Mostra del cinema di Venezia: Stalin, Putin e il portiere della nazionale georgiana
Dal funerale di Stalin all’uccisione del portiere della nazionale di calcio georgiana, passando per la guerra in Ucraina. Sono molte le storie provenienti dall’universo ex Urss raccontate alla recente Mostra del cinema di Venezia
Con la chiusura della Mostra del cinema di Venezia è arrivata la notizia della liberazione del regista ucraino Oleg Sentsov, che era detenuto in Russia per una condanna a 20 anni per terrorismo e traffico d’armi. Per chiedere la liberazione del regista, che aveva ricevuto lo scorso anno il Premio Sakharov, si sono spesi in parecchi, ultimo il suo collega russo Askold Kurov nei primi giorni del festival.
Proprio dall’area dell’ex Unione Sovietica sono arrivati alcuni tra i migliori lavori visti alla Mostra. Su tutti l’ucraino “Atlantis” di Valentyn Vasyanovych, premiato come miglior film della sezione Orizzonti e una tra le scoperte di questa edizione. È il quarto lungometraggio da regista di Vasyanovych, che è anche apprezzato montatore e direttore della fotografia, tra gli altri per “The Tribe” (2014) di Miroslav Slaboshpytskiy, ma non si era ancora messo così in evidenza come autore. Si immagina di essere nel 2025, “un anno dopo la fine della guerra”, vinta dall’Ucraina. Protagonista è il reduce Sergiy, traumatizzato dal conflitto, che torna al lavoro nell’industria siderurgica che è presto venduta agli americani e chiusa. L’uomo deve trovarsi un altro impiego, come trasportare acqua con un’autobotte, spostandosi in una terra inquinata, compromessa e disseminata di fosse comuni e cadaveri putrefatti. Nel viaggio incontrerà Katya, un’archeologa che si occupa di recuperare, ricomporre e riconoscere i resti dei corpi sepolti. Un film duro, potente, efficace sulla guerra, il dopo guerra e i suoi traumi, con alcuni momenti che restano impressi. Un lavoro formalmente molto rigoroso, fatto di piani sequenza quasi sempre con la videocamera fissa, che ricorda anche i lavori di finzione di Sergei Losnica come “Donbass”.
Molto interessante è anche “The Criminal Man – Borotmokmedi”, secondo lungometraggio del georgiano Dmitri Mamuliya, collocato sempre nella sezione Orizzonti. Il film si apre con una scena molto lunga in una zona collinare spoglia, attraversata da una strada sterrata percorsa da due auto bianche. Da lontano le si vede arrestarsi, i passeggeri scendono e si sentono dei colpi d’arma da fuoco: si può solo intuire che è stato commesso un omicidio. All’evento assiste un automobilista di passaggio, Giorgi, un ingegnere di uno stabilimento, che dalla televisione scoprirà che è stato ucciso un calciatore, il portiere della nazionale di calcio. Ossessionato dall’episodio, l’uomo partecipa al funerale, torna sul luogo del delitto tanto da far insospettire chi vive nei dintorni. Giorgi da testimone si cala nel colpevole, mentre si reca al lavoro in un’area industriale fatiscente in mezzo a palazzoni che sembrano abbandonati. Un paesaggio che diventa anche quello mentale del protagonista, che inizia anche a frequentare un insediamento zingaro. Mamuliya spiega poco, costringe lo spettatore a calarsi nei panni del protagonista. Evidenti i riferimenti a “C’era una volta in Anatolia” del turco Nuri Bilge Ceylan, sia nell’inizio con le auto in campo lungo, sia nelle scene che si svolgono sullo sfondo mentre in primo piano si raccontano storielle che sembrano riguardare altro.
Il documentarista ucraino Sergei Loznica compie con “State Funeral” un’operazione ardita, raccontare i funerali di Stalin usando materiali d’archivio e senza commento, lasciando solo alle didascalie finali la contestualizzazione storica. Il regista alterna materiali di diversa provenienza (utilizzando largamente il film ufficiale “Velikoe proščanie – Il solenne saluto”) in bianco e nero e a colori e inizia con l’ingresso della bara di Iosif Vissarionovič Džugašvili nella Sala delle colonne del Cremlino dove fu allestita la camera ardente. Segue l’annuncio ufficiale alla radio, il 5 marzo 1953, della morte del segretario generale del Pcus che si diffonde in tutta l’Unione sovietica. La gente radunata nelle piazze e nelle fabbriche di tante città si ferma e si riunisce commossa per la notizia, intanto a Mosca inizia una processione interminabile di persone che vogliono rendere omaggio allo scomparso. Ovunque si tengono discorsi enfatici in ricordo del leader, mentre dall’estero cominciano ad arrivare i capi dei partiti comunisti, tra i quali Palmiro Togliatti. In tutta l’Urss si assiste a una partecipazione popolare incredibile, gente di tutte le età e le estrazioni. È un lutto collettivo, la perdita del punto di riferimento, come sottolineano anche i discorsi. Portano centinaia di corone di fiori, addossate una all’altra, finché il corteo si avvia verso Piazza Rossa per la cerimonia, dove Malenkov, Molotov e Berija tengono i discorsi ufficiali. Sui colpi di cannone finali si ferma tutto il paese: lavoratori, mezzi pubblici, impianti, tutti si interrompono per il tributo a Stalin. Il regista, autore di importanti documentari di argomento politico e storico (“Majdan”, “Victory Day”, “Austerlitz”, “The Event”, “The Trial”) oltre che di tre film di finzione, vuole rappresentare il culto della personalità forse al suo culmine. Sono qualche tocco, come la folla radunata intorno ai monumenti a Stalin stesso o il sonoro, suggerisce che qualcosa non va, perché le immagini, i discorsi e le marce funebri portano a partecipare all’evento. Lo spettatore ignaro potrebbe in alcuni momenti anche commuoversi, fino ai titoli di coda che sintetizzano i crimini staliniani e la destalinizzazione che seguì.
