Nord del Kosovo, un anno dall’accordo di Bruxelles
Celebrazioni sottotono del primo anniversario dell’Accordo di Bruxelles che sottoscritto da Belgrado e Pristina un anno fa. Tuttavia quanto accaduto a Bruxelles un anno fa non è affatto insignificante. Il punto di vista dei serbi del nord del Kosovo alla vigilia delle elezioni politiche di domenica 8 giugno
L’Accordo di Bruxelles ha celebrato il suo primo “compleanno” così come era nato: con poca visibilità e con molti aspetti che rimangono oscuri. Poche le parole che un anno fa i sottoscrittori avevano usato per spiegare l’accordo all’opinione pubblica, altrettanto poche ne sono state usate al suo primo anniversario.
Non ne ha spese molte il governo di Belgrado per ricordare il primo anno della sua (indesiderata) creatura. Né ha criticato, né ha lodato gli accordi sottoscritti nel maggio 2013 a Bruxelles assieme alla controparte kosovara, che in molti a livello internazionale si erano affrettati a definire storici. I media in Serbia si sono limitati a riportare la cronologia degli eventi che hanno preceduto la firma dell’accordo e di quelli che ne sono seguiti. Nemmeno Pristina ha speso troppe parole per festeggiare l’anniversario, tanto che un semplice osservatore potrebbe concludere che si tratti in realtà di un documento di poca o nulla importanza.
Eppure è rilevante
Tuttavia, per il suo peso e contenuto, quanto accaduto a Bruxelles un anno fa non è affatto insignificante. I primi testimoni dell’importanza dell’intesa sono proprio coloro a causa dei quali è stato adottato: i serbi del nord del Kosovo. La situazione politica nel nord del Kosovo può essere infatti ora a ragione divisa in “prima e dopo Bruxelles”. Nonostante la popolazione del nord continui a comportarsi come se tutto fosse rimasto uguale, in privato si afferma: “La Serbia ci ha venduto per niente, avessero almeno negoziato qualcosa…”
Tra pochi giorni sarà esattamente un anno da quando è stato chiuso l’Ufficio del ministero degli Interni (MUP) della Serbia a Leposavić, comune a maggioranza serba nel nord del Kosovo dove negli ultimi 14 anni si sono riuniti i funzionari di quel ministero e dove svolgevano la loro consueta attività amministrativa. Saranno poi sei mesi da quando i primi poliziotti serbi, circa 300, hanno indossato l’uniforme kosovara, dopo essere stati pre-pensionati dal governo serbo. I cittadini si stanno ormai abituando a vederli indossare quell’uniforme. "Prima di Bruxelles" non avrebbero mai potuto immaginare potesse accadere.
A breve sarà anche trascorso un anno da quando Serbia e Kosovo si sono scambiati ufficiali di collegamento, che rappresentano i propri paesi presso la missione UE a Belgrado e Pristina. Belgrado ha inviato Dejan Pavičević a Pristina e Pristina ha inviato Valdet Sadiku, già ambasciatore del Kosovo in Croazia, a Belgrado. Né l’uno né l’altro finora si sono fatti vedere in pubblico, né si sono resi disponibili ai media.
La giustizia ed altri accordi
Negli anni scorsi il tribunale di Mitrovica nord è stato motivo di molte proteste della comunità serba che lo voleva mantenere sotto il proprio controllo. Sinora di fatto la giustizia kosovara non ha avuto significativa influenza nel nord del Kosovo.
L’accordo di Bruxelles prevede però che le cose debbano presto cambiare e che il tribunale venga integrato nel sistema giudiziario del Kosovo e che si “rafforzi” con un terzo di giudici albanesi e tre nuovi territori a maggioranza albanese sui quali estendere la propria giurisdizione. Il presidente del tribunale dovrebbe rimanere un rappresentante della comunità serba, mentre il capo-procuratore dovrà essere albanese. Il tribunale avrà due sedi, una a Mitrovica nord e una a Mitrovica sud. A Mitrovica nord si svolgeranno i processi penali, mentre le cause civili si terranno a Mitrovica sud. Il tribunale a nord sarà anche sede della Corte d’appello.
Belgrado ha cercato di presentare tutto questo come un proprio successo, per il fatto che a suo avviso la comunità serba manterrà una rappresentanza di maggioranza in seno al tribunale. Ma per i cittadini del nord tutto ciò significa solo che “i giudici e procuratori albanesi stanno arrivando al nord.”
Intanto è già entrato in vigore l’accordo sul sistema doganale integrato. Sono stati siglati accordi anche per il prefisso telefonico del Kosovo, che potrà usare il suo nuovo numero telefonico internazionale dal 2015. Si sta poi discutendo di istruzione e del settore energetico, ma i termini dei negoziati su questi temi sono quasi del tutto sconosciuti all’opinione pubblica.
