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Area: Turchia

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Resistenze ambientaliste

Negli anni Novanta le prime proteste contro l’inquinamento da cianuro nelle miniere d’oro. Oggi i movimenti ambientalisti turchi denunciano il crescente pericolo per l’ambiente e la popolazione legato a nuove concessioni minerarie, centrali a carbone e nucleari

06/08/2010, Fazıla Mat -

Resistenze-ambientaliste

Nel giugno scorso ad Ankara i rappresentanti di oltre trenta movimenti e piattaforme ecologiste provenienti da 28 regioni anatoliche, si sono ritrovati al convegno “Le resistenze ambientaliste si riuniscono” (Çevre Direnişleri Buluşuyor), il più grande del suo genere realizzato in Turchia sino ad oggi. L’evento organizzato dall’Unione delle camere degli ingegneri e architetti (TMMOB) ha dimostrato come negli ultimi anni le battaglie per la salvaguardia dell’ambiente si siano radicate tra le popolazioni locali e non siano più legate solo all’impegno degli ordini di mestieri o degli ambientalisti di ambito urbano. L’ampia partecipazione all’evento è però purtroppo indice di come parallelamente a questi movimenti siano cresciuti anche i progetti governativi e privati, con un impatto dannoso sulla terra e sui suoi abitanti.

resistenze ambientaliste

Convegno resistenze ambientaliste

Il primo movimento turco di “resistenza ambientalista” risale ai primi anni ’90 e fu messo in piedi dagli abitanti di Ovacık, in provincia di Bergama nella regione dell’Egeo, per lottare contro l’inquinamento causato dal cianuro impiegato nell’estrazione dell’oro nella miniera collocata sulla loro terra. Qui, nonostante una lotta durata anni e le conseguenti sentenze che hanno decretato la chiusura della miniera [gestita attualmente dalla Koza Madencilik, ndr], quest’ultima non solo ha continuato ad essere operativa ma, siccome nel frattempo il metallo prezioso è esaurito, è stata adibita a centro di stoccaggio dell’oro estratto dalle località limitrofe per essere lavato nelle vasche di cianuro, la cui quantità oggi è triplicata passando da 300mila a 1 miliardo di tonnellate.

Erol Engel, portavoce della Piattaforma ambientale di Bergama, ha lanciato un allarme sul fatto che nel villaggio Narlıca, nella stessa provincia, sono aumentati i casi di tumore ed ha chiesto allo Stato una valutazione sulle condizioni di salute della popolazione. Engel ha presentato anche la preoccupazione dei contadini della regione, che in gran aprte parte lavora nelle serre dove si coltivano ortaggi destinati all’esportazione, di vedersi restituire da un giorno all’altro i prodotti coltivati. E anche i casi degli agnelli nati senza occhi o con due zampe, riportati dai contadini di un altro villaggio nei pressi della miniera, di certo non presentano uno scenario confortante.

Il sindaco di Bergama, Mehmet Gönenç, ha affermato che la prima località della zona presa ora di mira per la ricerca dell’oro è la pianura di Kozak, dove a tal scopo sono già stati tagliati oltre 10mila pini calabri, e se non si riuscirà a fermare il processo, la stessa fine toccherà anche ai pistacchi.

La nuova legge sulle miniere approvata lo scorso giugno dal governo Erdoğan spalanca le porte della ricerca mineraria in tutte le aree boschive, risparmiando solo gli uliveti. Nella regione dell’Egeo sono in pericolo anche il monte Kaz (Ida) – sede di un parco nazionale – e il monte Madra, rispettivamente a nord e a est del golfo Edremit, dove sono già in corso delle attività di ricerca dell’oro. E con la nuova legge sono a rischio anche i boschi di Çaldağı in provincia di Manisa, sempre nella regione dell’Egeo, dove la società Sardes – dell’inglese Euro Nickel – ha ottenuto la concessione per stabilire una miniera di nichel.

Il caso di Ovacık dimostra che la legge non sempre è sufficiente a fermare le aziende, anche perché i governi prendono spesso la parte di queste ultime. Arif Ali Cangı, avvocato esperto in tematiche ambientali, ha illustrato come alcune clausole inserite nella recente legge sulle miniere vadano interamente a favore dei loro gestori, società locali o multinazionali. Innanzitutto “le attività delle miniere andranno ad essere equiparate ad un servizio di utilità pubblica”, spiega Cangı. “D’ora in avanti, se un’attività mineraria e altri investimenti che abbiano un’utilità pubblica si dovessero ostacolare a vicenda, la risoluzione del contrasto spetterà a un consiglio costituito da almeno tre ministri del governo che andrà a decidere quali dei due investimenti sia più proficuo per la comunità.” Inoltre dal momento che i ministri membri del consiglio sono coperti dall’immunità parlamentare, sarà pressoché impossibile contestare in sede legale le loro decisioni. Ma non finisce qui: “il colmo è che nel caso in cui una miniera veda limitata la propria attività perché in contrasto con altri investimenti pubblici, la parte vantaggiosa rimborserà al gestore della miniera le spese di investimento sostenute fino a quel momento”, conclude l’avvocato.

