Mustafa Cerić se ne va
Dopo 20 anni, il leader della comunità islamica bosniaca lascia l’incarico. Ha traghettato i musulmani attraverso la scomparsa di un sistema ma, secondo l’editoriale di Radio Sarajevo, ha confuso religione e politica e legittimato correnti islamiche radicali, senza riuscire a promuovere il dialogo inter-religioso in Bosnia Erzegovina
Originariamente pubblicato sul portale Radiosarajevo.ba il 18 aprile 2012 col titolo Konačni odlazak Mustafe Cerića
Dopo quasi due decenni nella posizione di Gran muftì (reis-ul-ulema) della Comunità islamica della Bosnia Erzegovina, Mustafa efendija Cerić finalmente ha dichiarato che non si candiderà più. A dire il vero è la Costituzione della Comunità islamica che non gli dà il diritto di farlo, ma è una di quelle formalità a cui lui non ha mai badato. L’islam e la Comunità islamica sono io. Anche se non lo diceva apertamente, è così che si comportava il reis uscente.
Demustafizzazione dei bosgnacchi e della BiH
Alla fine di quest’anno sarà eletto il nuovo capo della Comunità islamica che – se non succederà che con le elezioni si cada di male in peggio, cosa sempre possibile da queste parti – si troverà l’arduo compito di demustafizzare sia la Comunità islamica che la componente bosgnacca della società bosniaco erzegovese dove – come gli sussurrava Milorad Dodik, e lui si sentiva proprio così – Cerić si comporta come “il più figo di tutti”.
La Comunità islamica, completamente monopolizzata da Cerić per i quasi vent’anni del suo mandato, ha ignorato tutto quello a cui avrebbe dovuto prestare attenzione, e ha reagito o troppo tardi o in modo sbagliato, spesso in entrambi i modi, contribuendo alla riduzione dell’identità bosgnacca a quella esclusivamente religiosa, all’abuso politico quotidiano dell’islam e alla legittimazione istituzionale del wahabismo (“Alcuni notano che ora in Bosnia ci sono dei nuovi musulmani che prima non c’erano. I vecchi musulmani erano buoni, questi nuovi non lo sono. Qual era allora il motivo per uccidere quelli vecchi? Avete una risposta? Naturalmente no”) o la “turchizzazione” dei bosgnacchi (“Abbiamo colpa solo perché siamo turchi”). Tutto preso dalle uscite internazionali, durante le quali diceva tutto quello che avrebbe dovuto dire in BiH, e l’impegno locale su tutto – dal chiedere a Haris Silajdžić di scrivere una nuova Costituzione, fino alla riunione con l’ex allenatore della squadra nazionale di calcio Blaž Slišković – Mustafa Cerić, ovviamente, non ha mai avuto il tempo di occuparsi dei problemi dei musulmani. Di conseguenza, lui stesso è diventato un problema.
Da quando nell’ormai lontano 1993 fu eletto 13° reis – che mi dicano adesso che quel numero non porta sfiga – alla Comunità islamica è “capitato” il salafismo, hanno emarginato alcuni dei più importanti intellettuali musulmani, primo fra tutti Rešid Hafizović, tolti brutalmente oppure scomunicati tutti gli altri nei quali Cerić riconosceva una qualche sorta di pericolo per sé e per il sistema da lui creato: per esempio, Mustafa Spahić, tra i primi elettori di Cerić, ma anche suo critico negli anni successivi. Poi sono stati cancellati i limiti fra i compiti dello Stato e quelli della Comunità islamica; violati, anzi distrutti, i rapporti fra musulmani e membri di altri gruppi religiosi che secoli prima erano auto-gestiti (uno dei primi debutti di Cerić, ancora durante la guerra, fu relativo al problema della vendita di carne di maiale a Sarajevo, anche se all’epoca a Sarajevo c’era solo carne da cannone) …
Il linguaggio della forza
Il linguaggio dell’islam bosniaco sotto Cerić è diventato il linguaggio della forza, prima di tutto della sua e, dove lui non arrivava, quella dei suoi portavoce piazzati sui media ufficiali della Comunità, incaricati di fare gli elenchi dei nemici interni e di ingrandire l’immagine e l’opera del grande caro imam. Così, per esempio, in uno dei numeri del giornale islamico Preporod (Rinascimento), sono uscite ventisette foto del reis. Di quello attuale, ovviamente.
