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Macedonia: la violenza dietro alla porta di casa

La violenza domestica è un fenomeno diffuso in Macedonia. Per i responsabili delle Ong che nel Paese si occupano della questione è per la maggior parte conseguenza di una società ancora fortemente patriarcale. Una nostra rassegna

28/01/2011, OWPSEE/Redazione - Skopje

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Articolo disponibile anche in Albanese e Macedone

"E’ iniziato tutto poco dopo il matrimonio, ma io ero poco consapevole. Ero molto giovane e con un bambino piccolo. Doveva essere sempre come diceva lui … Io ero sempre quella stupida, che non sapeva come andavano le cose. E se lo contraddicevo mi picchiava immediatamente". A.B ora ha 56 anni, ed è una delle persone assistite dal centro di assistenza legale dell’Associazione per l’emancipazione, la solidarietà e le pari opportunità delle donne in Macedonia (ESE), sul cui portale sono molte le testimonianze di donne vittime della violenza domestica.

"Ogni volta si scusava per trascurarci entrambi, me e nostro figlio … Diceva che sarebbe cambiato, che dovevo avere solo un po’ di pazienza… Ma poi esplodeva di nuovo, e tutto finiva in… Non lo chiamerei fare all’amore, era semplicemente uno stupro. Dopo mi sentivo depressa", racconta V.K, 49 anni.

Un fatto di cronaca simile a questi ultimi si è verificato solo qualche giorno fa, lo scorso 18 gennaio, a Štip, Macedonia orientale. Una donna è stata portata all’ospedale dopo essere stata pesantemente picchiata dal partner. La sua colpa? Avere speso 3 euro per acquistare dei medicinali per il proprio bambino e aver lasciato a lui solo qualche spicciolo per comprasi la grappa.

Il dibattito

I commenti, apparsi sui quotidiani, a firma di sociologi e psicologi, hanno per la maggior parte sottolineato come il crescente disagio sociale legato all’aumento della povertà nella società macedone determini un crescente livello di violenza, anche all’interno delle stesse famiglie.

Marija Gelevska, dell’ESE non è d’accordo. E’ infatti fermamente convinta che la violenza domestica sia un fenomeno che pone le sue radici nelle discriminazioni di genere. La sua argomentazione si basa su analisi che mostrano come nell’85% dei casi riportati si verifichino violenze dell’uomo nei confronti della donna, mentre la restante percentuale è relativa a violenze sui figli, e in parte del tutto marginale, a violenze subite dalla componente maschile di una coppia. In quest’ultimo caso si tratta in prevalenza di anziani.

"E’ tutto legato al fatto che viviamo in una società prevalentemente patriarcale", afferma Marija Gelevska, evidenziando quale esempio i casi di stupro all’interno dell’unione matrimoniale. "Nella nostra società il rapporto sessuale è vissuto dalla donna come un dovere", aggiunge, chiarendo come la riforma del Codice penale del 2004 che ha inserito lo stupro tra le mura domestiche quale reato perseguito d’ufficio non abbia cambiato la situazione. Le vittime, come prima, rimangono spesso sole nel dover chiedere giustizia attraverso lo strumento della denuncia.

Chi e come si combatte

ESE sta lavorando sulla questione della violenza domestica ormai da quindici anni (è stata fondata nel 1994) ed ha attivato nel 1998 un centro di assistenza legale e psicologica alle vittime di violenza domestica. Nel 2010 ha effettuato 165 assistenze, un numero leggermente inferiore alla media di questi anni che supera di poco le 200 persone assistite.

Nel 2006 ESE ha pubblicato inoltre lo studio “Una vita nell’ombra” (Život vo senka) che analizza il fenomeno della violenza domestica. E’ lo sforzo di approfondimento più rilevante effettuato in Macedonia sino a oggi. Lo studio è alla base dell’impostazione della Strategia nazionale per la protezione contro la violenza domestica 2008-2011, adottata dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del governo macedone nell’aprile del 2008.

Il sistema Onu in Macedonia ha poi integrato lo sforzo di coordinamento del governo attraverso il Joint Programme for Strengthening of National Capacities, che relaziona il ministero macedone all’attività delle agenzie Onu presenti in Macedonia (UNDP, UNFPA, UNICEF, UNIFEM, WHO).

I responsabili di ESE non sono comunque soddisfatti dei primi tre anni di attività di questo coordinamento. Affermano infatti che le attività intraprese non corrispondono alla metodologia fissata nella Strategia nazionale stessa.