Tra i progetti che stanno incontrando l’opposizione della popolazione non ci sono solo le miniere, ma anche le centrali elettriche. La Turchia, che importa il 70% di energia, ha registrato negli ultimi anni un aumento considerevole nei consumi dell’elettricità e del metano. Le previsioni fatte dal governo indicano che per il 2020 gli impianti di produzione dovranno essere potenziati in modo da raggiungere almeno gli 80mila MW (quasi il doppio della capacità attuale). Tale situazione ha fatto sì che il governo turco si concentrasse su progetti locali di produzione energetica.

Nonostante il ministero dell’Energia e delle Risorse naturali si proclami sostenitore delle fonti di energia rinnovabili e pulite, secondo i dati forniti da Greenpeace Turchia, sono 47 i progetti di centrali termiche a carbone di prossima costruzione. Solo a Hatay, nel Mediterraneo orientale, ne sono previsti 16, mentre in una cittadina turistica sul Mar Nero come Amasra si vorrebbe costruire una centrale da 2640 MW, che dovrebbe consumare 22.500 tonnellate di carbone al giorno, con conseguenze di inquinamento ambientale facilmente prevedibili.

Ma anche i progetti che riguardano la produzione di energia pulita non sono esenti da problemi, prime fra tutti le centrali idroelettriche. La Turchia attualmente dispone di 187 centrali idroelettriche, più 145 in fase di costruzione. Il Paese ha però sottoscritto oltre 1700 progetti per altre costruzioni dello stesso tipo, più altri 2000 progetti di micro centrali. L’alta concentrazione di piogge e il flusso abbondante dei corsi d’acqua della regione del Mar Nero, una delle aree dove la natura rigogliosa si è mantenuta – finora – intatta, hanno portato a riunire la maggior parte dei progetti sui fiumi presenti in questo territorio, in particolare nella zona orientale dove si trovano 700 progetti in fase di programmazione o edificazione. Il Mediterraneo occidentale è invece la seconda zona dove si concentrano gli altri progetti.

La corsa frenetica delle centrali idroelettriche

non sembra però aver tenuto in debito conto

l’acqua necessaria alla sopravvivenza

dell’ecosistema e alla popolazione.

La corsa frenetica alle centrali idroelettriche non sembra però aver tenuto in debito conto l’acqua necessaria alla sopravvivenza dell’ecosistema e alla popolazione. Secondo l’ingegnere meteorologico İsmail Küçük, il piano di costruzione delle centrali idroelettriche costituisce anche un modo per togliere di mezzo gli impedimenti per la privatizzazione dell’acqua. “L’energia prodotta da una centrale è direttamente legata alla quantità di acqua impegnata. Quando ci mancherà l’acqua di consumo e chiederemo di usare quella a disposizione della centrale, ci spetterà compensare l’energia sottratta pagando ogni bicchiere di acqua proveniente dal fiume”.

Gli attivisti fanno presente che i danni compiuti dalla costruzione delle centrali idroelettriche riguardano anche gli alberi da frutta, sradicati o sepolti durante gli scavi, i bacini fluviali che vengono utilizzati per scaricare i detriti, o ancora, le valli rovinate dal viavai dei camion. Per lottare contro la devastazione ambientale e il prosciugamento dei corsi d’acqua che stanno avvenendo sotto i suoi occhi, la popolazione ha messo in piedi diverse piattaforme, raccolte sotto il nome “La fratellanza (o sorellanza) dei torrenti” (Derelerin Kardeşliği Platformları) promuovendo fino ad oggi circa 60 processi per fermare le costruzioni delle centrali, molti dei quali hanno avuto un esito a loro favore.

In ultimo, anche il progetto di costruzione della prima centrale nucleare turca nella cittadina mediterranea di Akkuyu, in provincia di Mersin, stabilita da un accordo firmato tra la Turchia e la Russia lo scorso maggio e approvato dal parlamento di Ankara a luglio sta raccogliendo proteste da diversi mesi. Anche in questo caso, i primi a non volere la centrale, memori degli effetti dell’incidente di Chernobyl dopo il quale nella regione del Mar Nero si registrò un notevole aumento di casi di tumore, sono gli abitanti del luogo. Ma anche le camere degli ingegneri sottolineano come il progetto, che il governo ritiene un segno dello sviluppo industriale del Paese, andrà a creare una condizione di dipendenza energetica dalla Russia.

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