Mostar diviso 6
La Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina ha stabilito che lo statuto elettorale della città di Mostar deve essere riformato. La maggioranza croata vorrebbe l’applicazione del principio "una testa un voto", mentre i partiti bosgnacchi chiedono che sia ristabilita la divisione della città in 6 comuni. Il reportage
Lo statuto di Mostar, il capoluogo dell’Erzegovina diviso dalla Neretva in una parte a maggioranza bosniaco musulmana (bosgnacca), e una a maggioranza croato-bosniaca, è nuovamente in discussione. All’indomani del conflitto, la città era stata divisa in sei municipalità, su base etnica, al fine di tutelare lo status quo creatosi tra le parti in lotta. Nel 2004, l’Alto Rappresentante Paddy Ashdown aveva però deciso di modificare quell’assetto, facendo diventare Mostar un comune unico. Tuttavia, per offrire una garanzia alla comunità bosgnacca, minoritaria nel nuovo assetto, le sei municipalità erano state mantenute, sotto forma di collegi elettorali.
L’attuale legge elettorale, che regola l’elezione dei consiglieri comunali nella città di Mostar, prevede un sistema molto complesso. Diciassette consiglieri vengono eletti a circoscrizione unica, su base cittadina. A questi si aggiungono i candidati eletti dalle sei circoscrizioni minori. Ognuna di queste sei circoscrizioni nomina tre consiglieri comunali, a prescindere da quanti cittadini risiedano in ciascuna di esse. Uno stesso numero di rappresentanti viene così eletto da circoscrizioni che hanno popolazioni completamente diseguali, anche di decine di migliaia di persone. Il risultato è un compromesso che elude il principio democratico di “una testa, un voto”, riflettendo l’impasse generale della Bosnia di Dayton, divisa tra principio democratico e garanzia delle “tre nazioni costituenti”.
Nel giugno di quest’anno, tuttavia, la Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina ha dichiarato incostituzionale lo statuto della città, imponendone la riforma entro sei mesi dalla sentenza. Un compromesso tra le parti, condizione indispensabile per cambiare la legge, per ora non è stato trovato. Nell’attesa di un nuovo statuto, dunque, le elezioni amministrative, tenutesi in tutto il paese il 7 ottobre scorso, a Mostar sono state rinviate a data da definirsi. Da novembre la precedente amministrazione è in carica ad interim, per scongiurare un vuoto istituzionale. Nel frattempo, i bosgnacchi hanno lanciato una petizione per ritornare all’assetto dell’immediato dopoguerra, con l’obiettivo di ridividere Mostar in sei differenti comuni.
Ritorno al passato?
Il problema che si ripresenta, ad ogni ipotesi di modifica dello statuto, è quello del bilanciamento delle differenti componenti della popolazione. Mostar è oggi una città a maggioranza croata. Questa, perlomeno, è l’indicazione che si basa sulle liste elettorali, secondo cui i votanti croati sarebbero più numerosi di 30.000 unità rispetto ai bosgnacchi. In attesa di conoscere i risultati del censimento generale della popolazione, che si svolgerà nell’aprile del prossimo anno, questa differenza potrebbe rivelarsi politicamente decisiva. I partiti bosgnacchi, in particolar modo il Partito di Azione Democratica (SDA), temono un drastico ridimensionamento del loro peso.
Dividere la città, dunque, sarebbe l’unico modo per garantire l’uguaglianza tra bosgnacchi e croati. Così almeno sostengono i firmatari della petizione. Oltre ai rappresentanti bosgnacchi del consiglio comunale, il documento è sottoscritto da quaranta associazioni locali e dal Muftì della città, Seid Smajkić.
“I bosgnacchi sono stati pesantemente discriminati dalla decisione di abolire le municipalità nel 2004”, ha dichiarato Smajkić all’emittente B92: “Per noi ora diventa necessario proteggere i nostri diritti. Mostar dev’essere una città erzegovese. Mostar è dei croati, dei serbi e dei bosgnacchi, così come delle altre minoranze”. Un’opinione condivisa da Emin Tuzović, professore di studi islamici a Mostar: “Mostar è un centro multiculturale, che ha resistito a un tentativo di pulizia etnica – ha dichiarato Tuzović ad Osservatorio – In Bosnia Erzegovina ci sono altre città suddivise in più comuni, come Sarajevo: chiediamo semplicemente di applicare lo stesso criterio”.