Il piano locale
Come previsto dall’accordo di Bruxelles, nell’autunno 2013 i serbi del nord del Kosovo hanno partecipato a quelle che sono state definite elezioni locali “costituzionalmente neutrali”, organizzate dalla Repubblica del Kosovo. L’affluenza è stata bassa, 20%, e vi sono stati incidenti di vario tipo. Nella sola Mitrovica urne distrutte, un candidato sindaco assassinato, l’arresto di un altro candidato da parte delle autorità kosovare per crimini di guerra, le dimissioni poi del sindaco regolarmente eletto… ma tutto questo poco importa ormai. E’ un fatto che le elezioni locali hanno aperto la porta all’applicazione dell’Accordo di Bruxelles nel Kosovo del nord.
L’ormai quindicinale assetto territoriale con il nord del Kosovo composto da quattro comuni a forte maggioranza serba – Mitrovica nord, Zvečan, Zubin Potok e Leposavić – dal punto di vista serbo non vale infatti più. Attraverso la nuova organizzazione della giustizia, che fa del tribunale di Mitrovica l’organo territorialmente responsabile dei citati comuni a maggioranza serba, ma anche di Mitrovica sud, Vushtrri/ Vučitrn e Skenderaj/Srbica (comuni a larga maggioranza albanese), si rompe per la prima volta l’isolamento dei comuni serbi, creando a livello amministrativo una regione con una composizione etnica composta per due terzi da albanesi.
Inoltre con le stesse modalità usate per l’accordo di Bruxelles – in segreto e lontano dal pubblico – è tutta la primavera che i comuni del nord stanno accordando i propri statuti comunali con il ministero kosovaro per l’Autogestione locale. Ed agli intenti troppo ambiziosi di menzionare la Repubblica di Serbia in vari documenti, così come di inserire adottare simboli serbi, si sta progressivamente rinunciando.
La parte più delicata dell’intero processo in atto riguarda la Comunità dei comuni serbi (ZSO), prevista dagli Accordi. Per i serbi potrebbe essere l’“ancora di salvezza” nel caso ottenesse poteri esecutivi, per gli albanesi la più grossa minaccia se dovesse godere proprio di tali poteri. Ne è ancora in discussione anche il nome.
Gli albanesi kosovari, con forte sostegno dei partner internazionali, fanno di tutto per evitare il nome “Associazione”, che sottintende una struttura più forte e maggiore grado di autogestione, e invece vogliono che sia definita “Comunità”, volendole attribuire un mero compito di coordinamento. Al momento, l’ambiguità viene rafforzata dal fatto che in lingua serba entrambe le parole vengono tradotte come “Zajednica” (comunità).
Nella versione proposta negli statuti dei comuni a maggioranza serba, era stato scritto che i comuni hanno il diritto di spostare le proprie competenze sulla ZSO, creando così una struttura "sovra-comunale" con importanti funzioni di amministrazione. In una versione poi rivista vi è invece scritto che i comuni hanno il diritto di “collaborare con altri comuni nello svolgimento delle proprie competenze all’interno della ZSO”: sembrerebbe lo scenario della "Comunità" preferito da Pristina.
Il governo del Kosovo sostiene che, nel caso in cui la Comunità godesse di poteri esecutivi, la costituzione kosovara va emendata, opzione rigettata sia da Pristina che dai partner internazionali del Kosovo. Al tempo stesso però – fanno notare da parte serba – il Kosovo e i suoi sponsor non si fanno remore a chiedere a Belgrado di cambiare la propria di carta costituzionale, sacrificando il passaggio in cui Kosovo viene definito parte integrante della Repubblica di Serbia.
Si va a votare?
Il nord del Kosovo si sta preparando alle imminenti (domenica 8 giugno) elezioni parlamentari organizzate dalla Repubblica del Kosovo. Come accaduto per le amministrative dello scorso autunno anche in questo caso è stata presentata una lista denominata “Srpska”, sostenuta da governo serbo. Per la prima volta però sulla stessa lista si trovano esponenti politici delle due anime della comunità serba del Kosovo: i “patrioti” del Kosovo del nord, irriducibili avversari del riconoscimento della statualità del Kosovo e di ogni compromesso con Pristina e i cosiddetti “traditori”, ovvero quei serbi, soprattutto del Kosovo centrale e meridionale, che negli anni scorsi hanno ritenuto inevitabile una collaborazione con il governo kosovaro, tanto da partecipare alle elezioni del Kosovo ed inviare rappresentanti nel parlamento di Pristina.
Al contrario di quanto sostenuto dalla Belgrado ufficiale, queste elezioni però sono ben poco “costituzionalmente neutrali”, perché le schede elettorali al nord sono le stesse del resto del Kosovo: sulle schede compare ben visibile lo stemma e il nome del Kosovo, stato che la Serbia non ha mai ufficialmente riconosciuto.
Questo è anche il motivo – insieme al polverone sollevato riguardo la questione dell’abolizione dei posti riservati ai serbi e ai membri di altre comunità non albanesi nel parlamento kosovaro – che ha portato la lista “Srpska” a sospendere la campagna elettorale nel Kosovo del nord. Nel frattempo, a pochi giorni dalle elezioni, da Belgrado non giungono messaggi chiari per gli elettori che si chiedono a questo punto se andare a votare o meno. E per ora nel nord del Kosovo non si vedono segni esteriori del fatto che, fra pochi giorni, qui si terranno elezioni politiche.
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