Profughi e sfollati in Serbia: storie di vita quotidiana
In questi giorni si sta tenendo in Serbia e Montenegro un censimento sugli sfollati interni, profughi e rifugiati presenti sul territorio. Siamo andati a vedere a Kraljevo come vivono le persone che da anni hanno abbandonato le proprie case
A dieci minuti di macchina da Kraljevo (città nella Serbia centrale) si trovano le terme di Mataruska (Mataruska Banja). All’ingresso delle terme, sul lato destro, sono affisse delle targhe che vi informano sulla possibilità di pernottare all’Hotel Zica, degli esclusivi appartamenti nella villa Maricic, ecc.
Il parcheggio è custodito. Gli hotel e le ville si trovano all’interno di un bellissimo parco. L’architettura di questi edifici mete in mostra come qualcuno si sia dedicato con attenzione affinché questo luogo di villeggiatura apparisse allettante. Oltre all’hotel avete a disposizione una biblioteca, una piscina, dei ristoranti, viottoli per le passeggiate, piccole botteghe coi souvenir e altri simboli dei tempi "normali".
Tuttavia, l’ultimo turista che ha fatto visita a queste terme risale all’inizio degli anni novanta. Proprio nel momento in cui la macchina dell’odio raggiunse la sua piena velocità e produsse migliaia di "rifugiati" e "sfollati interni". In effetti, questi sono solo eufemismi burocratici che servono per identificare quelle persone le cui case sono andate distrutte, che sono state allontanate e le cui vite sono state devastate senza ritorno. In quegli anni, durante i quali la Serbia cambiò la ragione a favore dell’"atteggiamento nazionale", questi hotel e ville raggiunsero la loro piena capacità. Tuttavia, negli hotel non dormivano i turisti. La capacità degli hotel fu riempita dalla gente della Croazia, della Bosnia e del Kosovo, cacciati verso la Serbia. Ognuno di loro ebbe una camera ad uso "temporaneo". I seguito la maggior parte della gente, con qualche miracolo o magia politica, trasformò quella "provvisorietà" in "durata". Le famiglie che nel 1993 raggiunsero "temporaneamente" la "vacanza offerta", continuano tuttora a vivere nella stessa stanza. Suona un po’ ironico il fatto che quella camera sia proprio all’Hotel Zica, perché quest’ultimo dovrebbe simbolizzare qualcosa di completamente diverso.
Lo Stato ha risolto la questione dei rifugiati (Croazia, Bosnia Erzegovina) e più tardi degli sfollati interni (Kosovo), con l’ausilio dei centri collettivi. Nelle scuole, negli hotel e nelle palestre, le famiglie sono state sistemate "temporaneamente". Per i primi due anni nel solo comune di Kraljevo sono esistiti 24 centri collettivi. Durante gli ultimi due anni ne sono stati eliminati 6, dove erano alloggiati i profughi. Questa tendenza a chiudere i centri per i profughi prosegue tuttora. Secondo le parole di Dragisa Dabetic, nuovo commissario per i rifugiati, fino a tre anni fa in Serbia esistevano 330 centri collettivi. Al dicembre 2004 ne sono rimasti 130! Dabetic afferma che: "i centri collettivi li tollereremo ancora per qualche tempo, ma è in progetto che tutti i profughi gradualmente li abbandonino. Nessuno, però, finirà sulla strada. Alcuni riceveranno degli appartamenti, altri i cosiddetti programmi ‘pick up’ , che consistono in una parte di compenso in denaro e una parte i vestiti".
Dal momento che la Serbia non ha denaro per la costruzione di appartamenti, i modelli di finanziamento di questi progetti si basano in prevalenza su donazioni e crediti (dalla Banca europea per lo sviluppo, dal governo e da quelle fondazioni che si occupano dei profughi). Dabetic sostiene che una delle prime donazioni per la costruzione degli appartamenti sia giunta dal governo italiano, pari ad una cifra di 15 milioni di euro. I 2/3 di questo denaro sono impiegati nella sistemazione negli appartamenti per i profughi e il restante 1/3 per i programmi di riqualificazione professionale.
