problema è puntare i riflettori sugli interessi di breve periodo delle élite finanziarie. Si tratta dunque di tutt’altra resistenza.

Paradossalmente, durante la guerra degli anni novanta poteva esistere un giornale come il Feral Tribune, che combatteva e criticava apertamente il governo, mentre oggi nessuno dei giornali più letti criticherebbe e analizzerebbe in quel modo i veri giochi di interesse e i processi politico-economici, che sono ovviamente anche processi sociali.

Oggi in Croazia non è un problema criticare il governo, che al momento è liberal-socialista. Il problema maggiore è mettere allo scoperto gli interessi finanziari a breve termine nel quadro generale dell’economia politica. Così, la critica al governo rimane superficiale e i media preferiscono occuparsi di critiche “personali” ai politici senza andare a fondo dei problemi, anzi spesso offuscandoli. In questo contesto, i media preferiscono dichiarare differenze pseudo ideologiche, che molto spesso sono solo simboliche e qui, fondamentalmente, avviene la simulazione della lotta politica.

Molte parti del libro, soprattutto le lunghe riflessioni, le dinamiche tra i personaggi, suscitano un forte senso di identificazione. Come dire, la storia potrebbe essere stata ambientata in tutt’altro luogo e funzionare lo stesso. Non è forse anche questo il motivo del tuo successo internazionale?

Il romanzo “Il nostro uomo” è pensato in modo da collegare il locale al globale. E’ per lo più ambientato a Zagabria, ma costruito in modo che sul destino dei protagonisti incidano nella stessa misura fattori locali e fattori globali. Accade quindi che qualche volta questo risulti ridicolo: in un intreccio si incontrano, come fossero dei pari, una donna di paese e George W. Bush. L’idea di questo incontro mi sembrava comica, ma nel romanzo la scena risulta comica e reale allo stesso tempo. Credo sia per motivi di questo genere che il libro ha ottenuto ottime critiche e successo di pubblico, in America come in Croazia o in Serbia. Questo per me è molto importante, perché mostra una letteratura che parla una lingua universale. Al contempo, penso che parli di tutto questo in modo completamente diverso dai soliti cliché.

La mia generazione ha accumulato esperienze particolari – dalla guerra al ricordo del socialismo – ma anche una serie di esperienze culturali che condividiamo con gli italiani e con gli americani, in sintesi con il mondo intero. Dunque i protagonisti sperimentano circostanze particolari ma nelle quali i lettori si possono identificare, non come se si trattasse di personaggi esotici o di un qualche ghetto culturale. Penso che i lettori di diversi paesi possono comunicare tra loro attraverso i personaggi e comprendere che siamo, più o meno, tutti sulla stessa barca. Credo che comunicare le esperienze, senza mistificazioni, esoticità e ghettizzazioni, sia per le persone un modo per conoscersi attraverso la letteratura.

Come vive personalmente l’entrata della Croazia in Unione europea, soprattutto da un punto di vista culturale?

Gli aspetti dell’Unione europea che ritengo positivi sono quelli culturali. La tolleranza, l’accettazione delle diversità, il superamento dei vecchi conflitti, è la base culturale dell’UE. Spero che l’Unione riesca a cambiare la sua politica economica, la quale di fatto definisce la politica sociale, perché senza la fondamentale solidarietà alla base di questo progetto, la comprensione reciproca può andare distrutta. La solidarietà in ambito economico va a braccetto con la tolleranza nella cultura. Se non si persegue la politica della solidarietà si approfondisce il divario delle differenze e si arriva, sul lungo periodo, a seri danni alla cultura. Spero che i politici europei capiscano che solidarietà e tolleranza devono logicamente camminare insieme.

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