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Malafekas: il pulp è il prodotto naturale di un paese in crisi

Tempi di crisi generano personaggi pulp, immersi nella necessità dell’azione, armati di un linguaggio realista e senza fronzoli. Un’intervista allo scrittore greco Makis Malafekas, autore de “L’uomo che guardava il quadro”

27/07/2020, Elvira Krithari - Atene

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Michalis Krokos è uno scrittore sulla quarantina. Non è un dandy, ma ne frequenta diversi, quindi conosce il genere. Sa riconoscere uno scotch raffinato, ma preferisce quello economico. Nell’estate del 2017, quando la mostra d’arte contemporanea Documenta con sede in Germania si trasferisce ad Atene per portare un po’ di illuminazione artistica nel travagliato sud dell’Europa, Krokos si ritrova impigliato nel vortice della produzione culturale globalizzata. Quindi si mette nei guai e il suo destino è nelle mani del suo creatore.

Michalis Krokos non esiste davvero. È il protagonista immaginario dell’opera pulp-noir di Makis Malafekas, scrittore greco che recentemente ha fatto conoscere al pubblico ellenico la letteratura pulp. Il suo libro “L’uomo che guardava il quadro” [editore ETPBook, tradotto in italiano da Maurizio De Rosa] è il primo di una serie con le avventure di Michalis Krokos, e un sequel è stato appena pubblicato a luglio. Malafekas spiega a OBCT perché il pulp è il naturale prodotto di un paese in crisi.

Poesia da quattro soldi

"Mi sono detto, ‘le circostanze sono pulp, devo creare un eroe pulp’", dice Malafekas riguardo alla scrittura in tempi di austerità. Come il suo protagonista, si divide tra Atene e Parigi. "Krokos crede che queste città stiano collassando, ma con un ritmo diverso. Vive il crollo di Atene in tempo reale, mentre quello di Parigi avviene lentamente, impercettibilmente", osserva. "Ad un ritmo che ti fa credere che non stia succedendo, ma succede".

L’eroe di Malafekas può vivere solo nel "qui e ora", respingendo il passato con tutta la sua intrinseca malinconia, a meno che non ci sia di mezzo una donna. Tuttavia, preferisce essere motivato piuttosto che emotivo.

"Non è necessario affrontare l’anima dell’eroe, la sua situazione familiare", dice, "l’eroe esiste senza una ragione. Il contesto sociale è così perplesso che le persone vivono una realtà noiosa. Il pulp fa a pezzi il presunto lirismo della letteratura basata su metafore e similitudini. Il pulp può parlare proprio perché è un genere nato nella crisi, negli anni ’30, subito dopo il crollo del 1929 negli Stati Uniti. San Francisco e Los Angeles ospitano i protagonisti di diversi generi pulp. Pulp western, fantascienza, ecc.. Sono economici, ma non dovremmo vedere la parola come offensiva. Pulp è il mosto di carta, un oggetto monouso. Lo leggi e la colla si rompe, la carta si scioglie. Il libro stesso svanisce. Gli spaghetti western sono pulp: non saprai mai chi fosse l’eroe, nemmeno il suo nome, anche se alla fine ucciderà tutti. Quindi, tutti questi generi hanno la loro poesia".

Cosa succede dopo

Malafekas scrive per trovare letture di proprio gusto. "Scrivi prima di tutto quello che ti piacerebbe leggere. E dato che non ero molto soddisfatto (della letteratura pubblicata), né degli eroi né del modo in cui gli scrittori gestivano i dialoghi e la contemporaneità, ho deciso di scrivere quello che secondo me mancava", dice.

E così ha scritto una storia in cui l’azione è l’elemento chiave. Succede sempre qualcosa. "In un romanzo tradizionale non succede molto", dice. "Soprattutto nella letteratura contemporanea greca, così pretenziosa. Prendiamo una frase molto semplice: ‘sono uscito e ho chiuso la porta’. Ci sono scrittori che non possono permettersi di scrivere questo. Devono prima descrivere la maniglia della porta, e come si è sentito l’eroe nel toccarla. Non ci dovrebbe interessare. Nel frattempo, non ci è ancora stato detto che cosa è successo. Che cosa è successo dopo?".

In "Athens Undocumented", ciò che accade dopo è descritto nelle parole degli eroi, non dello scrittore. Parlano come persone reali, con un linguaggio vivido, rapido, non letterario, spesso gergale, che dice di più sulla loro vita di quello che decidono di rivelare nel libro. "Parliamo in modo meraviglioso. Eppure, se chiedi a qualcuno di scrivere quello che è successo oggi, si blocca. Pensa che dovrebbe scrivere come qualcun altro. Ma perché non scriviamo come pensiamo e parliamo? I grandi scrittori fanno così. Hemingway usava parole semplici. Tutto ciò che è artificiale stona in letteratura. La scrittura è spietata", dice Malafekas.

L’elemento dello scrittore

Malafekas appartiene alla generazione di scrittori greci non distaccati dalla propria epoca. Molto probabilmente non solo osservano le fermentazioni politiche, ma vi prendono anche parte. Li puoi trovare sui social o su altri media a commentare i nostri tempi, e quindi si avvicinano alla scrittura non come oziosi aristocratici, ma piuttosto come classe operaia.

"Nella mente della maggior parte delle persone, uno scrittore segue gli standard piccolo borghesi dello spettatore televisivo globalizzato. Prima di tutto lo scrittore non beve, questo è un malinteso di base. Non puoi scrivere ubriaco. Almeno, non puoi scrivere pesantemente ubriaco, in attesa che la tua Musa ti visiti se sei abbastanza maledetto. Questa è una costruzione pseudo-romantica che è nata nel 19° secolo, con i veri romantici, e continua con i film su Bukowski e Faulkner, con tutte queste strane cose che in effetti sono successe loro. Ma non scrivevano ubriachi. Scrivevano la mattina dopo, probabilmente con il mal di testa, ma sicuramente non ubriachi”.

Inoltre, "per scrivere devi essere ottimista". Ci chiediamo se Bukowski fosse ottimista. "Giusto, era un misantropo, non sopportava le persone. Lo afferma nelle sue poesie, nelle sue interviste. Tuttavia, devi vedere con quanto amore descrive i suoi emarginati. Anche i più disgraziati. Riusciva a vedere davvero le persone, non solo per compassione. Questo è ottimismo”.

Anche se sembra che Malafekas scriva per la gioia di leggere, ci deve essere anche qualcos’altro. Il suo protagonista affronta la morte, ma non è lui a morire. Secondo Jean-Patrick Manchette, uno scrittore che molto probabilmente Malafekas ama leggere, "la scrittura è il ricordo della razza umana". In tal senso, Malafekas cerca anche di catturare l’elemento pulp dei nostri tempi in quell’angolo di sud-est Europa e renderlo eterno. Inoltre, "non ci sono scrittori morti", dice. “La via migliore all’immortalità è lasciare libri che verranno letti. Nel momento della lettura sei in assoluta comunicazione con qualcuno. Non c’è morte”.

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