"In tre anni di attività le Nazioni unite non hanno mai redatto alcun documento nel quale si facesse il punto su attività svolte e risultati raggiunti", ricorda Marija Gelevska, aggiungendo che ESE ha deciso di rimanere nel Comitato di coordinamento nazionale, ma non con una partecipazione attiva.

Jasmina Trajkovska, capo consulente Onu per il progetto congiunto, non concorda, sostenendo che i primi importanti risultati sono già arrivati e tra questi proprio la creazione del Comitato Nazionale di coordinamento per l’implementazione di strategie comuni, la stesura di protocolli condivisi tra i vari ministeri coinvolti, le Ong e le agenzie Onu e la promozione di numerosi programmi formativi per incrementare le capacità del sistema nazionale di dare risposte a questi problemi, incluso quello della violenza domestica.

Le statistiche

Altro capitolo aperto è quello dei dati statistici in possesso di chi opera nel settore. Tutti coloro i quali abbiamo contattato hanno sottolineato che la mancanza di dati statistici condivisi è un grave problema nella capacità di identificare i bisogni e di conseguenza pianificare le attività.

Varie istituzioni hanno le proprie statistiche: vi sono dati raccolti dal ministero degli Interni, sugli interventi della polizia in casi di violenza domestica, vi sono i dati raccolti dalla Linea telefonica nazionale per la denuncia di violenze in famiglia e quelli dei Centri di assistenza sociale. Ma manca un database comune per verificare e raccogliere in modo coerente queste statistiche.

Jasmina Trajkovska, delle Nazioni unite, sottolinea come benché tutti i dati a disposizione siano utili, sia difficile correlarli e sistematizzarli, dato che non sono stati raccolti con la stessa metodologia.

Quest’ultima ha ad esempio evidenziato il caso del comune di Kavadarci, dove il ministero degli Interni non ha segnalato alcun caso di violenza nel 2009, casi invece segnalati dal Centro d’assistenza sociale locale che però non sono mai stati presi in esame dalla polizia e non sono mai finiti in tribunale perché le vittime hanno scelto di non avviare un’azione legale.

La Trajkovska ha poi aggiunto che le statistiche attuali si concentrano solo sui numeri e non includono indicatori qualitativi sulla violenza domestica, sui trend futuri, sulle cause, ecc. Nel 2011 il programma congiunto Onu-ministero si concentrerà proprio sulla creazione di un database unificato, auspicabilmente in collaborazione con l’Ufficio nazionale di statistiche, con l’obiettivo di inserire anche questi dati nella descrizione statistica della popolazione nazionale.

Il compito di raccogliere dati e informazioni dalle Ong operative in questo settore ricadrà sul Network macedone contro le violenze di genere e domestiche, creato di recente, con la firma di un documento fondativo da parte di 21 Ong l’ultima settimana del 2010.

Il Network è sostenuto finanziariamente dal fondo UNIFEM e, tra i suoi obiettivi strategici, ha inserito l’ottenimento di maggior influenza sulle politiche nazionali, l’inclusione di programmi di formazione sulle questioni di genere nel sistema educativo e la raccolta di dati sui servizi forniti dalle Ong alle vittime di violenza domestica.

“Il network opererà in attività di lobbying e nello sviluppare programmi che poi verranno offerti, per l’implementazione ad altri enti e organizzazioni” chiarisce Elena Dimuševska, del Macedonian Women’s Rights Centre, coordinatore del network.

La consapevolezza

Savka Todorovska, del Consiglio nazionale delle donne (UWOM), ha espresso preoccupazione su quanto poco le donne stesse siano consapevoli dei propri diritti. A suo avviso è quantomai prioritario aumentare il grado di informazione delle donne, e dell’intera comunità, sugli strumenti per la lotta alla violenza domestica e contribuire ad un ruolo crescente delle scuole nel far crescere i bambini con più consapevolezza sulle questioni di genere.

“Non so cosa mi ha fatto più male, se gli insulti o le botte. Ma una mattina ne ho avuto abbastanza, ho raccolto le mie cose e me ne sono andata di casa. Altre donne non devono fare il mio stesso errore: aspettare che qualcosa cambi. La prima volta si sta zitte, la prima volta si pensa ‘non ora, farò qualcosa la prossima volta’. Ma facendo così si perde solo tempo prezioso”, racconta A.B agli operatori di ESE. Per V.K, altra vittima di violenza, occorre denunciare tutto subito, senza rischiare che sia troppo tardi: “Non ci deve essere spazio per la paura. Dobbiamo parlare e dire chiaramente quanto accade”.

* Dejan Georgievski è un giornalista di Oneworld SEE 

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