Miljenko Jergovic: cirillico e granoturco
Partendo da un’analisi della musica locale, lo scrittore sarajevese Miljenko Jergovic polemizza con la visione dei Balcani che viene promossa da star internazionali del calibro di Goran Bregovic ed Emir Kusturica
Di Miljenko Jergovic, 30 settembre 2005, DANI (tit. orig. Kuruza i cirilica)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Nello slang locale croato ci sono due generi di musica scadente, "granoturco" (kuruza) e "cirillico" (cirilica). Alla prima appartengono principalmente i narodnjaci (popolari, ndr.) locali, del tipo Tonci Huljic e persone simili a lui, mentre "cirillico" è tutto ciò che proviene dalle sponde orientali dell’Una, della Drina e del Danubio e che non sia rock’n’roll.
Sicché Halid e Haris (Halid Beslic e Haris Dzinovic, due cantanti popolari bosniaci, ndt.) sono "cirillico", così come, per esempio, è "cirillico" Jelena Karleusa (prorompente pop star serba, ndt.). Saranno in pochi a badare alle possibili differenze, perché in questa storia, in realtà, non hanno importanza. Se il "cirillico", e il disprezzo per il "cirillico", l’avessero inventato i nazionalisti, allora, probabilmente, si saprebbe la differenza fra Halid e Karleusa, ma siccome qui si tratta di gente un tantino intellettuale, di vecchi rocker e di attivisti delle radiostazioni giovanili – tutti difensori della cultura urbana – allora non ci sono differenze, e non potrebbero esistere, perché in questo tipo di discorso i bosniaci e i serbi appartengono allo stesso mondo, perlopiù primitivo. Naturalmente, riconosceremo che anche fra di loro ci sono delle eccezioni, delle persone fini, colte e di talento, ma con la finezza e la cultura e il talento, questi ultimi cessano di essere serbi e bosniaci.
Una delle ragioni principali che mi ha spinto negli anni novanta a comprare gli album dei narodnjaci, è che mi stava sui nervi il disprezzo croato per il "cirillico". C’era qualcosa di punkettaro nel fatto che invitassi gente a feste casalinghe, e ad un certo punto, dopo conversazioni su film e letteratura, dopo quel raffinato sbrodolare in cui siamo tutti dei campioni mondiali, mettevo su l’album di Haris Dzinovic, e iniziavo subito a dire che era qualcosa di geniale. La gente prima si guardava, poi pensava che scherzassi, ma quando alla fine capivano che lo scherzo non c’era, concludevano che difendevo il "cirillico" per ragioni del tutto ideologiche, ma per loro incomprensibili. Non potevano credere che un tale genere di musica mi potesse piacere. Avevano pur sempre una buona opinione di me.
Quando Brega (Goran Bregovic, ndt.) venne le prime volte a Zagabria, fui l’unico a non andare al concerto. Chiedevo quale fosse la differenza fra l’ "Orchestra per i matrimoni e i funerali" e tutto ciò che definivano "cirillico", ma non ricevetti alcuna risposta, o forse era talmente stupida che oggi me la sono scordata. Più tardi smisi di frequentare quella gente, e ne trovai dell’altra che non si scandalizzava di Halid e Haris, e con la quale posso ascoltare in santa pace i successi del Primo bacio e discutere estesamente, fino all’alba, di cosa fa sì che Halid Beslic ci sia più vicino e più importante di tutti quanti i veterani della New Wave. Non frequento più persone che non sanno che il "cirillico" è soltanto l’alfabeto del nostro più vicino oriente, e niente più.
Quando Darko Rundek (cantante croato, ndt.) incise la canzone intitolata Makedo (…) quest’ultima divenne una hit sulla radio di Zagabria, che per dieci anni non aveva mai trasmesso musica serba, anche se si trattava dei Partibrejkers. Certo, un orecchio più sensibile doveva però sentire che dentro c’era del cirillico, come lo si sente pure nelle canzoni di Marko Perkovic-Thompson (cantante croato, ndt.), ma nell’interpretazione e nella produzione di Rundek si trattava di una canzone più che accettabile.
La canzone trasmetteva all’intellettuale locale ed al rocker quello stesso desiderio che i bosniaci e i serbi provano per quel loro "cirillico". Qualcosa che ti spingerà a salire sui tavoli, a rompere i bicchieri e a godere, anche se in modo del tutto innocente, negli amari e bollenti Balcani. La verità è che Brega e Kusta (Emir Kusturica, ndt.) hanno fatto tanto per i Balcani. Li hanno fatti talmente esotici da farli essere accettabili e cari ad ogni balcanico emancipato, a tutti quelli che odiano i veri Balcani che hanno dentro e attorno a sé. Makedo di Rundek è soltanto il seguito di questa storia.
Ma in quei Balcani, i bosniaci sono solo dei deboli. Le loro anime risciacquate e tristi non sono degne dei ritmi dispari macedoni e del tuono delle trombe di Dragacevo (Festival di Guca, ndt.). Tutti abbiamo compatito i bosniaci quando morivano in massa. Rundek ha detto bene nell’intervista al Feral che Srebrenica è una ferita sulla sua anima. Ma nel frattempo i bosniaci hanno smesso di morire in massa, e quindi non vi è più motivo di provare compassione per loro. E’ scomparsa la loro tragedia, e sono rimasti soltanto Halid e Haris, i loro incomprensibili turcismi, le sevdalinke (antiche canzoni d’amore dagli spiccati motivi orientali, ndt.) e Himzo Polovina, "che ha un nome così ridicolo" (polovina = la metà, ndt.). E che altro? Niente!
Darko Rundek, purtroppo, tutto questo lo sa molto bene. E da quando lo hanno randellato a Belgrado e il presidente della Serbia l’ha ricevuto al bar come un pezzo grosso, sente il bisogno di difendere la Serbia da quel triste, debole e impotente eccesso bosniaco, di cui fanno parte anche i serbo-bosniaci e i bosniaco-croati, e i bosniaco-musulmani, ai quali, una volta passato il periodo nel quale erano delle vittime, si darà la colpa per i crimini che dall’Aia piombano in modo prepotente e ingiusto sulle spalle della Serbia e dei Balcani, dei quali Darko Rundek è orgogliosa espressione.
In realtà non è affatto strano che Rundek al Feral abbia affermato che Boris Tadic non deve scusarsi per niente coi bosniaci (o bosgnacchi) e con la gente di Srebrenica perché non è stata la Serbia ad ammazzare tutta quella gente, l’hanno fatto i serbo-bosniaci. E ancora meno strano è che tale dichiarazione non abbia suscitato nessuna, ma proprio nessuna reazione sui giornali croati. Il discorso anti-nazionalista della gente colta, il discorso che grida alla riconciliazione e al ritorno all’ambiente naturale balcanico, le conversazioni che sono ugualmente contro il "granoturco" e contro il "cirillico", per Brega, Rundek e gli altri che costruiscono ponti fra le persone e distruggono i muri delle divisioni nazionalistiche, è lontano tanto da Srebrenica quanto da Halid Beslic. Può darsi su questo siano simili ai nazionalisti croati.
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