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Natale in Maramures, l’anno dopo la “Rivoluzione”

Un Natale trascorso nel 1990 in un paesino del Maramures: è trascorso un anno dalla Rivoluzione e il regime comunista non c’è più. Tra colinde e palinka ad attendere il disgelo

24/12/2013, Henri Gillet -

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(Pubblicato originariamente da “Le Nouvelles de Roumanie” nel novembre 2013)

Fine dicembre 1990, un anno dopo la “Rivoluzione”. E’ da qualche giorno che non si parla che di un personaggio fiabesco, il Re Michele. Quando la radio straniera ha annunciato che il re aveva varcato la frontiera, il vecchio D., un tipo piuttosto taciturno, si mise ad urlare: “Ah! Ah! Ah! Ascoltate qua”. Quanto ha riso assieme a lui, quella sera, il prete Ion! Come se si fosse fatto proprio un bello scherzetto a “tutti quei comunisti”.

La madre intanto impastava all’angolo del letto, quello vicino al forno. Lei si è accontentata di un sorriso muto, racchiuso tutto nei suoi occhi maliziosi. Ha mormorato qualcosa come “La mia fede… e poi? E’ roba da ridere!”. Perché la madre, lei, era frontista. In questo paesino di contadini il 99% degli elettori, si dice, ha votato per il Fronte di Ion Iliescu e Petre Roman.

Ora sostenitori e detrattori del re si affrontano aspramente, nutrendo il fuoco di discussioni appassionate. “Occorre dirvi, caro signore, che sono quasi cinquant’anni che avevamo perso l’abitudine di parlare liberamente”. Nelle lunghe serate gli sguardi si volgono poi al piccolo schermo in bianco e nero. Ecco uno storico, poi un politico e infine l’uomo della strada: tutti portano il loro contributo a questo fuoco di discordie, acceso il giorno di Natale.

E’ il culmine dell’inverno in Maramures, paese dei “Daci liberi”, all’estremo nord della Romania. La notte della natività i bambini, in due o in tre, vanno di casa in casa ad annunciare la buona novella. Ogni volta, nel buio, davanti alla porta d’entrata, intonano una “colinda”, canto di Natale. Come avevano fatto, prima di loro, i loro padri e i loro antenati.

Il piccolo Gheorghe, che non ha più di 3 anni, viene accompagnato da suo padre. E quando finisce la canzone e tutto tace dall’interno l’urlo “Entra!”. In cucina tutti si complimentano con questo ometto intabarrato. Lui, intimidito, sotto una luce cruda, guarda tutta questa gente attorno che gli sorride. E come fa il padre Ion, il pastore, anche Gheorghe ricambia il sorriso. E allora gli vengono dati dei biscotti, gli viene offerto un bicchiere di succo di mirtilli e Isadora, la cugina birichina, tuffa le sue manine nel portafogli e gli dona due monetine. Gheorghe le infila nella tasca della sua pesante giacca di lana. E fuori, altri bambini cantano la loro “colinda”. E nuovamente si tace per ascoltare. Ne sono passati molti di bambini e bambine nel corso di tre ore.

Alcuni entrano senza avvertire e li si vede, vestiti di rosso o verde, principi o ufficiali, che declamano a perdifiato filastrocche ereditate dai tempi dei tempi. Vi era Erode e i suoi soldati, alla ricerca del nuovo nato. Ma anche, guidati dalla stella, i tre re magi, con il capo risplendente di medaglioni. Tregua di pietà: ecco la capra e il suo padroncino. Un monello ricoperto di banderuole si è messo a saltare, trasalire, prima di immobilizzarsi al suolo, seguendo gli ordini del suo padrone. E allora si possono notare, all’estremità di un bastone, le corna, il muso e la barbetta di questo strano animale, fissati su due pezzi di legno azionati dal ragazzino: con colpi secchi, come se con questa lingua di legno la “capra” potesse esprimere ciò che pensa…

Tutt’intorno avvenivano le stesse cose. Bastava uscire sulla neve, al chiaro di luna, per sentire altre “colinde” e in lontananza scorgere capannelli di ragazzi ricoperti di pelli di lupo o di orso.

E si sa, che in mezzo a loro c’era la Morte, sotto le sembianze di un grande cono nero segnato di bianco. O dei diavoli pelosi, avanti e indietro senza riposo, dai movimenti agitati, in cerca di anime perdute. E con un po’ di fortuna si poteva incontrare la “giovane ragazza della foresta”, ingentilita da una lunga tunica bianca, la testa ricoperta da una grande parrucca bionda. E col fisico di uno scaricatore di porto.

Infine, dopo che i bambini, affaticati, si sono addormentati gli adulti hanno preso la scena. Quella notte siamo andati a casa di Ion, a casa di Petru, a casa di Dragomir e a casa anche di altri a cantare le “colinde” ed annunciare la nascita dell’infante santo. A casa di Dumitru abbiamo danzato, giri e giri a perdifiato. Ad ogni giro quell’uomo, gran lavoratore di giorno ma gioviale a quelle ore, lanciava un trillo magico. E ogni volta, assaporando salumi e dolci, abbiamo bevuto palinca, la grappa che tutto fa dimenticare.

Nel cuore dell’inverno le forze malefiche della notte profonda affrontano quelle timide del nuovo giorno, un anno muore e l’altro tarda a nascere, il Male sembra aver sconfitto il Bene… e se il sole non tornasse più?

Ma in Maramures, in un angolo dei Carpazi, ecco che appare un bambino in una culla. Il ghiaccio inizia a scricchiolare e tutto cambia. Rinasce la speranza nel paese muto. L’alba è ancora incerta, ma già si sa che non sarà più come prima. E allora, i più coraggiosi tra i taciturni osano pronunciare una parola, una piccola frase.

Nel giorno che nasce le lingue si sciolgono. Ben presto è un brusio di voci, una cascata di grida di gioia, un flusso di opinioni contrastanti, superficiali, poco importa. Si parla soprattutto per parlare, per convincersi, increduli, di essere nuovamente uomini e donne degni di questo nome. E anche se non si sa più bene come argomentare le proprie opinioni e come difendere i propri punti di vista si parla, si parla e si parla nuovamente. Senza tregua. Come se si venisse da una diga durata troppo a lungo, congelata. Ma l’acqua ormai passa e cola dappertutto. E girano, girano, girano tutte le ruote dei mulini.

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