Tipologia: Intervista

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Area: Romania

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Orban, sfide per l’Europa

Tra il 2007 e il 2010 Leonard Orban è stato il primo Commissario europeo della Romania (al multilinguismo). OBC lo ha incontrato per discutere sul presente del progetto europeo e sulle sfide future: immigrazione, pregiudizi, identità, allargamento

29/07/2010, Nikolai Yotov - Bucarest

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Signor Orban, cosa ha imparato dalla sua esperienza come Commissario europeo?

Ci vorrebbero probabilmente giorni per raccontare tutto della mia esperienza. Diversamente da quanto si crede, il portafoglio a me affidato, quello del multilinguismo, è davvero notevole. Riguarda problematiche vicine al tema dell’identità, che mi hanno aiutato ad imparare molto sull’attuale situazione in tutti gli stati membri. Questa esperienza mi ha dato una visione d’insieme, non limitata al livello dell’Unione europea, ma molto più ampia, permettendomi di identificare problemi, sfide e soluzioni su un piano globale.

Come definirebbe l’Unione europea oggi? Cosa punta a diventare l’Ue nel futuro?

Sarebbe difficile definire cos’è l’Unione europea così, su due piedi, o affermare cosa potrà diventare. Ma c’è una chiara tendenza: quella del trasferimento di competenze dal livello nazionale a quello comunitario. Si prenda per esempio il processo di coordinamento delle politiche economiche. Per la prima volta si è deciso che gli stati membri possano delineare i propri conti pubblici in coordinazione con le istituzioni dell’Ue. Ci sono paesi che si oppongono a questo graduale processo, tuttavia in un mondo in cui il ruolo dell’Ue come attore globale è in pericolo, secondo me, questa resta l’unica soluzione. Il concetto di stato-nazione, formatosi nel XIX° secolo, oggi non è più attuale.

Il processo di allargamento dell’Ue negli ultimi anni ha rallentato. Crede che possa essere rivitalizzato?

L’Ue si sta abituando all’idea di un ulteriore allargamento, ma è un processo che durerà molti anni. Si guardi alla Turchia, per esempio. Persiste l’idea che questo paese debba avere un rapporto privilegiato con l’Ue, ma che non debba essere accettato nell’Unione come membro a pieno titolo. Io sono a favore della completa integrazione della Turchia. Questo perché per l’Ue Ankara è di vitale importanza: non tanto nel presente, quanto nel lungo periodo. Se si pensa che l’Unione avrà in futuro non poche difficoltà a mantenere la sua posizione di attore influente sul piano internazionale, l’inclusione della Turchia non può che portare a grandi benefici. Ci sono varie argomentazioni a favore della sua integrazione: ha un’economia dinamica e può dare un contributo a diverse sfide che sono di fronte all’Ue, come la produzione di energia sicura e il dialogo con gli stati che confinano con la stessa Turchia (Siria, Iran, Iraq, Caucaso).

Qual è la sua opinione riguardo le relazioni tra l’Ue da una parte e i Balcani occidentali e il Caucaso dall’altra?

Per quanto riguarda i Balcani occidentali, la situazione è chiara: ci sono paesi come la Croazia, che sono ad uno stadio avanzato dei negoziati per l’integrazione, e nutrono speranze di concluderli a breve. La Croazia potrebbe aderire realisticamente nel 2012 o 2013. Ci son altri paesi come la Macedonia, che non sono ancora pronti; stati in grande difficoltà come la Bosnia Erzegovina, ma tutto sommato c’è la chiara prospettiva di un’integrazione dell’intera regione. Per quanto riguarda il Caucaso, i paesi di quest’area mancano della stessa prospettiva, ma attraverso gli strumenti della Politica di vicinato, l’Ue tesse con quest’ultimi relazioni speciali. Gli stessi che l’Unione coltiva con stati quali l’Ucraina e la Moldavia.

Nonostante i processi politici in atto, l’Europa rimane terreno fertile per molti pregiudizi. Non solo tra le popolazioni degli stati membri, ma anche, e specialmente, verso quelle di paesi ancora fuori dell’Unione, che stanno tentando faticosamente di entrarvi.

Se diamo un’occhiata alla cartina dell’Europa, vediamo che il numero dei paesi non ancora membri si sta riducendo. E’ una questione di tempo, un giorno la mappa dell’Ue coinciderà con quella dell’Europa. Certo, ci sono ancora pregiudizi, è normale: se si guarda l’Unione dall’interno, si notano forti divergenze in mentalità e atteggiamenti, anche tra i vecchi stati membri. Le decisioni politiche, però, non sono basate in alcun modo su pregiudizi.

L’immigrazione sta cambiano rapidamente l’aspetto dell’Unione Europea. Cosa pensa dell’attuale situazione delle comunità di migranti oggi presenti nell’Ue, e soprattutto di quelle che provengono dal suo esterno?

