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Politici della transizione, figli della televisione

Televisione, politica, cultura. Il mezzo televisivo è stato e continua ad essere, nel bene e nel male, un protagonista della transizione in Bulgaria e nei Balcani contribuendo a definire, e a volte a creare, i fenomeni che l’hanno segnata. Ce ne parla l’esperto di media Georgi Lozanov

10/08/2007, Francesco Martino - Sofia

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Georgi Lozanov, esperto di media ed informazione, è uno degli intellettuali bulgari più autorevoli. Ha fatto parte del Consiglio nazionale per la radio e la televisione e del Consiglio per i media elettronici. Docente nella facoltà di giornalismo dell’Università di Sofia e nella Nuova Università Bulgara, è il presidente della Balgarska Mediina Koalicija(BMK).

Nelle società moderne, i media vengono considerati il più importante strumento di controllo sui poteri costituiti. Più volte, però, lei ha affermato che, in Bulgaria, i media non rappresentano un vero "quarto potere". Perché?

Innanzitutto bisogna spiegare cosa intendo per "quarto potere". Il potere dei media è diverso da quelli costituiti, perché è, per così dire, il potere dell’ "utente finale", sia esso lettore, ascoltatore o spettatore. Questo utente utilizza il canale aperto dai media per controllare e bilanciare l’operato dei poteri costituiti, e quindi il "quarto potere" appartiene all’individuo, piuttosto che ai media. Detto questo, il problema in Bulgaria nasce dal tipo di élite nata con la transizione, che è piccola, compromessa e monolitica, e negli stretti rapporti che si sono creati tra i rappresentati di questa élite nelle sfere della politica, del business e dei media. Questa intimità è pericolosa soprattutto per questi ultimi, che tendono a somigliare sempre più al potere costituito piuttosto che rappresentare una forma di controllo civile.

Ma come è cambiato nel corso degli anni della transizione il rapporto tra classe politica e mondo dei media?

I media hanno creato questa classe politica. Con il crollo del regime, un’intera élite è stata messa da parte.Trovarne una nuova così, su due piedi, non era però affatto un’operazione semplice. La selezione dei nuovi leader è avvenuta allora attraverso un fenomeno di "auto-acclamazione" e "auto-definizione", con cui i nuovi politici hanno potuto posizionarsi nello spettro politico del nuovo corso. Per avere legittimità, però, questo doveva avvenire davanti ad un vasto pubblico, che solo i media erano in gradi di fornire. La nuova classe dirigente è nata quindi attraverso un processo di "simulazione" sui mezzi di informazione: prima ne è apparso il volto mediatico, e solo inseguito i suoi protagonisti si sono materializzati nel mondo "reale". Questo, soprattutto nei primi anni della transizione, ha portato a una forte dipendenza dei politici dai media, e allo stesso tempo ad una forte pressione per il loro controllo.

Ma oggi le cose sono cambiate? Oppure i media continuano a costruire la classe politica, come sembra il caso del sindaco di Sofia e leader di GERB Boyko Borisov?

Ci sono stati importanti cambiamenti. Oggi la pressione sui media non è più solo politica, ma passa attraverso rapporti corporativi molto più complessi, è diventata soprattutto economica. Questo naturalmente, non significa che le cose siano diventate più semplici. Riguardo a Borisov, credo che si tratti di un tipico caso di personaggio politico creato attraverso un forte apparato mediatico, anzi, forse è in assoluto il caso più chiaro e visibile di questo fenomeno. Al tempo stesso, però, credo che si tratti dell’ultimo leader politico a sorgere attraverso la modalità della "simulazione" sui media.

Come è cambiato, invece, il rapporto del pubblico con i media, e soprattutto con la televisione?

La televisione, e questo è un fenomeno generale, entra sempre più profondamente nel campo dell’intrattenimento. In una società in transizione come la nostra, i processi civili e politici rimangono al centro dell’interesse del pubblico, ma vengono seguiti sempre di più attraverso la televisione, che li trasforma in show, sottolineandone gli aspetti sensazionalistici. E’ interessante notare che, in Bulgaria, i dibattiti politici si tengono solitamente all’interno dei programmi della fascia mattutina, tradizionalmente dedicata all’intrattenimento leggero. Il contenitore condiziona anche il contenuto, e la politica, quindi, viene ridefinita in termini di intrattenimento e minore impegno.

Che cosa ha lasciato in eredità la vecchia televisione di regime al nuovo servizio pubblico?

Nulla, se non forse gli stereotipi e il modo di pensare. Tutto il resto è cambiato, basti pensare che da un mondo il cui il canale pubblico era "la" televisione, e godeva di monopolio assoluto, siamo passati ad una situazione in cui la tv pubblica non è leader e, appesantita da una struttura ormai vecchia e sovfadimensionata, non riesce a rispondere alle sfide della concorrenza privata.

Tra gli obiettivi della Balgarska Mediina Koalicija (BMK), rete di organizzazioni non governative che si occupano di mezzi di comunicazione, di cui lei è presidente, c’è quello di una piena armonizzazione della legislazione bulgara sui media con gli standard europei. Questo obiettivo è stato raggiunto?