Secondo il censimento del 2001, in Serbia vivevano 380.000 profughi. Il Commissariato nel frattempo ne ha cancellato da tale lista 100.000. Dragisa Dabetic ha annunciato una nuova registrazione dei profughi e la concessione di una nuova certificazione.
Abbiamo parlato con Ljilja Kraljevic, una "affittuaria temporanea" dell’Hotel Zica. La sua paura maggiore in questo momento è proprio la nuova registrazione di cui ha parlato Dabetic. La signora Kraljevic teme che se dovesse perdere la condizione di profuga potrebbe finire "sulla strada" con suo figlio, e aggiunge "io faccio le pulizia nelle case e tento di sopravvivere con mio figlio. Se mi togliessero la certificazione da profuga perderei la stanza in cui ho vissuto gli ultimi 11 anni. Dove vado? Non ho soldi per pagare l’affitto e loro vogliono chiudere questo centro!" Ci mostra la scheda che ha ricevuto dal Commissariato con la quale si invitano i profughi al nuovo censimento.
La sfiducia nelle istituzioni statali, la commistione di impotenza e ira sono i sentimenti dominanti di questa gente. Ljilja Kraljevic dice che tornerebbe volentieri in Croazia, ma sostiene di non averne possibilità: "Io vivevo in un villaggio in cui c’era il 5% di serbi. L’anno scorso vi è tornata una donna anziana e nell’arco di un mese è stata attaccata fisicamente due volte. È inumano! Credo che il governo della Serbia e quello della Croazia vorrebbero che noi semplicemente sparissimo".
In una situazione simile si trovano i Rom, che sono fuggiti dal Kosovo nel 1999. Sono stati sistemati in container di metallo vicino al centro sportivo di Kraljevo. A differenza dei "comfort" che offre l’Hotel Zica, i Rom vivono già da 5 anni in queste "prigioni umane". La politica ufficiale della Serbia consiste in un laboratorio burocratico che fa riferimento alla persone che sono fuggite dal Kosovo, ossia "sfollati interni". Pertanto, loro non sono "profughi", ma "sfollati interni" che hanno abbandonato le loro case temporaneamente e che in una situazione politica favorevole vi faranno ritorno. A questa versione ufficiale non crede nessuno tranne i burocrati che l’hanno prodotta. L’integrazione di queste persone è politicamente dannosa. Essa può inviare un segnale su come abbiamo "rinnegato il Kosovo". Questa gente ha senso che si tenga in un inumano "stand-by" così che si possa dimostrare che Belgrado continua ancora ad occuparsi del Kosovo.
Mentre qualcuno a Belgrado "pensa seriamente", questa gente cerca di riscaldarsi le mani ad una temperatura che in inverno scende a 10 gradi sotto zero! Mentre qualcuno a Belgrado pensa seriamente, tutti i processi per una soluzione sistematica dei problemi e dell’integrazione degli "sfollati interni" sono bloccati. Mentre qualcuno a Washington, Bruxelles e Prstina pensa, tutti i processi di rientro sono bloccati. E gli "sfollati interni" oscillano in un luogo di mezzo lottando per il minimo di dignità umana e la nuda esistenza.
Questa gente, la cui agonia è iniziata da tempo, cerca di non cadere in un processo a metà tra la burocrazia e l’alta politica. Là dove sono nati non possono farvi ritorno. E nei luoghi in cui vivono oggi nessuno li vuole. "Hotel Zica", "Villa Maricic", "Casa della cultura Ribnica" in un modo piuttosto brutale simbolizzano il rapporto cinico che i politici hanno verso questa gente. Temo che dalle sale dei politici ben sicure e pervase dal profumo di lavanda non si abbia una visione ottimale dei centri collettivi e delle fosse comuni, come unico risultato durevole della loro politica.
(I dati presenti in questo articolo sono basati sulla ricerca dell’ADL della Serbia centrale e meridionale pubblicata nel dicembre 2004)
Vai al dossier: Rifugiati e sfollati, troppo facile dimenticarli
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