Molte delle comunità di migranti nell’Unione sono formate da cittadini dell’Ue e godono di pieni diritti previsti dalla sua legislazione. Comunque, rimane da vedere quanto gli stati europei siano in grado di gestire l’integrazione delle crescenti masse di migranti provenienti da fuori l’Ue e da paesi di altri continenti. Credo ci siano difficoltà, non è un processo semplice e noi, in questo senso, abbiamo meno esperienza rispetto agli Stati Uniti d’America. Dobbiamo però trovare la strada per accelerare il processo. Questo perché la popolazione europea sta diminuendo e invecchiando velocemente. Sono molte le ragioni per cui abbiamo bisogno di chi viene in Europa da altre regioni del mondo.

Lei crede che la compattezza, l’omogeneità degli stati membri dell’Ue possano essere in qualche modo minacciate dalla crescita della popolazione non europea?

Un ambiente multiculturale è la nuova concreta realtà, più visibile nei vecchi stati membri che in quelli nuovi. Una realtà che richiede un numero di soluzioni specifiche, di azioni, specialmente nel settore educativo e in quello dei i diritti di cui i migranti sono portatori. Quindi non si tratta di una di minaccia o del rischio per la solidità di questi stati, ma di una sfida da vincere.

Durante il suo mandato di commissario, lei ha visitato innumerevoli comunità di migranti in tutta Europa. Quale direbbe che sia il loro stato d’animo, il loro spirito?Aderiscono alle “regole del gioco” dell’Ue?

E’ impossibile generalizzare e creare un’immagine unica di queste comunità, le loro realtà sono semplicemente troppo diverse. Ci sono state situazioni in cui ho ascoltato lamentele sui sussidi ricevuti dal governo nazionale del paese di residenza. Altri invece sostenevano che lo stato in cui vivono non fa abbastanza per preservare la loro identità nazionale e per difendere la loro diversità linguistica e culturale. Ma in generale direi che la maggior parte accetta quelle che lei ha definito le "regole del gioco”.

Lei ritiene che, a lungo andare, i rappresentanti di queste comunità possano giocare un ruolo fondamentale nel definire e forse anche rinnovare l’idea d’Europa?

Stanno già svolgendo un ruolo sempre più importante, anche perché il loro numero nelle società europee è in rapido aumento. Ricordo di essere stato ad una scuola a Vienna. Più del 40% degli studenti proviene da altri paesi . Sono rimasto impressionato dalla straordinaria mescolanza di diverse nazionalità, di ragazzi provenienti dall’India, Pakistan, dalla Cina e da altri stati europei. Credo sia un ottimo esempio del processo di integrazione, di come comunità diverse diventino parte di questa costruzione, del progetto europeo a cui tutti stiamo lavorando. Certamente, ci sono una serie di fattori determinanti: il livello di soddisfazione nell’Ue, il livello di integrazione nelle diverse società, gli standard di vita, il modo con cui queste società interagiscono con i nuovi arrivati.

Cosa si può fare riguardo al grado di insoddisfazione verso il modo in cui l’Unione europea funziona, in crescita soprattutto tra i vecchi membri, tradizionali pilastri dell’Ue?

C’è un certo livello di insoddisfazione su come stanno andando le cose. La crisi economica, per esempio, ha segnato l’Europa a partire dal 2008, colpendo molte persone. E’ ovvio che in tempi di crisi la percezione del progetto europeo sia meno favorevole, e ci sono altri elementi che contribuiscono a questa insoddisfazione. Ma la costruzione europea è un processo senza alternativa. Ritornare alla situazione precedente alla Seconda guerra mondiale, o immediatamente dopo di essa, non è una soluzione per nessuno. Certo, si dice che c’è troppa burocrazia; che Bruxelles centralizza il potere, ma la verità è che non abbiamo alternative a quello a cui stiamo lavorando adesso. Le soluzioni? Dobbiamo spiegare più chiaramente cosa sta accadendo. Dobbiamo spiegare che nonostante le critiche, l’Ue non è caduta a pezzi, e così nemmeno il suo mercato comune. Durante la crisi abbiamo assistito a spinte verso nuove forme di protezionismo, ma sono fallite, qualcosa di cui dovremo essere felici. Per di più, ci sono valori fondamentali, conquiste che la gente non considera più come eccezionali, ma già dà per scontati: libertà di movimento, la libertà di lavoro all’interno dell’Ue e così via. Dobbiamo spiegare ai cittadini sia i vantaggi che le difficoltà, e ribadire che al perfezionamento della costruzione europea non abbiamo alternative.

Pensa che il progetto europeo necessiti oggi di ripartire da zero?

No, quello di cui l’Ue ha bisogno è il consolidamento. Questo è raggiungibile attraverso il rafforzamento del concetto di Comunità: gli stati membri devono accettare l’approfondirsi del processo di trasferimento di determinate competenze nazionali al piano dell’Unione europea.

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