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Obiezione di coscienza in Serbia

Con un decreto del 2003 anche la Serbia ha fornito un quadro giuridico all’obiezione di coscienza. In poco più di un anno il numero degli obiettori è aumentato notevolmente, ora servirebbe una legge per consolidare il servizio civile

18/04/2005, Ilija Petronijević - Kraljevo

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Durante gli anni novanta, quando nei Balcani l’unica piattaforma politica era l’odio e il dialogo verteva sullo scambio dei morti e dei prigionieri, al tempo i cui la militanza veniva considerata come una virtù e la violenza come un metodo legittimo di "soluzione delle questioni statali", parlare di metodi non violenti di soluzione dei conflitti e di obiezione di coscienza equivaleva a "tradire lo stato".

Durante le manifestazioni contro la guerra, la frase più frequentemente ripetuta: "le guerre finiranno quando la gente si rifiuterà di combattere", era considerata una propaganda dei nemici che portava alla diminuzione della "preparazione bellica" della popolazione.

In quel contesto l’idea dell’obiezione di coscienza sembrava irrealizzabile. A dieci anni dalla fine della guerra la situazione appare differente. Ciò che un tempo appariva come un’alternativa sociale relegata ai margini, oggi si è trasformata in una condotta sociale diffusa, dietro la quale si trovano il ministro della difesa, l’Esercito della Serbia e Montenegro, il presidente della Serbia, il premier, ecc. Si può tranquillamente dire che è stato raggiunto un consenso sociale sul diritto all’obiezione di coscienza. Dal tempo degli incontri nei locali della ONG Donne in nero all’inizio degli anni novanta, l’idea dell’obiezione di coscienza oggi è diventata una prassi generalmente accettata.

Il decreto entrato in vigore il 26 agosto 2003 ha conferito un quadro giuridico alla obiezione di coscienza. L’articolo 10 del decreto sull’assolvimento del servizio militare, comma 2, afferma: "Il settore militare competente ha l’obbligo assieme alla chiamata alla leva di fornire alla recluta anche le informazioni sul diritto dei cittadini all’obiezione di coscienza e le direttive legislative per il suo svolgimento".

Che si tratti di un reale passo avanti è d’accordo pure Petar Milicevic, direttore dell’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (Belgrado). Tuttavia, egli vede nel decreto soprannominato anche un potenziale problema: "ciò che non va bene del decreto è che può essere modificato facilmente". Secondo le parole di Milicevic alla Serbia e Montenegro è necessaria una nuova legge e non un decreto.

La legge sarebbe di sicuro più resistente ai cambiamenti che si affacciano con le necessità quotidiane dell’esercito o della politica. Il timore di Milicevic è giustificato dal fatto che dopo il decreto dell’agosto 2003, sono state introdotte delle modifiche che peggiorarono la posizione degli obiettori di coscienza.

Secondo Petar Milicevic, i cambiamenti si riferiscono alla "riduzione dei termini per il ricorso. Sul ricorso adesso decide il Comando del settore militare e non le istituzioni civili. Inoltre, è problematico perché le modifiche del decreto sono state introdotte senza un dibattito pubblico". L’esercito della Serbia e Montenegro (SM) ha introdotto le recenti modifiche al decreto con la diminuzione del numero dei militari di leva e della capacità bellica.

Le modifiche apportate al decreto non sono per niente in accordo con la politica ufficiale e con i documenti che il premier Vojislav Kostunica ha firmato quando la Serbia e Montenegro è entrata a far parte del Consiglio d’Europa (3 aprile 2003). A quel tempo fu stabilito che a partire da tre anni dopo l’accoglienza nel Consiglio d’Europa, la SM avrebbe dovuto adottare la legge sull’alternativa al servizio militare in accordo con le vigenti risoluzioni del Consiglio d’Europa. L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, già nel 1967, aveva emanato la Risoluzione n. 337 che si basa sul diritto universale delle persone che rifiutano l’obbligo di leva per motivi religiosi, convinzioni personali, ecc.

