Macedonia: alle radici della crisi
Un nuovo report del centro di ricerca ESI, European Stability Iniziative, si concentra sulla esplosiva situazione socio-economica della regione di Kicevo, ovest della Macedonia, terra natale di Ali Ahmeti.
C’è un altro conflitto in Macedonia, meno visibile di quello scoppiato oramai più di un anno fa nel quale hanno crepitato le armi. Si tratta del costante diminuire delle risorse e del collasso del settore economico che porta ad una nuova problematicità nelle relazioni inter-etniche.
ESI ha concentrato la propria attenzione su di una regione di non più di 52.000 abitanti nell’ovest del Paese il cui centro principale è la cittadina di Kicevo (Kercova in albanese). Il 50% degli abitanti di questa regione si dichiarano di nazionalità albanese, il 40% di nazionalità macedone. Come per quanto riguarda la maggior parte delle zone miste della Macedonia, la coesistenza tra diverse nazionalità è fortemente radicata, tant’è che quest’area non è stata toccata dagli scontri armati nella primavera-estate del 2001.
Nonostante questo, secondo ESI, presenta delle caratteristiche nel suo tessuto socio-economico che sembrano destinate a rinfocolare lo scontro etnico.
Attraversando questa regione vi è l’impressione che lo Stato sia largamente assente. Pochi impieghi ufficiali, scarse le infrastrutture. L’economia locale sopravvive quasi completamente grazie alle rimesse dall’estero. Secondo alcune stime gli emigranti di nazionalità albanese invierebbero alle loro famiglie a Kicevo più di 16 milioni di euro annualmente. La cifra corrisponde a più di tutti i salari pagati nel settore pubblico agli abitanti macedoni della regione, imprese statali comprese.
Le due comunità, pur convivendo, dal secondo dopoguerra hanno sviluppato dei modelli socio-economici differenti. I macedoni erano perlopiù inseriti nel sistema ufficiale degli uffici statali e delle imprese pubbliche. Settore che con il crollo della ex-Jugoslavia, ed anzi in parte precedendolo, è andato in frantumi. Si è quindi assistito ad una vertiginosa discesa dei livelli di vita, più nessuna assunzione da parte delle imprese statali molte delle quali hanno anzi chiuso ed un settore pubblico sempre più limitato sia per la necessità di arginare il budget di spesa sia perché sempre più si è imposta l’esigenza di "fare spazio" anche alle minoranze.
Paradossalmente avendo un ruolo privilegiato nei quattro decenni di sviluppo industriale che hanno seguito la Seconda guerra mondiale i cittadini di nazionalità macedone sono stati nell’ultimo decennio crudelmente esposti alla crisi. Hanno subito meno invece i cittadini di nazionalità albanese che già in passato avevano dovuto imparare a sopravvivere al di fuori del "circuito ufficiale" emigrando o occupandosi di commercio su piccola scala.
In ogni caso la debolezza dello Stato macedone risulta un forte limite sia per lo sviluppo della comunità albanese sia per quella macedone.
Queste due esperienze radicalmente diverse implicano anche delle visioni diverse in merito alla crisi che entrambe le comunità stanno vivendo. Nonostante una situazione economica che attualmente può sembrare un po’ più agiata, dal rapporto dell’ESI emerge che il punto di vista della comunità albanese è condizionato da un’esperienza di vita caratterizzata dall’esclusione e questo causa anche il tentativo di iniziare finalmente ad accedere a quel settore statale, assolutamente non ancora scomparso, dal quale gli albanesi sono stati lungamente esclusi. Dalla loro parte invece i macedoni si sentono sotto assedio, sia dal punto di vista sociale che economico. Le richieste albanesi vengono percepite quali una minaccia alle loro posizioni e la lotta per il controllo delle sempre più limitate risorse statali assume immediatamente connotati etnici.
Secondo gli estensori del rapporto si è tentati a ritenere che il lavoro più impegnativo per il raggiungimento di una pace duratura in Macedonia sia già stato compiuto. Ma le sensazioni che emergono da questo rapporto indicano il contrario. Alcuni dei nodi più delicati, sia per quanto riguarda l’élite politica della Macedonia sia per quanto riguarda la Comunità Internazionale, dovranno essere affrontati nel prossimo periodo.
Una delle caratteristiche principali degli Accordi di Ohrid – notano gli esperti dell’ESI – è la ristrutturazione delle istituzioni e della pubblica amministrazione in termini di rappresentanza delle minoranze. Questo implica una redistribuzione delle risorse statali che va seguita attentamente perché sarà causa di forti tensioni.
"Per la nascente politica estera e di sicurezza comune europea" si conclude nel rapporto "la Macedonia è stata vista come un modello di come un intervento preventivo e concertato possa trasformare la crisi in un successo diplomatico. Per continuare a costruire su questo successo però l’Unione Europea dovrà sviluppare un programma credibile non solo per implementare le previsioni degli Accordi di Ohrid ma anche per affrontare la cause strutturali alla base del conflitto etnico che si è sviluppato in Macedonia. Solo un impegno coerente dell’assistenza europea che risolva i problemi causati dal declino industriale e che aiuti le aree rurali ad uscire dal circolo vizioso del sottosviluppo potrà aiutare ad evitare che le attuali dinamiche negative che caratterizzano la Macedonia possano essere bloccate e rese virtuose. La battaglia per la stabilità della Macedonia è lontano dall’essere vinta. E’ in posti come la regione di Kicevo che gli Accordi di Ohrid devono iniziare a fare la differenza nella vita quotidiana dei cittadini".
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