Un altro culto della personalità, consapevolmente creato attraverso il ferreo controllo delle televisioni, riguarda la Russia di oggi ed emerge chiaramente da “Citizen K” di Alex Gibney (premio Oscar per “Taxi to the Dark Side”). Il cittadino K del titolo è Michail Khodorkovski, oligarca che alla dissoluzione dell’Urss riuscì a impadronirsi della società petrolifera Jukos e a diventare uno degli uomini più ricchi e influenti del paese, nonché tra i principali rivali di Vladimir Putin.
Il film parte proprio dal 25 ottobre 2003, data dell’arresto per volere del presidente, per poi andare all’indietro agli anni ’80 e, dalla fine dell’Urss, tornare alle elezioni di marzo 2018 con un ritmo molto scandito. È un film ricco di interviste a Michail Khodorkovski e altri personaggi di primo piano e di tanto materiale di repertorio. Gibney racconta come la caduta dell’Urss rappresentò un’opportunità ineguagliabile per ambiziosi, cinici e svegli capitalisti e come si originò la fortuna degli oligarchi. Si passa all’epoca Eltsin, con la libertà e insieme il caos degli anni ’90, e soprattutto i momenti della sua complessa rielezione nel 1996, quando fu sostenuto dalle tv e da chi non voleva tornare al comunismo. E poi l’ascesa improvvisa e la conquista del potere da parte di Putin, che mantiene una mentalità da Kgb e, dopo la tragedia del Kursk, capisce che per difendere la posizione deve controllare le televisioni. Khodorkovski è così accusato di evasione fiscale, arrestato e condannato due volte, fino alla liberazione in occasione delle Olimpiadi di Sochi e l’esilio. In prigione riesce a resistere e scopre un nuovo senso del tempo: presto, dice, “le cose cambieranno, anche se presto può essere tra 5-10 anni”. Ora da Londra combatte l’attuale presidente, vuole una Russia senza Putin e democratica. Resta però la macchia, e il film non chiarisce del tutto sebbene neanche glissi, del possibile coinvolgimento del magnate nell’omicidio del sindaco di una città petrolifera siberiana.
Deriva da una frase ironica pronunciata dalla prossima presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, il titolo del film di Costa-Gavras “Adults in the Room”, presentato fuori concorso. La pellicola è tratta dai diari di Yanis Varoufakis nei mesi in cui fu ministro delle Finanze greco, da gennaio a luglio 2015. “Servirebbero degli adulti in questa stanza” serve per contrasto a dare degli infantili ai componenti dell’eurogruppo e ai burocrati che sembrano solo fissati sul “Memorandum” e non si preoccupano delle sofferenze del popolo greco. Il film ha la forma del dramma d’interni, coniugando abbastanza autorialità ed esigenze dello spettatore, ed è una cronaca serrata dei cinque mesi di governo, da elezioni e vittoria di Syriza a referendum. Il rischio è che diventi un po’ un santino di Varoufakis, dagli altri ministri accusato di “narcisismo mediterraneo”. La cosa migliore e più inventiva è il finale con il balletto surreale di Tsipras, tra “Z – L’orgia del potere” dello stesso Costa-Gavras, “Todo modo” di Elio Petri e le sequenze visionarie di Marco Bellocchio.
Il romeno “Colectiv” di Alexander Nanau è un documentario ben fatto sulla corruzione del sistema sanitario e la negazione della verità da parte del potere. Si parte dall’incendio nel Colectiv, un locale di Bucarest andato a fuoco nel 2015 con decine di morti, molti anche nei giorni successivi all’incendio, negli ospedali come conseguenza delle ustioni e a causa di cure insufficienti e infezioni batteriche. La rabbia portò a una rivolta popolare, con la caduta del governo socialdemocratico e la formazione di un governo tecnico. Nanau segue le proteste dei familiari e della folla per poi allargare l’indagine. Si scopre che gli ospedali non erano attrezzati, al contrario di quello che sostenevano, e che, per scelta politica, fu rallentato il trasferimento degli ustionati in ospedali stranieri più attrezzati. Nanau filma il comitato che nasce, gli incontri istituzionali con il nuovo ministro, la scoperta che nei nosocomi erano impiegati disinfettanti troppo diluiti, fino a ottenere nuove regole e un adeguamento delle strutture.
Bello è anche “Il varco” di Michele Manzolini e Federico Ferrone, presentato a Venezia nella sezione Sconfini, che arriva in sala il 14 ottobre. Un film di finzione sulla campagna di Russia costruito con materiali d’archivio e testi presi dai diari di alcuni soldati. È la storia di un militare esperto, fascista convinto, reduce dalla guerra d’Etiopia, che parte per il fronte orientale convinto di una guerra breve e si ritroverà precipitato in un incubo quando arriva l’inverno e la resistenza sovietica è più forte di quello che era sembrato. Un film che riprende con originalità una pagina non così esplorata della storia di ieri per parlare anche dell’oggi.
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