Alla resistenza dei bosgnacchi si contrappone l’intransigenza di chi invece vorrebbe una città normalizzata una volta per tutte, amministrata unitariamente. In primo luogo il partito di maggioranza dei croato bosniaci, l’Unione Democratico Croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH), ma non solo. Anche la comunità internazionale guarda con favore alla prospettiva di una Mostar unificata dopo diciassette anni dalla fine dei combattimenti.
“Lo statuto, così come concepito ora, blocca completamente lo sviluppo della città”, sostiene Marinko Gilja, presidente del gruppo croato al consiglio comunale. “A Mostar i croati rappresentano la maggioranza della popolazione, ma non possono governare all’interno delle istituzioni”. Rendere Mostar una circoscrizione unica permetterebbe, parole sue, la governabilità della città.
È interessante notare come a Mostar le posizioni tradizionali della politica bosniaca si capovolgano, nel nome di un accorto pragmatismo: l’SDA, che nel resto del paese predica unità e centralizzazione, preferisce qui farsi portavoce di una divisione etnica su scala cittadina. L’HDZ BiH, al contrario, accantonati i sogni di una terza entità croata, ha improvvisamente riscoperto la propria fedeltà a Sarajevo e alle istituzioni bosniache, incarnate qui dalla giurisdizione della Corte Costituzionale. Proprio il presidente dell’HDZ BiH, Dragan Čović, all’indomani del verdetto era stato il primo a pronunciarsi in difesa della “legalità” nel paese, sostenendo immediatamente la necessità di implementare la decisione.
Tra HDZ BiH e SDA, negli ultimi mesi, è cresciuta una battaglia legale sulla questione dello statuto, non troppo dissimile da quella che in estate aveva visto opporsi serbi e bosgnacchi a Srebrenica. Come per Srebrenica, anche a Mostar la società bosniaca deve confrontarsi con un paradosso: conciliare regole democratiche con la necessità politica di non permettere il predominio della fazione che, durante il conflitto, mise in atto la pulizia etnica. Una contraddizione che, nella politica locale, s’incarna nella posizione del Partito socialdemocratico, SDP. I socialdemocratici, tradizionalmente a-confessionali, sostengono qui una posizione intermedia tra i due contendenti: il partito si oppone alla reintroduzione delle sei municipalità ma al tempo stesso, come sostiene il portavoce Aner Zuljević, “è favorevole al mantenimento delle sei circoscrizioni elettorali”. Per Zuljević è possibile trovare una soluzione intermedia, che permetta “di mettere fine all’impasse politica, senza rinunciare ai progressi ottenuti dalla fine della guerra ad oggi”.
La paura non se n’è ancora andata
Ancora una volta, intanto, è la cittadinanza a fare le spese dello stallo politico. Le elezioni locali, come già detto, sono state rinviate a data da definirsi. Il problema principale, per ora, è l’approvazione del bilancio pubblico per il 2013, decisione che non può essere presa dall’amministrazione uscente. Di fronte a questo scenario desolante, come riportato dal quotidiano sarajevese Oslobodjenje, due terzi della popolazione locale si dichiara a favore di una città unita. “Non abbiamo mai avuto problemi con lo statuto”, dice Nedjo Prljeta (SDP), “a Mostar, come a Srebrenica, le tensioni politiche vengono abilmente sfruttate dai partiti al potere”. Opinione condivisa da Bakir Krpo, preside del liceo (Gimnazija) in Španski Trg, l’unica scuola multietnica della città. Krpo ha dichiarato ad Osservatorio che “qui la gente vota ancora per paura, specialmente gli adulti”.
Nel 2003, Krpo faceva parte della prima commissione studiata per elaborare il nuovo statuto della città: “Il gruppo era formato da esponenti di tutti i partiti”, ricorda. “Rimanemmo insieme circa tre mesi, senza concludere alcunché. Personalmente credo che la sola soluzione possibile sia avere un unico comune. Solo rimanendo uniti miglioreremo la nostra situazione. È quello che cerchiamo di insegnare qui: i nostri ragazzi imparano ogni giorno che sono le nostre differenze la risorsa maggiore per Mostar. Quando cresceranno, sono convinto che sapranno risolvere molti dei problemi che oggi ci affliggono”. Certo, occorrerà del tempo. Per ora, a Mostar prevale la paura.
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