Per elencare tutti gli errori che Mustafa Cerić ha fatto in malo modo in questi vent’anni, c’è bisogno di tempo e di spazio. Per il Cerić che merita ricordo e rispetto, invece, non servono né spazio né tempo. Mustafa Cerić è capitato alla Bosnia Erzegovina e ai musulmani nel peggiore dei momenti: durante la scomparsa di un sistema, all’inseguimento di una tendenza, di certo non esclusivamente bosgnacca, di esaltazione della religiosità; durante l’aggressione e il genocidio; durante la doppia politica di Izetbegović, che sosteneva una e faceva di tutto per fare un’altra Bosnia, più musulmana, Cerić è piovuto come benzina sul fuoco. Ambizioso e narcisista, già nella prima fase del governo si comportava da leader nazionale. Poi, dato che non è riuscito a diventare almeno segretario generale della NATO, ha cercato diventare il grande muftì europeo. Nel frattempo, in realtà in modo parallelo, ha lavorato ininterrottamente alla creazione della nuova società bosgnacca dove tutto, ma proprio tutto, dal sorgere del sole alla nomina del direttore del dispensario dell’Asl di Vareš, avverrà sotto la sua benedizione.
Grazie davvero
Alcuni suoi critici pensano che Mustafa Cerić stia tentando l’impossibile, come organizzare una Comunità islamica dell’Europa secondo il modello della Chiesa cattolica o costringere il governo della Federazione ad ordinare alle banche tedesche e austriache di lavorare secondo i principi islamici, soltanto per non fare quello che deve fare. A lui però non è mai venuto nemmeno in mente di occuparsi dei tipici affari da reis. La ricostruzione delle moschee con i soldi degli strozzini o dei dittatori arabi, la proliferazione dell’ingannevole industria di rimedi per proteggersi da tutto, dal malocchio all’assenza di segnale del telefonino, non lo hanno mai stancato. Ha speso energia, ed è ovvio che la spenderà fino alle prossime elezioni, per legittimarsi come istituzione superiore, col conseguente arricchimento. Oppure, come già nel 1999 scrisse Senad Pečanin nel suo la “Reisoluzione che scorre”:
“Senza pensare minimamente che i fedeli vorrebbero vedere nel loro reis calore, cordialità, confidenza, Cerić anche in pubblico coltiva severità, ufficialità, serietà. Una delle poche persone che nasconde i propri anni, cercando di sembrare più vecchio di quello che è (è nato nel 1952), il reis con la sua cupezza, severità e broncio, e anche con la villa in centro città (l’ex casa del capo comunista Rate Dugonjić), con i body guard e gli autisti, è riuscito a fare di sé un’istituzione. Una grandiosa istituzione, nello stile architettonico dei grandi palazzi freddi che il realismo socialista ha progettato come sedi dei comitati centrali… Alla fine i musulmani bosniaci non hanno proprio avuto fortuna con l’elezione di un personaggio che dovrebbe ereditare la tradizione dei Čausević, di Đoza e di altri brillanti personaggi della Comunità islamica, e che dovrebbe portarli nel terzo millennio… Se il profeta Maometto iniziò la divulgazione e la glorificazione dell’islam da uomo ricco, e finì la sua vita molto più povero, a Mustafa Cerić questo non accadrà di sicuro”.
Tredici anni dopo la pubblicazione di questo articolo, dove c’era anche scritto che “la Comunità islamica sotto la sua guida non è stata in grado di stringere rapporti con le altre comunità religiose della Bosnia, ma anzi nei campi di battaglia di un Paese distrutto ha aggiunto anche il fronte interbosgnacco dell’intolleranza reciproca”, Mustafa Cerić ha precisato: “Ringrazio tutti coloro i quali con la Costituzione della comunità islamica non mi hanno obbligato a portare a vita l’onorevole e gravoso fardello di reis-ul-ulema dei bosgnacchi”.
Grazie, davvero. Non è difficile immaginare cosa sarebbe successo se non lo avessero fatto. Nel migliore dei casi, ma proprio nel migliore, la situazione sarebbe com’è adesso.
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