Inoltre, uno dei problemi maggiori è visto da Milicevic nella "scarsa informazione delle reclute". Con l’intento di rendere un migliore servizio informativo l’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza ha aperto un Info call center, presso il quale tutti gli interessati possono ricevere le informazioni necessarie sul decreto relativo al servizio militare e sulla più aggiornata prassi da seguire per l’obiezione di coscienza.

I dati più recenti (28 marzo 2005) mostrano che oggi in Serbia esistono 20.722 obiettori di coscienza. Di questo numero, 11.477 sono le richiesta che in questo momento stanno per essere vagliate, mentre 9.255 obiettori sono già dislocati in numerose "strutture sanitarie e di soccorso e nei centri per la riabilitazione degli invalidi".

Drasko Vranes, studente di Diritto all’Università di Kragujevac, era sufficientemente informato sui suoi diritti e ha inoltrato la richiesta per l’obiezione di coscienza. Dopo aver compilato il formulario sui motivi dell’obiezione, ha dovuto spiegare, di fronte ad una commissione militare, i suoi motivi filosofici per la scelta del servizio civile.

"La commissione ha reagito positivamente alla mia richiesta. Mi hanno assegnato al Centro per i disabili di Kragujevac, dove ci sono altri 25 obiettori. Tutti hanno una gran voglia di aiutare questo centro a funzionare meglio", ha detto Drasko Vranes.

La domanda che avanza Petar Milicevic è la seguente: "Cosa accadrà alle persone che vengono aiutate dagli obiettori, il giorno in cui l’esercito sarà professionalizzato e quando non ci sarà più l’obbligo di leva? Come continueranno a funzionare tutti questi centri, che nel frattempo saranno divenuti dipendenti dall’aiuto degli obiettori?".

Milicevic suggerisce di sviluppare un determinato modello basato sul volontariato e sull’attivismo civile. È necessario che si promuovano questi valori così che nel momento in cui sarà decaduto l’obbligo di leva, questi istituti potranno funzionare senza gravi sconvolgimenti.

Mediante un’analisi comparativa giungiamo alla seguente conclusione, escludendo la Slovenia che ha eliminato l’obbligo di leva, delle ex repubbliche jugoslave la Croazia ha l’esperienza più positiva. Su un totale di 20.000 giovani in età di leva, circa 10.000 sono obiettori di coscienza. In Bosnia Erzegovina esistono 2.500 giovani in età di leva che hanno inoltrato la richiesta per il servizio civile. Di questo numero solo 400 è stato destinato a qualche istituzione civile. In Serbia la situazione si sviluppa verso una direzione molto positiva. Gettando uno sguardo alle statistiche si evince che il numero degli obiettori aumenta ogni mese di circa 1000 richieste. Il 22 dicembre 2003 in Serbia e Montenegro c’erano 250 obiettori di coscienza. Un anno e 3 mesi più tardi (28 marzo 2005), 9.255 obiettori sono stati assegnati alle istituzioni civili. Questo trend cresce e sicuramente continuerà a farlo se prendiamo in considerazione il fatto che la durata del servizio (9 mesi sotto le armi e 13 per quello civile) continuerà a diminuire e di pari passo aumenterà l’informazione dei giovani in età di leva sulla possibilità di svolgere il servizio civile.

Tuttavia, oltre a queste questioni legali che rendono l’obiezione possibile, la domanda di fondo di Petar Milicevic riguardante il concetto generale della difesa rimane ancora senza risposta. La Serbia e Montenegro deciderà di fondare il concetto della difesa nazionale sull’ammassamento delle truppe o sceglierà un concetto umano di difesa che ha come fondamento "il senso di sicurezza che può avere un individuo"?

Petar Milicevic sostiene che "aumentare la sicurezza dell’individuo non può essere risolto danneggiando la sicurezza di un altro individuo! Ma aumentando il senso di sicurezza individuale". Proprio in ciò risiede il dilemma. La Serbia e Montenegro deciderà a favore di una strategia pacifica oppure continuerà a rimanere sotto il potere di una forte tradizione militarista?

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