Questa priorità è venuta a decadere automaticamente con l’ingresso del paese nell’Unione Europea. D’altronde, il capitolo "Politica e Cultura audiovisiva" è stato chiuso da molto tempo. Altra questione, naturalmente, è capire quanto questa armonizzazione sia effettiva sul campo, visto che in Bulgaria si fanno buone leggi, ma poi non si rispettano. Un altro problema viene poi dal fatto che le nuove regole approvate per creare tale armonizzazione sono nate vecchie, visto che non prendono in considerazione innovazioni tecnologiche fondamentali quale la digitalizzazione dei media e dell’informazione.

La televisione viene in gran parte controllata dalla pubblicità. E’ libero il mercato della pubblicità, in Bulgaria?

In Bulgaria non esiste una legge anti-trust, e quindi il mercato non è veramente libero, visto che l’attuale legislazione consente il nascere di posizioni monopolistiche. Oggi esiste un monopolio, le cui origini vanno fatte risalire ai cambiamenti impetuosi che hanno sconvolto la società nel primo periodo della transizione. Un’altra grave limitazione è data dal fatto che in Bulgaria i molti media esistenti possono contare su un mercato pubblicitario ancora poco sviluppato. Questo significa che nessuno vuole perdere i propri inserzionisti, e raramente un media pubblicherà informazioni che possano danneggiare chi lo finanzia con la pubblicità. Ci sono gruppi economici potenti che si reclamizzano su quasi tutti i media, costruendosi così una "quasi-immunità" da ogni tipo di critica.

In Bulgaria si assiste ad un forte rinascere di tendenze nazionaliste. Che ruolo gioca la televisione in questa dinamica?

Il fenomeno della rinascita del nazionalismo è forte. Naturalmente questo nazionalismo non è che una forma, la peggiore, di populismo, che consiste nel dire al pubblico quello che già si aspetta di ascoltare e trova terreno fertile là dove mancano idee politiche. In Bulgaria abbiamo assistito a un paradosso, forse in parte vicino al caso italiano, in cui un canale televisivo, "Skat Tv", ha dato vita ad un movimento politico nazionalista, quello di Ataka.

Ma questa modalità di creazione mediatica di forze politiche può divenire un modello o è destinata a rimanere un esempio isolato?

Quello che è successo con Ataka è, secondo me, un modello che guarda al passato. La televisione, oggi, entrando a contatto con internet, si sta liberalizzando tecnologicamente, e smette gradualmente di essere un media che parla ad un pubblico massificato. Credo quindi che, con la scomparsa della "massa", e con la specializzazione sempre maggiore del mezzo, la televisione cesserà di avere le potenzialità per forgiare movimenti politici.

In Bulgaria esiste una televisione etnica rom, "Roma Tv", con sede a Vidin, nella regione nord-occidentale del paese. Media di questo tipo possono contribuire all’integrazione delle comunità di minoranza, o si corre il rischio che possano diventare un nuovo "ghetto mediatico"?

Non c’è una risposta univoca a questa domanda. Le comunità di minoranza, e soprattutto quella rom, sono molto emarginate dal punto di vista mediatico, e quindi qualsiasi tipo di "integrazione televisiva", anche basata solo sull’ intrattenimento, rappresenta un fenomeno positivo. L’uomo moderno non vive solo nel mondo degli oggetti e delle cose, ma anche in quello delle parole e delle immagini. Chi vive solo in quello degli oggetti è uno schiavo, e dare spazio ad una comunità nel mondo mediatico significa aiutarla a modernizzarsi. L’esistenza di questa tv, che di fatto è rivolta ad un quartiere rom, è dunque in sé positiva, ma rischia di diventare un fenomeno negativo nel momento in cui diviene l’intero mondo mediatico di riferimento di questa comunità, mentre gli altri media non riescono a trovare canali comunicativi che possano giungere fino a lei. Alla fine potrebbe ripetersi il fallimento rappresentato dall’introduzione delle notizie in turco sulla tv nazionale, gesto liberale che, purtroppo, ha una ricaduta comunicativa pressoché nulla.

Tv e Balcani. Nell’area esistono alcune emittenti regionali, come "Balkanika Tv" e "Pink Tv" che si occupano prevalentemente di musica e intrattenimento. Esiste la possibilità di creare emittenti regionali che possano trattare di temi diversi, come politica e cultura?

Ho personalmente preso parte ad un progetto per la creazione di un canale culturale balcanico, sponsorizzato allora dall’Open Society Institute, che però non è andato in porto. I motivi sono innanzitutto di natura ideologica: la storia ha creato tra i popoli balcanici divisioni profonde, e gli avvenimenti passati sono constante fonte di polemica e scontro. C’è poi, a livello clturale, una forte ignoranza reciproca, e il mezzo televisivo non si presta ad una visione "difficile", in cui bisogna spiegare continuamente a chi guarda di cosa si sta parlando. L’altro aspetto problematico è la mancanza di un mercato comune nei Balcani, e quindi di inserzionisti interessati a farsi pubblicità su un tale media. Si potrebbe in qualche modo aggirare il problema coinvolgendo aziende multinazionali, come la Coca-Cola, per capirci, ma a qual punto più che di "televisione balcanica", bisognerebbe parlare di una mera televisione "nei Balcani", fatta con mezzi che provengono fuori dall’area.

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